La campagna della destra parte nel peggiore dei modi. Vannacci propone «classi separate per i disabili» e spara a zero. Alla kermesse di Fdi manager pubblici esibiscono la maglia del partito e il capogruppo Foti si scaglia contro gli studenti. Oggi Meloni in campo. È solo l’inizio
La premier oggi annuncia che correrà da capolista alle europee Ma la scena è per il generale candidato dalla Lega di Salvini
Matteo Savini e Giorgia Meloni - LaPresse
Al secondo giorno da candidato della Lega alle europee, Roberto Vannacci ne spara una delle sue e scatena un putiferio. Anche a destra, e anche nel partito che in cui sarà candidato.
PARLANDO con La Stampa, il generale della Folgore si produce in una sorta di climax delle politiche discriminatorie, riprendendo uno dei suoi classici: esiste una normalità da proteggere e restaurare contro la presunta dittatura delle minoranze, pronte ad assaltare lo stile di vita del maschio bianco italico. «L’italiano ha la pelle bianca, lo dice la statistica», comincia Vannacci. Poi passa agli omosessuali: «Chi ostenta da esibizionista deve accettare le critiche». E l’aborto? «Non è un diritto», assicura il graduato. Fin qui siamo ai giudizi espressi nei suoi libri, manuali del senso comune reazionario. Come quando, nel corso di una presentazione nel bolognese, sembra attingere all’ottuso armamentario delle burocrazia militare per ricostruire in questo modo le botte ai giovani delle scorse settimane: «Gli studenti si pongono nella condizione di essere manganellati». Infine, l’ineffabile Vannacci ribadisce il suo giudizio su Mussolini («Uno statista») e afferma che le scuole debbano differenziare gli studenti «in base alle loro capacità». «Credo che classi con ‘caratteristiche separate’ aiuterebbero i ragazzi con grandi potenzialità a esprimersi al massimo, e anche quelli con più difficoltà verrebbero aiutati in modo peculiare», teorizza il candidato catapultato (e imposto a larga parte del suo partito) da Matteo Salvini in tutte le circoscrizioni al voto di giugno.
LO SMENTISCONO tutti, non solo le opposizioni e le associazioni che si occupano di disabilità. A partire dal ministro dell’istruzione (in quota Lega, non esattamente un liberal) Giuseppe Valditara, che si affretta a rivendicare «le politiche concrete a favore dell’inclusione degli studenti con disabilità» portate avanti dal suo partito e dal governo. Per il vicepresidente della Conferenza episcopale italiana Francesco Savino, le parole di Vannacci «ci riportano ai periodi più bui della nostra storia. Mi permetto di dire, con Papa Francesco, che l’inclusione è segno di civiltà». Paolo Barelli capogruppo a Montecitorio di Forza Italia non potrebbe essere più esplicito quando parla di «elucubrazioni da Capitan Fracassa di cui non si sentiva il bisogno».
GIANCARLO GIORGETTI ci tiene a precisare che Vannacci non è leghista. Da via Bellerio trapela la ridefinizione salviniana: «È un candidato indipendente
Commenta (0 Commenti)La protesta degli atenei per la Palestina diventa sempre più globale: negli Stati uniti cresce insieme a repressione e arresti; a Parigi occupa l’università più prestigiosa, Sciences Po. A Berlino sgomberate le tende davanti al parlamento, mentre Gaza aspetta l’attacco su Rafah
STATI UNITI. Reportage da Ucla e Usc, dove la polizia smantella l’accampamento solidale e arresta oltre 90 persone. Cancellata la cerimonia di laurea
L’accampamento per la Palestina nell’Università della California - Ap/Jae C. Hong
«Abbiamo cinque richieste», spiega Marie, studentessa del coordinamento Uc Divest che da l’altro ieri occupa il campus di Ucla. «Disinvestimento da aziende complici nel genocidio, come la Blackrock, interruzione delle collaborazioni accademiche con istituzioni israeliane, trasparenza sugli investimenti dell’università e che questa prenda una posizione a favore del cessate il fuoco. Infine respingiamo ogni repressione poliziesca sui campus». Parliamo nell’ultimo villaggio in solidarietà con la Palestina, quello sorto alla University of California di Los Angeles dove da giovedì un migliaio di studenti si sono appropriati dello spiazzo antistante Royce Hall, l’edificio neoromanico simbolo dell’ateneo.
Ucla è l’ultimo campus ad essersi aggiunto alla protesta che sta dilagando nelle università americane e coalizzando contro la guerra e la strage infinita di Gaza, un ampio movimento per la pace e contro la logica dell’oppressione.
Negli ultimi giorni la protesta si è allargata ad una cinquantina di atenei in oltre venti stati. In almeno 15 di questi la polizia ha effettuato arresti che sono complessivamente ormai oltre 550, in nessun caso ad oggi sono state formalizzate accuse contro i fermati, profilando l’uso delle forze dell’ordine come semplice strumento repressivo.
LE PROTESTE, pacifiche anche quando rumorose, sono degenerate solo dove c’è stato l’intervento della polizia, come ad Austin, dove sono state utilizzate cariche a cavallo, gas urticanti e proiettili di gomma. O alla Usc dove l’accampamento in solidarietà coi palestinesi è stato smantellato dai reparti antisommossa della polizia di Los Angeles e gli arresti sono stati più di novanta. Motivazione: gli studenti avrebbero «messo in pericolo gli agenti».
Il campus della University of Southern California è ora sigillato dall’esterno con guardie ad ogni cancello che filtrano esclusivamente gli studenti con documenti. Founders Park dove erano state erette le tende è deserto e transennato. In ultimo, l’università, piuttosto che rischiare ulteriori espressioni di dissenso, ha deciso di annullare del tutto l’annuale cerimonia di laurea, che proprio nel parco si sarebbe dovuta tenere il 10 maggio.
LA USC, si noti, ospita istituti di grande prestigio accademico ed autoproclamata cultura liberale come il Center for Advanced Genocide Research (dedicato allo studio delle «origini, dinamiche e dimensioni della resistenza al genocidio») o la scuola di giornalismo Annenberg che produce ricerca sulla
Commenta (0 Commenti)Con riferimento alle ultime notizie di organi di stampa, in particolare cesenate, riguardo Mauro Mazzotti, Presidente del Comitato alluvionati di Cesena, che ha deciso di entrare in politica nella lista di Fratelli d’Italia perseguendo suoi legittimi obiettivi personali, l’Unione dei Comitati Alluvionati Faentini si dissocia da scelte politiche elettorali fatte a nomi degli alluvionati.
La scelta di campo appartiene al Presidente del comitato di Cesena e non coinvolge i comitati riuniti e la unione faentina che devono rimanere assolutamente APARTITICI. L’azione posta in essere dai Comitati Alluvionati Faentini è sempre stata e sarà sempre caratterizzata dalla più totale terzietà rispetto ad ogni partito politico perché gli alluvionati non sono né di destra né di sinistra. Sono cittadini che hanno subito un evento tragico e che chiedono risposte sia sui ristori, sia sulla messa in sicurezza. Questi sono gli unici fini che i Comitati Alluvionati perseguono.
I Comitati Alluvionati Faentini interloquiscono con le Istituzioni da sempre per raggiungere gli scopi anzidetti; si badi bene, con le Istituzioni (Governo, Regione, Comune) non con i partiti. Nessun dubbio che Mauro Mazzotti, nell’ultimo anno, abbia “dato tutto sé stesso” nell’interessarsi dei bisogni dei cittadini colpiti dagli eventi catastrofici del maggio scorso e sia stato particolarmente attivo nel rapportarsi con le componenti della maggioranza di governo per la soluzione dei gravi problemi che affliggono tuttora i cittadini colpiti dall’emergenza 2023.
Dobbiamo però sottolineare che nessun eclatante risultato è stato “conquistato” e pochi obiettivi relativamente marginali, tra quelli innumerevoli volte segnalati, sono stati raggiunti, malgrado “l’interessamento attivo”, la “disponibilità”, la “vicinanza al nostro territorio e alle esigenze degli alluvionati” delle Istituzioni e delle personalità di governo richiamate sulla stampa.
Alcuni dei più gravi problemi, dei quali ci era stato più volte prospettato il superamento dagli interlocutori citati, risultano infatti ancora insoluti, e ci riferiamo, tra gli altri e in particolare:
• al perdurante mancato ristoro dei beni mobili perduti, fondamentale e più diffuso danno sofferto dagli alluvionati;
• al problema ancora ad oggi rappresentato dalla indisponibilità del credito di imposta, strumento finanziario necessario per i meno abbienti per avviare gli interventi di bonifica delle abitazioni nelle quali tuttora non possono rientrare;
• alla mancata semplificazione ed accelerazione delle pratiche burocratiche connesse alla approvazione delle perizie richieste per l’ottenimento dei dovuti ristori economici.
Infine, come Comitati, avevamo più volte chiesto che, per danni non ingenti, ad esempio fino ad euro 20.000/30.000, non fosse necessario dichiarare la regolarità edilizia dell’immobile, soprattutto nel caso in cui si trattasse di interventi di semplice ripristino della situazione quo ante, attribuendo quindi i ristori con il medesimo metodo già adottato per il Contributo di Immediato Sostegno.
Il cammino verso una efficace gestione dei ristori e una certa e completa messa in sicurezza del territorio è ancora lungo, e si ricorda ancora che, a tutt’oggi, i cittadini sofferenti per gli eventi di un anno fa hanno ottenuto, salvo eccezioni numericamente irrilevanti, al massimo 5.750 € a famiglia.
L’Unione dei Comitati Alluvionati Faentini
IRRESISTIBILI. Dall’inizio alla fine, la liberazione palestinese attraversa generazioni e lotte: ecologismi, femminismi, pacifismo. Alla partenza contestata la Brigata ebraica, all’arrivo a piazza Duomo qualche tensione
Un momento del corteo del 25 aprile a Milano - Gabriele Puglisi
Lia è appoggiata a un paracarro all’ingresso di piazza Duomo a Milano. Guarda sfilare il corteo, lunghissimo, e applaude a ogni bandiera palestinese. Al collo ha un fazzoletto dell’Anpi e una kefiah. «L’ho comprata anni fa a Hebron – dice – ma fino a oggi l’ho tenuta nel cassetto. Di solito venivo solo col vessillo dell’Anpi, ma questa volta l’ho voluta portare». La questione palestinese ha invaso la festa della Liberazione.
LA NUOVA MILANO
In piazza Duomo, già alle 13, le bandiere della Palestina occupano le prime file davanti al palco. In realtà, sono ovunque. Non c’è spezzone della manifestazione, di gran lunga la più partecipata degli ultimi anni, in cui il massacro in corso a Gaza non sia presente. Non poteva che essere così. Se i valori della Resistenza, come dice anche Primo Minelli, presidente del comitato permanente antifascista che organizza il corteo, «sono carne viva e cemento unitario della società italiana» quello che sta succedendo nel qui e ora nel mondo doveva essere centrale. Così è stato. «Stop Gaza genocide», c’è scritto su un cartello in mano a un giovane ragazzo, avrà vent’anni al massimo.
Lia applaude. «Quello è milanese», sottolinea. Certo, milanese di seconda generazione, come moltissimi partecipanti alla manifestazione. Ieri Milano c’è stata, e la cosa non stupisce. Milano c’è sempre il 25 aprile, perché la festa della Liberazione è nel dna di qualsiasi milanese che non sia fascista.
Ma ieri c’era anche una nuova Milano, quella delle seconde generazioni, che si è presa una fetta di corteo e l’ha fatto proprio. Chi in città ci vive, li conosce: sono i ragazzi e le ragazze (soprattutto le ragazze) delle periferie milanesi, quelle in cui sono costretti dalla gentrificazione. Indossano la kefiah, ascoltano la trap. E, dall’8 ottobre a oggi, hanno imparato a farsi vedere. Hanno riempito i cortei pro Palestina ogni sabato da mesi a questa parte e ieri erano in piazza per festeggiare una Liberazione che sentono lontana e per rivendicare la fine di un massacro che invece sentono vicino, troppo vicino.
QUELLI DEL 25 APRILE
Accanto a loro, c’era anche la solita Milano del 25 aprile, quella che sempre c’è stata e sempre ci sarà. Ma con una motivazione in più. Perché se al passaggio della Brigata ebraica a urlare «Israele assassino» c’era anche chi abita ogni giorno le vie della città un motivo c’è: la fine del massacro a Gaza è
RIFORME. Caos in Commissione alla Camera: mancano i leghisti così passa l’emendamento 5S che cancella dall’art 1 proprio la parola Autonomia. Il forzista Pagano non proclama il risultato, grazie al sotterfugio si rivoterà domani
Camera dei deputati - LaPresse
La destra riesce a fare indignare non solo sul contenuto dei provvedimenti, ma anche sulla procedura; ma ciò deve meravigliare fino ad un certo punto. Sono infatti le procedure e i regolamenti il primo passo della democrazia, almeno quella formale, e la loro violazione da parte della destra indica chiaramente verso quale direzione la maggioranza intende indirizzare il Paese. Nello specifico, ad essere stravolto ieri è stato il Regolamento della Camera per sovvertire una votazione sull’Autonomia differenziata che avrebbe fatto scricchiolare il patto tra Lega e Fdi che riguarda il ddl Calderoli e il ddl Casellati sul premierato elettivo.
IN COMMISSIONE Affari costituzionali di Montecitorio le opposizioni stanno conducendo un serrato ostruzionismo con 2mila emendamenti all’Autonomia differenziata per cercare di impedire la sua approvazione, entro sabato prossimo, e il suo successivo approdo in Aula il 29 aprile. Non si tratta solo di ostilità ai contenuti del provvedimento targato Calderoli; l’obiettivo è inserire una zeppa nell’accordo tra Lega e Fdi per far marciare parallelamente l’Autonomia e il premierato, rispettivamente a Montecitorio e a Palazzo Madama. E in effetti le cose stavano procedendo bene per le destre: in Senato la Commissione Affari costituzionali ha licenziato il ddl Casellati sul premierato in mattinata. La capigruppo, tuttavia (riunitasi alle 14) non aveva calendarizzato il ddl in Aula perché il capogruppo leghista, Massimiliano Romeo, impedisce tale decisione fintantoché l’Autonomia non viene esitata dalla Commissione della Camera. Dunque gli occhi degli osservatori ieri erano rivolti al quarto piano di Palazzo Montecitorio, dove si trova la Commissione presieduta dal forzista Nazario Pagano. Ed ecco il fattaccio.
IN UNO DEI PRIMI emendamenti in Commissione, a causa dell’assenza di alcuni deputati della Lega, i numeri delle opposizioni hanno prevalso su quelli della maggioranza: 10 a 7, emendamento approvato (l’emendamento 5S all’art 1 del testo sopprimeva la parola «Autonomia»). Ed ecco emergere l’animo autoritario della destra, anche in un esponente di Fi, come Pagano, che dovrebbe essere moderato e democratico. Il presidente della Commissione è infatti ricorso a un sotterfugio, quello di non proclamare il risultato. Nel Regolamento della Camera (articolo 57 comma 2) è la proclamazione a rendere ufficiale un risultato, si tratti di un’approvazione o del respingimento. Pagano ha quindi sospeso la seduta consentendo ai leghisti di rientrare in Commissione. A questo punto sono state le opposizioni a inalberarsi contro la ripetizione del voto, che è la violazione di uno dei capisaldi del diritto parlamentare (i voti ripetuti vengono ricordati solo al Soviet Supremo ai tempi dell’Urss). Se si potessero ripetere i voti a piacimento la maggioranza vincerebbe sempre e a quel punto non avrebbe senso nemmeno l’esistenza di un’opposizione.
LA MAGGIORANZA alla fine ha deciso che il voto in Commissione verrà ripetuto domani, dopo la pausa per festeggiare il 25 aprile, ammesso che a destra lo si celebri. Pd, M5s, Avs e anche Iv si sono rivolte al presidente Lorenzo Fontana perché intervenga autoritativamente per il rispetto del Regolamento o convochi la Giunta che sancisca lo stop a questo tipo di sotterfugio. Non è infatti la prima volta che accade questo episodio. Il 17 gennaio scorso, in Commissione Affari sociali, dove si è votato una pdl che istituisce la Bicamerale di inchiesta sulla gestione del Covid, il vicepresidente Luciano Ciocchetti (Fdi) fece lo stesso.
LA VICENDA ha messo in secondo piano il premierato, che aveva ricevuto il via libera in Commissione Affari costituzionali del Senato. Qui le dichiarazioni di voto da parte dei gruppi hanno confermato le posizioni che ci si aspettava, ma con alcune sfumature politiche che meritano di essere menzionate. Il gruppo delle Autonomie con Meinhard Durnwalder ha votato a favore, segnalando una diversità di posizioni all’interno della Svp, che dipende probabilmente dal diverso atteggiamento verso la nuova Giunta della provincia di Bolzano. Infatti la senatrice Julia Unterberger nei giorni precedenti ha fatto sentire la sua voce contraria.
IL SÌ DELLE AUTONOMIE ha compensato il mancato voto favorevole di Iv, su cui il centrodestra contava per poter affermare che sul premierato la maggioranza è più larga di quella di governo; la senatrice renziana Dafne Musolino si è infatti astenuta. L’allargamento della maggioranza è stato comunque rivendicato dal presidente della Commissione e relatore Alberto Balboni. Infine la Lega: Daisy Pirovano, pur in modo meno assertivo rispetto al collega Paolo Tosato, ha chiesto cambiamenti in Aula al testo. Martedì la capigruppo potrebbe incardinare in Aula il premierato per la settimana successiva, dal 6 maggio. Sempre che da Montecitorio arrivino buone nuove e la Lega non si faccia lo sgambetto da sola.
Commenta (0 Commenti)Ok alla riforma, ma solo 4 italiani votano sì (e i 5S no). Per Meloni era il miglior accordo possibile. Le opposizioni: sfiduciato Giorgetti
Paolo Gentiloni e Giancarlo Giorgetti a Bruxelles - foto Ansa
Al momento di riconoscere la propria creatura i genitori, al secolo i partiti del governo che aveva accettato il Patto di stabilità, se la squagliano. I padrini, cioè il partito del commissario europeo che lo aveva concordato, non sono da meno. A Strasburgo si pronunciano a favore del nuovo Patto, peraltro solo su uno dei punti al voto, quattro europarlamentari italiani: due di Renew, uno dei quali eletto in Francia, uno della Svp e l’azzurra Lara Comi, unica a votare in dissenso dal suo partito ma conforme alla “famiglia” europea, quella del Ppe. Tutti gli altri si riparano dietro l’astensione. Tranne i 5S, che bocciano a viso aperto le nuove regole e Conte non perde l’occasione per mettere all’incasso il bel gesto: «Non mi capacito che il M5S sia rimasto solo a votare contro un Patto che torna all’austerità e taglia le gambe alla crescita». L’avvocato si scatena contro i partiti della maggioranza, le «facce di bronzo» che vorrebbero «cancellare le impronte digitali» alla vigilia delle europee, i «dilettanti allo sbaraglio» che solo ora si rendono conto del danno fatto. Del Pd Conte non parla. Non ce n’è bisogno. Il responsabile economico dei dem Misiani, in effetti, non è meno severo del leader dei 5S. Parla di «ritorno dell’austerità» e di «pietra tombale per qualunque strategia di rilancio». Però il Pd non se la è sentita di bocciare la lapide in contrasto con il resto del Pse.
DALL’OPPOSIZIONE SONO in molti, con il Verde Bonelli a dare il la, quelli che accusano il governo di aver sfiduciato il ministro dell’Economia Giorgetti e rinfacciano a Giorgia Meloni il commento a caldo, quello che definiva l’accordo «il migliore possibile». In realtà la sfiducia sarebbe bipartisan: anche il Pd boccia il suo commissario europeo Gentiloni che peraltro non se la prende. Ironizza: «Abbiamo unito la politica italiana». Assolve l’astensione del suo partito: «Ragioni di politica interna, ma il Patto è un buon compromesso». Le ragioni in questione sarebbero soprattutto la necessità di non prendere una via opposta a quella dei presunti alleati a cinque stelle ma anche la comprensibile resistenza a prendersi la responsabilità di un Patto che per l’Italia si rivelerà presto un grosso guaio senza nemmeno aver potuto trattare.
L’ALIBI DELLA MAGGIORANZA, ripetuto da tutti in ben intonato coro, è che l’astensione sarebbe propedeutica a rivedere, ridiscutere e modificare il Patto. «Che c’è di male a volerlo migliorare?», fa l’ingenuo il capo dei deputati tricolori Foti mentre i colleghi Procaccini e Fidanza fanno rullare i tamburi: «Sarà priorità del nostro gruppo, nella prossima legislatura europea, lavorare a una modifica sostanziale del Patto». La Lega, per non bersagliare troppo Giorgetti, usa toni meno truculenti del solito: «È un compromesso che purtroppo presenta ancora elementi critici. Con un’altra maggioranza in Europa sarà possibile apportare le necessarie modifiche».
NO CHE NON LO SARÀ. Non con i Paesi frugali contrari anche loro al testo ma perché lo trovano ancora troppo lasco. Non con la Germania che ha faticato ad accettare persino questo compromesso che in realtà soddisfa quasi tutte le richieste rigoriste del ministro-falco Lindner. I battaglieri annunci della maggioranza, come l’astensione che li giustifica, servono a fare un po’ di campagna elettorale, qualcosa come «Dateci forza se volete allentare il nodo scorsoio», e molto per non figurare come pienamente responsabili quando gli effetti della resuscitata austerità inizieranno a farsi sentire. Non ci vorrà molto. Il Pd si dice certo che dopo le europee Giorgetti dovrà varare quella manovra correttiva che sin qui ha sempre escluso e che anzi di manovre correttive ne serviranno più d’una. Di certo, che la manovra correttiva arrivi o meno, le nuove regole sono sufficientemente rigide per rendere impervia la strada del Paese, oltre che del governo, nei prossimi anni.
PER IL MOMENTO, a sorpresa, il consiglio dei ministri ha rinviato il previsto primo decreto di attuazione della delega fiscale, che avrebbe dovuto fissare il bonus tredicesime di 80 euro. Sarà di 100 euro la settimana prossima, fa filtrare il governo. Ma per chi è sposato con almeno un figlio. Si sa che la famiglia è tutto
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