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LETTERA APERTA. Chiediamo ai deputati europei eletti in Italia di votare affinché la proposta della Commissione venga ritirata e il testo, senza gas e nucleare, venga sottoposto a referendum

Gas e nucleare, la tassonomia verde Ue  o è davvero green o non è Brandeburgo, la stazione di compressione del gas di Mallnow - Ap

Dal 4 al 7 Luglio il Parlamento europeo si riunirà in seduta plenaria per approvare o respingere l’atto delegato della Commissione sulla tassonomia UE. L’atto delegato contiene un emendamento, reso noto in sordina alle caselle di posta dei parlamentari europei nella notte del Capodanno 2021, con il quale la Commissione Europea propone di inserire il nucleare e il gas nella classificazione (Tassonomia) delle attività economiche sostenibili, che vengono qualificate come investimenti verdi.

Con una posizione netta e coraggiosa il 14 Giugno le Commissioni Ambiente ed Economia del Parlamento europeo, in seduta congiunta, si sono opposte alla proposta della Commissione di inserire gas e nucleare nella tassonomia europea, cioè nell’elenco delle opere finanziabili con fondi pubblici.

LA DECISIONE, PRESA con 76 voti a favore e 62 contrari, 4 astenuti, non è definitiva e dovrà essere approvata dall’assemblea plenaria del Parlamento europeo. Solo se verrà confermata a maggioranza assoluta (almeno 353 deputati) dall’assemblea del parlamento europeo la mozione approvata dalle commissioni Econ e Envi farà cadere la proposta della Commissione, sostenuta direttamente da Ursula Von der Leyen, di inserire gas e nucleare tra le “energie di transizione”, dando loro un’indebita patente di sostenibilità ambientale che non hanno.

Si tratta di un passaggio delicato e molto importante nei rapporti tra la Commissione Europea e il Parlamento. L’assemblea plenaria del parlamento europeo deve anche confermare, con il voto contrario alla proposta della Commissione di inserire nucleare e gas, che la decisione su atti delegati non può avvenire senza il suo consenso. E’ una questione di democrazia. Infatti il parlamento europeo è l’unico organo dell’Unione eletto democraticamente.

È NOTO CHE L‘INSERIMENTO di nucleare e gas nella tassonomia degli investimenti considerati sostenibili ha innescato polemiche e scontri tra i Paesi dell’Unione e nella società europea. La Francia ha da tempo spinto per favorire il nucleare, mentre Germania e Italia hanno puntato a condizioni più favorevoli per nuovi progetti fondati sul gas. Di fronte a una pressione così forte da parte di Berlino, Parigi, Roma e anche dell’Europa orientale la Commissione ha messo nel cassetto precedenti dichiarazioni ed è arrivata a informare i parlamentari quasi di soppiatto la notte di Capodanno sulla svolta contraria agli impegni per il clima. Quanti in Europa hanno capito la gravità della crisi climatica, ben oltre le associazioni ambientaliste, hanno salutato con entusiasmo la votazione del 14 giugno. Da quando si è saputo di questa proposta di stravolgimento della tassonomia europea sono state organizzati manifestazioni, dibattiti e in Italia un’efficace campagna di mobilitazione che per mesi ha interessato Atenei, Comitati locali, cittadini preoccupati. Inoltre in occasione della plenaria del parlamento europeo di luglio è previsto un presidio giovanile a Strasburgo, con l’obiettivo di bloccare questo duro colpo al Green deal europeo e per affermare una politica energia/clima all’altezza dell’attuale crisi ambientale.

CONTRO QUESTA distorsione della tassonomia, si sono dichiarati la Piattaforma per la Finanza Sostenibile, il gruppo di esperti indipendenti nominati dalla stessa Commissione UE per il supporto scientifico necessario alla redazione di questo atto delegato e 226 scienziati che hanno inviato una lettera alla Commissione dichiarandosi contro questo atto delegato contenente «affermazioni infondate, contrarie alla scienza del clima».

Le conseguenze dell’aggressione all’Ucraina dovrebbero spingere ulteriormente a non inserire gas e nucleare nella tassonomia verde UE, non solo perché il gas finanzia la guerra voluta da Putin ma permetterebbe a Rosatom (compagnia di stato russa per l’energia atomica) di continuare a fornire uranio, che finora è esente da sanzioni al contrario di altre fonti energetiche, consentendole di rafforzarsi nel mercato dei combustibili nucleari, fruendo di parte dei 500 miliardi di euro di investimenti previsti per potenziare ed aumentare le centrali nucleari in Europa.

MENTRE I PREZZI dei combustibili come carbone, petrolio, gas, uranio continuano ad aumentare in modo esagerato e ingiustificato, è del tutto evidente che occorre utilizzare gli enormi extraprofitti delle compagnie, che li stanno accumulando da mesi per finanziare l’accelerazione verso le energie rinnovabili e il risparmio energetico.

GLI EURODEPUTATI delle commissioni Econ ed Envi hanno scelto la strada giusta per proteggere la credibilità della tassonomia dell’Ue. Insistiamo: non c’è nulla di sostenibile nel gas e nel nucleare. Ci aspettiamo che la plenaria del Parlamento europeo di luglio decida in modo coerente con il netto parere delle Commissioni competenti ed eviti un errore enorme e costoso per clima e ambiente, ribadendo invece l’impegno a finanziare una transizione accelerata verso le energie rinnovabili.

Chiediamo a tutti i parlamentari europei eletti in Italia di votare in accordo con le commissioni Econ ed Envi, affinché la proposta della Commissione venga ritirata e il testo, senza gas e nucleare, venga sottoposto a consultazione pubblica.

Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, Jacopo Ricci, Massimo Scalia 

* Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Laudato Si’, NOstra

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Potrebbe essere un'immagine raffigurante 2 persone, persone in piedi, spazio al chiuso e il seguente testo "gettyimage Daniel Munoz Mu 1387 15981"

Mezzanotte e qualcosa, ora italiana. Il risultato delle elezioni presidenziali in Colombia è questo: Gustavo Petro 50,69 per cento, Rodolfo Hernandez 47,04 (la fonte è El Pais di Madrid). E' successo un miracolo, dopo decenni di governi e presidenti di destra, al servizio degli Stati uniti, ha vinto il candidato del Pacto Historico, alleanza di sinistra, e ha vinto la sua vice, Francia Marquez, donna e nera.

Tutte le previsioni dicevano ci sarebbe stato un testa a testa, perché Harnandez, una specie di Bolsonaro o Trump colombiano sarebbe stato sostenuto dalla destra di sempre. E invece no. Che cosa accadrà di qui in avanti è una incognita, il programma sociale e ambientale di Petro scardina i poteri e le differenze di classe e le barriere razziste contro neri e popoli originari, e contro i poveri.

Come reagirà la destra? Le forze armate? I paramilitari che infestano il paese? I potenti narcotrafficanti? Gli Stati uniti? Le mie due amiche colombiane che vivono in Italia erano molto pessimiste, pareva loro incredibile che l'"uribismo", il gruppo di potere attorno all'ex presidente Uribe, potesse essere sconfitto.

Ora si festeggia, domani, come diceva quella signora, è un altro giorno.

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A me pare che in questa fase del conflitto in Ucraina la persona che sta ottenendo i maggiori risultati diplomatici e umanitari sia Antonio Guterres, Segretario Generale dell’Onu.
Ha incontrato Putin e Zelenskyy e, in collaborazione con il suo staff e la Croce Rossa Internazionale, è riuscito ad ottenere dei cessate il fuoco e accordi tra russi e ucraini che hanno già permesso l’evacuazione dai sotterranei dell'impianto Azovstal a Mariupol di almeno 500 civili. E altri, allo stesso modo e grazie ai medesimi soggetti, stanno mettendosi in salvo in queste ore.
A riguardo, nel sito https://unric.org/it/briefing-al-consiglio-di-sicurezza-sullucraina/ ho trovato il suo seguente discorso pronunciato ieri.
Lo riporto qui sotto, tradotto in italiano dal computer. 
Questo dimostra che russi e ucraini hanno ancora umanità, possono parlarsi, accordarsi e concedere quanto stabilito insieme.
Davide Patuelli

6 Maggio, 2022

IL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU

ANTONIO GUTERRES

BRIEFING AL CONSIGLIO DI SICUREZZA SULL'UCRAINA

New York, 5 maggio 2022

Accolgo con favore l'opportunità di rivolgermi al Consiglio di sicurezza in occasione della mia recente visita nella Federazione russa e in Ucraina, dove ho incontrato il Presidente Putin e il Presidente Zelenskyy rispettivamente il 26 e il 28 aprile.
Nell'ambito della mia visita regionale, ho anche avuto colloqui con il presidente Erdoğan ad Ankara e il presidente Duda a Rzeszów, in Polonia.
Durante i miei viaggi, non ho usato mezzi termini.
Ho detto la stessa cosa a Mosca come ho fatto a Kiev – che è esattamente ciò che ho ripetutamente espresso a New York.
Vale a dire che:
L'invasione russa dell'Ucraina è una violazione della sua integrità territoriale e della Carta delle Nazioni Unite.
Deve finire per il bene del popolo ucraino, russo e del mondo intero.

Signora Presidente,
Ho visitato Mosca e Kiev con una chiara comprensione delle realtà sul campo.
Sono entrato in una zona di guerra attiva in Ucraina senza alcuna possibilità immediata di un cessate il fuoco nazionale e di un attacco su vasta scala in corso nell'est del paese.
Prima della visita, il governo ucraino ha lanciato un appello alle Nazioni Unite e a me personalmente – espresso pubblicamente dal Vice Primo Ministro – in merito alla terribile situazione dei civili nella devastata città di Mariupol e in particolare nello stabilimento di Azovstal.
Nel mio incontro con il Presidente Putin, ho quindi sottolineato l'imperativo di consentire l'accesso umanitario e le evacuazioni dalle zone assediate, tra cui in primo luogo Mariupol.
Ho fortemente sollecitato l'apertura di un corridoio umanitario sicuro ed efficace per consentire ai civili di raggiungere la sicurezza dall'impianto di Azovstal.
Poco tempo dopo, ho ricevuto la conferma di un accordo di principio.
Abbiamo immediatamente seguito un intenso lavoro preparatorio con il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) insieme alle autorità russe e ucraine.
Il nostro obiettivo era quello di consentire inizialmente l'evacuazione sicura di quei civili dall'impianto di Azovstal e successivamente dal resto della città, in qualsiasi direzione scelgano, e di fornire aiuti umanitari.
Sono lieto di riferire su una certa misura di successo.
Insieme, le Nazioni Unite e il CICR stanno conducendo un'operazione umanitaria di grande complessità, sia politicamente che in termini di sicurezza.
È iniziato il 29 aprile e ha richiesto un enorme coordinamento e sostegno con la Federazione russa e le autorità ucraine.
Finora, due convogli di passaggio sicuri sono stati completati con successo.
Nel primo, concluso il 3 maggio, 101 civili sono stati evacuati dall'impianto di Azovstal insieme ad altri 59 da un'area vicina.
Nella seconda operazione, completata ieri sera, più di 320 civili sono stati evacuati dalla città di Mariupol e dalle aree circostanti.
Una terza operazione è in corso, ma è nostra politica non parlare dei dettagli di nessuno di essi prima che siano completati per evitare di minare il possibile successo.
È bene sapere che anche in questi tempi di iper-comunicazioni, la diplomazia silenziosa è ancora possibile e talvolta è l'unico modo efficace per produrre risultati.
Finora, in totale, quasi 500 civili hanno trovato il tanto atteso soccorso, dopo aver vissuto sotto bombardamenti implacabili e scarsa disponibilità di acqua, cibo e servizi igienico-sanitari.
Gli sfollati hanno condiviso storie commoventi con il personale delle Nazioni Unite. Madri, bambini e nonni fragili hanno parlato del loro trauma. Alcuni avevano urgente bisogno di cure mediche.
Spero che il continuo coordinamento con Mosca e Kiev porti a maggiori pause umanitarie per consentire ai civili un passaggio sicuro dai combattimenti e aiuti per raggiungere coloro che ne hanno bisogno critico.
Dobbiamo continuare a fare tutto il possibile per far uscire le persone da questi paesaggi infernali.
Il Sottosegretario Generale e Coordinatore dei Soccorsi di Emergenza Martin Griffiths vi informerà oggi in modo più dettagliato sugli ultimi sforzi a Mariupol e su ulteriori passi.
L'Alto Commissario Bachelet informerà sulle segnalazioni di violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, possibili crimini di guerra e sulla necessità di responsabilità.
Come ho discusso ieri con il presidente Zelenskyy, le Nazioni Unite continueranno a intensificare le operazioni umanitarie, salvare vite umane e ridurre le sofferenze.
I miei incontri con entrambi i leader si sono concentrati anche sulla questione cruciale della sicurezza alimentare globale.
E, in effetti, le implicazioni mondiali di questa guerra erano in piena vista nei miei successivi viaggi in Africa occidentale.
In Senegal, Niger e Nigeria, ho ascoltato testimonianze dirette di leader e società civile su come la guerra stia scatenando una crisi di sicurezza alimentare.
Abbiamo bisogno di un'azione rapida e decisa per garantire un flusso costante di cibo ed energia nei mercati aperti, eliminando le restrizioni all'esportazione, assegnando eccedenze e riserve a coloro che ne hanno bisogno e affrontando gli aumenti dei prezzi alimentari per calmare la volatilità del mercato.
Ma vorrei essere chiaro: una soluzione significativa all'insicurezza alimentare globale richiede il reintegro della produzione agricola ucraina e della produzione di cibo e fertilizzanti di Russia e Bielorussia nei mercati mondiali, nonostante la guerra.
Farò del mio meglio per contribuire a facilitare un dialogo per contribuire a rendere questo una realtà.
Allo stesso tempo, la guerra in Ucraina – in tutte le sue dimensioni – sta mettendo in moto una crisi che sta devastando anche i mercati energetici globali, sconvolgendo i sistemi finanziari ed esacerbando le vulnerabilità estreme per il mondo in via di sviluppo.
Questo è esattamente il motivo per cui ho istituito il Global Crisis Response Group on Food, Energy and Finance, per mobilitare le agenzie delle Nazioni Unite, le banche multilaterali di sviluppo e altre istituzioni internazionali per aiutare i paesi ad affrontare queste sfide.
Siamo stati particolarmente impegnati a presentare proposte alle riunioni di primavera del FMI e della Banca mondiale.
La guerra all'Ucraina è insensata nella sua portata, spietata nelle sue dimensioni e illimitata nel suo potenziale di danno globale.
Il ciclo di morte, distruzione, dislocazione e interruzione deve cessare.
E' giunto il momento di unirsi e porre fine a questa guerra.
Grazie.

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APPELLO. E' necessario muoversi contro la guerra e per un accordo tra le parti. Ma occorre avviare con urgenza un percorso di confronto tra le forze democratiche e progressiste, in grado di dar voce ai bisogni dei cittadini e una speranza ai giovani

Ridiamo la parola ai cittadini italiani

Da oltre un mese l’Italia è sotto assedio. Il popolo ucraino, cui va tutta la nostra incondizionata solidarietà, è martoriato dalle bombe russe, noi dalla propaganda di un sistema informativo unilaterale e totalitario.

I nostri media infliggono una grave ferita alla democrazia italiana. E’ evidente che questa schiacciante attenzione alla tragedia ucraina ha diversi scopi. Essa cancella le gravi responsabilità dell’Europa, che negli ultimi 30 anni ha affidato la propria politica estera alla Nato a guida Usa, assecondandola in tutte le guerre condotte nei vari angoli del pianeta.

Oggi la guerra ce l’abbiamo in casa, gli Usa sono lontani, ma è l’Europa a sostenere i contraccolpi delle sanzioni, i costi dell’accoglienza, il flagello dell’inflazione. Ma Tv e grande stampa vogliono far dimenticare agli italiani i problemi irrisolti della sanità pubblica, dopo due anni di devastazione pandemica, della scuola dove gli studenti possono morire per incidenti sul lavoro, del Mezzogiorno dilaniato dalla disoccupazione di massa, della corruzione e del prosperare indisturbato delle mafie. Mentre contribuiscono a mettere da parte i programmi di transizione ecologica, a cedere alle lobbies dell’energia fossile. Ma lo scopo principale è ora far digerire agli italiani la proposta di portare al 2% del nostro Pil la spesa in armamenti.

Rimanere nel cono d’ombra della Nato, vale a dire piegarsi alla pretesa degli Usa di restare l’unica superpotenza del globo, è un errore strategico mortale: significa accettare un progetto di guerra perpetua, e soprattutto rinunciare a un ordine mondiale fondato sulla pace, il multilateralismo e la cooperazione fra gli stati.

Di fronte alle minacce del riscaldamento climatico e dell’esaurimento delle risorse, accrescere gli armamenti, alimentare i conflitti, è un delitto contro l’umanità, una corsa deliberata verso l’abisso.

Di fronte a questa prospettiva, alle forze politiche e di governo che sono diventate un unico raggruppamento di centro, impegnati a difendere il proprio recinto elettorale e dunque lo status quo, l’immobilismo che trascina il Paese nel declino, appare drammaticamente urgente intraprendere una iniziativa politica.

E’ necessario muoversi contro la guerra e per un accordo tra le parti. Ma occorre avviare con urgenza un percorso di confronto tra le forze democratiche e progressiste, in grado di dar voce ai bisogni dei cittadini e una speranza ai giovani.

Servono a questo scopo forze sociali e culturali che si mettano al servizio di un compito preciso, testimoniato anche da altri gruppi che hanno già intrapreso questo percorso. Scandagliare il territorio italiano, nella sua varietà policentrica, per far emergere i problemi veri del Paese e delle persone: dalla sanità alla scuola e alla ricerca, dalla questione del salario minimo al lavoro delle partite iva, dalla riforma del welfare ai temi di genere, dall’autonomia differenziata alla transizione ecologica, dall’economia della cittadinanza alla lotta alle rendite, senza mai dimenticare che operiamo in un pianeta in pericolo.

Un percorso che dia voce ai soggetti marginalizzati, a chi non ha voce e potere ma solo bisogni insoddisfatti, se non prospettive di una vita spezzata. Una voce che rimetta senza indugio al centro della sua azione le disuguaglianze economiche, sociali e di riconoscimento; e che torni a parlare di giustizia fiscale e ambientale, di rafforzamento dell’occupazione pubblica, di diseguaglianze e povertà, di un nuovo stato sociale, di spiazzamento delle posizioni di rendita, sia private che pubbliche.

Pensiamo a un rivolo che si accresce via via, raccogliendo affluenti dai vari punti delle Penisola, dai sindaci, dagli insegnanti, dagli operai, dai sindacalisti, dai semplici cittadini, alle organizzazioni delle cittadinanza attiva, dai militanti dei tanti collettivi politici e culturali, al mondo delle imprese a impatto sociale.

L’esito di questo percorso dovrebbe portare anche all’individuazione di nuove figure, nuovi candidati e candidate che nutrano il rinnovamento del ceto politico. Una nuova politica culturale mobilitante, per ottenere degli effetti, richiede nuove persone che si vogliano sperimentare in progetti e azioni collettive.

Pensiamo di chiedere questo sforzo generoso d’avanguardia intellettuale a persone con esperienza politica e militanza a favore delle donne, come Laura Marchetti e Tiziana Drago, a insegnanti che da anni si battono per una scuola democratica e contro l’autonomia differenziata, come Renata Puleo, a docenti universitari impegnati nel dibattito pubblico come Filippo Barbera, Pier Giorgio Ardeni e Rossano Pazzagli, a uomini politici di lunga esperienza, ma fuori dai partiti, come Luigi De Magistris, insieme a tanti altri che qui non è possibile menzionare.

Questo movimento dovrebbe anzitutto individuare un certo numero di proposte concrete e operative, all’altezza della radicalità delle sfide che si devono oggi affrontare, mettendo al centro i bisogni delle persone, la loro vita quotidiana e capacità di aspirare a un futuro migliore.

L’esito di questo confronto articolato e diffuso dovrebbe concretizzarsi nella grammatica minima per costruire – insieme agli altri soggetti del “Paese vivo” che si stanno orientando nella stessa direzione – una aggregazione plurale ma con un indirizzo chiaro.

In un Paese con un astensionismo al 40% e un’offerta politica ormai schiacciata verso il centro-destra, occorre restituire rappresentanza a una domanda di democrazia sostanziale e di sinistra che ha ormai perso la voce perfino per potersi lamentare. Occorre elaborare al più presto un programma in pochi punti a cui lavorare nei prossimi mesi.

Primi firmatari

Piero Bevilacqua, Filippo Barbera, Pier Giorgio Ardeni, Guido Ortona, Domenico De Masi, Ginevra Bompiani, Piero Caprari, Tiziana Drago, Maurizio Fabbri, Marina Leone, Ernesto Longobardi, Antonio Castronovi, Gaetano Lamanna, Vezio De Lucia, Enzo Scandurra, Domenico Cersosimo, Giuseppe Giuliano, Battista Sangineto, Ignazio Masulli, Salvatore Romeo Bufalo, Andrea Battinelli, Giuseppe Aragno, Laura Marchetti, Eugenio Occhini, Franco Trane, Renata Puleo, Raul Mordenti, Paolo Favilli, Pino Ippolito, Lucinia Speciale, Franco Santopolo, Sergio Simonazzi, Franca Grasselli, Pietro Soldini, Armando Vitale, Gregorio De Paola, Alberto Ziparo, Umberto Ursetta, Roberto Scognamillo, Luigi Vavalà, Mario Fiorentini, Roberto Musacchio, Amalia Collisani, Franco Novelli, Rossano Pazzagli, Rita Castellani, Salvatore Cingari, Vera Pegna, Gloria Sirianni, Dino Greco, Pierluigi Panici, Sandro De Toni, Umberto Carbone, Marcello Paolozza, Franco Blandi, Gianni Principe, Tiziana Colluto, Franco Toscani, Sonia Marzetti, Paolo Cagna Ninchi, Giuseppe Panuccio, Bruna De Andreis, Isabella Temperelli, Roberto Giordano, Susanna Crostella, Emilia Galtieri, Fabio Marcelli, Vito Teti, Ferdinando Laghi, Maurizio Pelliccia, Marco Cordella, Mara Rossetti, Alessandro Renzi, Marco Tassarotti, Riccardo Tranquilli, Laura Ceccarelli, Carla Grandi, Vincenzo Benessere, Nunzia Di Maria, Massimo Arcangeli, Eduardo Cimmino, Marina Castagneto, Daniela Lourdes Falanga, Ileana Capurro, Salvatore Panico, Franco Arminio, Agnese Palma, Enza Talciani, Gianfranco Argentero, Rodolfo Cilloco, Leonardo De Angelis, Enrico Chiavini, Franco Lufani, Luca Fontana, Giuseppe De Gregori, Piero De Luca.

 

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APPELLO. Ciò che temiamo è, da un lato, il prolungamento della detenzione di Assange le cui conseguenze potrebbero rivelarsi fatali per l'imputato e, dall'altro, un ammonimento rivolto alla stampa affinché si astenga dal raccogliere e divulgare informazioni anche se diffuse nell'interesse pubblico

Assange, sentenza contro diritti umani e democrazia

Gentile Ministro Patel,

Noi sottoscritti uomini e donne del mondo della politica, del giornalismo, dell’accademia ci rivolgiamo a lei in vista della cruciale decisione che è chiamata a prendere rispetto alla richiesta di estradizione dell’editore e giornalista Julian Assange, esortandola a non accogliere tale richiesta. Riteniamo che la decisione segnerà una pagina fondamentale del diritto alla conoscenza, oltre che della vita dell’imputato e della condizione dello Stato di Diritto.

Da tre anni Julian Assange si trova in detenzione preventiva in un carcere di massima sicurezza senza che nessun tribunale abbia pronunciato alcuna sentenza definitiva nei suoi confronti. Ad essi se ne devono aggiungere altri nove: era il 7 dicembre 2010 quando, spontaneamente, si presentò a Scotland Yard a seguito di un mandato europeo, spiccato dalla magistratura svedese, risoltosi con la sua archiviazione. Da allora, Assange ha continuato a subire ininterrotte forme di detenzione.

Il fondatore di Wikileaks ha contribuito alla comprensione delle ragioni per cui una democrazia non può e non deve essere all’origine di gravi violazioni dei diritti umani a danno di centinaia di migliaia di civili già oppressi dalla prepotenza di despoti e dall’assenza di diritti fondamentali.

Le principali istituzioni e organizzazioni internazionali dedicate alla difesa e promozione dei diritti umani si sono espresse a favore della liberazione di Julian Assange. Si tratta delle stesse istituzioni democratiche, fondate a seguito della devastazione della Seconda Guerra Mondiale, a cui guardiamo con fiducia e che presentano da tempo una richiesta a cui ci uniamo e che le rinnoviamo: la fine della detenzione di Julian Assange.

Il 4 dicembre 2015, il Gruppo di esperti Onu sulla detenzione arbitraria ha affermato che “il rimedio adeguato sarebbe quello di garantire il diritto alla libera circolazione del sig. Assange e di riconoscergli il diritto esecutivo al risarcimento, in conformità con l’articolo 9(5) del Patto internazionale sui diritti civili e politici.”

Il 21 dicembre 2018, lo stesso Gruppo ha precisato che “agli Stati che si basano e promuovono lo stato di diritto non piace confrontarsi con le proprie violazioni della legge. Questo è comprensibile. Ma quando riconoscono con onestà queste violazioni, onorano lo spirito stesso dello stato di diritto, guadagnano un maggiore rispetto e costituiscono un esempio lodevole in tutto il mondo”.

Il 5 aprile 2019, il Relatore Speciale ONU sulla tortura, Nils Melzer, si è detto allarmato per la possibile estradizione in quanto l’imputato rischierebbe di subire gravi violazioni dei suoi diritti umani, trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti, perdita della libertà di espressione e privazione del diritto a un equo processo. Il 9 maggio dello stesso anno, Melzer ha visitato Assange e ha riscontrato sintomi di “esposizione prolungata alla tortura psicologica”.

L’11 aprile 2019, la Relatrice Speciale ONU sulle esecuzioni extragiudiziali, Agnes Callamard, ha dichiarato che il Regno Unito ha arrestato arbitrariamente il controverso editore “probabilmente mettendo in pericolo la sua vita”. Questa dichiarazione è condivisa dal Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei difensori dei diritti umani, Michel Forst.

Il 20 febbraio 2020, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic, ha dichiarato: “la potenziale estradizione di Julian Assange ha implicazioni sui diritti umani che vanno ben oltre il suo caso individuale. L’atto d’accusa solleva importanti interrogativi sulla protezione di coloro che pubblicano informazioni riservate nell’interesse pubblico, comprese quelle che espongono violazioni dei diritti umani. (…) qualsiasi estradizione in cui la persona coinvolta è a rischio reale di tortura o trattamento inumano o degradante è contrario all’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”.

Il 10 dicembre 2021, infine, il Segretario generale di Reporter Without Borders, Christophe Deloire, ha dichiarato: “Crediamo fermamente che Julian Assange sia stato preso di mira per i suoi contributi al giornalismo e difendiamo questo caso a causa delle sue pericolose implicazioni per il futuro del giornalismo e della libertà di stampa nel mondo.”

Ciò che temiamo è, da un lato, il prolungamento della detenzione di Assange le cui conseguenze potrebbero rivelarsi fatali per l’imputato e, dall’altro, un ammonimento rivolto alla stampa affinché si astenga dal raccogliere e divulgare informazioni anche se diffuse nell’interesse pubblico. Siamo convinti che sia possibile consentire all’opinione pubblica di conoscere le ragioni alla base di cruciali decisioni politico-militari senza che questo confligga con le esigenze di sicurezza dei cittadini.

Per questi motivi ci appelliamo a lei, sig.ra Ministro, affinché non dia il via libera all’estradizione di Julian Assange.

Primi firmatari

  1. Gianni Marilotti, senatore
  2. Andrea Marcucci, senatore
  3. Riccardo Nencini, senatore
  4. Roberto Rampi, senatore
  5. Elvira Evangelista, senatrice
  6. Luciano D’Alfonso, senatore
  7. Tatiana Rojc, senatrice
  8. Sandro Ruotolo, senatore
  9. Maurizio Buccarella, senatore
  10. Luisa Angrisani, senatrice
  11. Danila De Lucia, senatrice
  12. Francesco Verducci, senatore
  13. Mino Taricco, senatore
  14. Monica Cirinnà, senatrice
  15. Nicola Morra, senatore
  16. Paola Boldrini, senatrice
  17. Primo Di Nicola, senatore
  18. Silvana Giannuzzi, senatrice
  19. Sabrina Pignedoli, deputata europea
  20. Vincenzo Vita, già parlamentare ed ex Sottosegretario
  21. Alberto Maritati, già senatore ed ex Sottosegretario
  22. Gian Giacomo Migone, già senatore
  23. Luciana Castellina, già deputata
  24. Aldo Tortorella, già deputato
  25. Alfonso Gianni, già deputato
  26. Beppe Giulietti, presidente FNSI
  27. Tommaso Di Francesco, condirettore Il Manifesto
  28. Giovanni Terzi, giornalista
  29. Elisa Marincola, portavoce Articolo 21
  30. Stefania Maurizi, giornalista
  31. Pier Virgilio Dastoli, docente di diritto dell’UE
  32. Marino Bisso, giornalista, Rete NoBavaglio
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Gentile direttore,

la guerra è un’inutile strage. Sempre. Ma non per tutti. Verosimilmente, nel momento dell’invasione russa, qualcuno, come durante il terremoto, avrà riso e si sarà sfregato le mani, pensando al proprio c/c corrente. Pur non arrivando a tali scelleratezze, se oggi stesso, si arrivasse all’armistizio, chi ci avrebbe guadagnato? A chi giova questa guerra? Ovviamente, ai produttori e ai commercianti d’armi, ma anche al settore dei carburanti fossili: gas, petrolio e perfino il carbone. Forse anche il nucleare anche se ha appena dimostrato il difetto di essere un obiettivo militare. Alla Russia che manterrà l’accesso al mar Nero e con esso al Mediterraneo. Alla Nato che sta ottenendo impegni di maggiori finanziamenti (2% dei bilanci degli aderenti) anche da Paesi finora riottosi. Ai produttori di grano e cereali ogm, che potranno sperare in allentamenti nella finora rigida legislazione europea. Alle locali imprese edili che saranno incaricate della ricostruzione. Il protocollo di Kjoto, la demonizzazione della plastica e dei gas serra sembrano dimenticati. La subsidenza in Adriatico e l’innalzamento dei mari non interessano più. La Pandemia, la vaccinazione del Terzo Mondo e il triplo vaccino a tutti, sono già passati in second’ordine.

Chi ci perde? Senz’altro tutta la povera gente (non solo ucraina o russa). Anche quella italiana. Infatti, i nostri governanti hanno deciso che si dovrà pagare di più in armi, anziché per la sanità, le pensioni, l’educazione, l’aiuto allo sviluppo e le manutenzioni dei ponti e viadotti.

Davide Patuelli
Faenza
27.03.2022

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