Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

L'ULTIMA. Una grande «inchiesta sociale» lanciata da Cgil, Arci e Piazza Grande sulle trasformazioni nefaste degli ultimi anni - gentrificazione, caro affitti, inquinamento - a colpi di questionari

Bologna città della rendita La manifestazione dei Fridays for Future del 6 settembre 2023 sotto le due torri a Bologna - Foto Ansa

Bologna la dotta, la rossa, la grassa. Ora, forse, anche Bologna la diseguale. È questo il tema attorno al quale ruota «L’inchiesta sociale sui costi della città» lanciata nel capoluogo emiliano da Cgil e Istituto per le ricerche economiche e sociali (Ires) assieme a Arci, Link, Udu e Piazza Grande. Volantini e sticker col Qr code sono apparsi in giro per la città: aprendolo ci si trova di fronte al lungo questionario, decine di domande su reddito, trasporti, salute, abitare, welfare.

«ABBIAMO RIPRESO una tradizione della classe lavoratrice bolognese degli anni ‘60 e ‘70» spiega Michele Bulgarelli, segretario della Cgil locale. Molti i quesiti sulla casa – tema scottante a Bologna, seconda in Italia per costo degli affitti. Non solo sui costi sostenuti, ma anche difficoltà nel trovare alloggio, disponibilità dei servizi di base nel quartiere, accessibilità per persone diversamente abili. Molto spazio anche per la transizione digitale – questione cruciale per la popolazione anziana, sempre più spesso costretta a rapportarsi alla burocrazia con strumenti elettronici cui non è avvezza. E ovviamente il tema del lavoro, dei redditi, della sindacalizzazione.

«Stiamo assistendo alla trasformazione del nostro territorio, da città del lavoro a città della rendita. È questo che vogliamo indagare» spiega ancora Bulgarelli. Un problema non nuovo e non limitato alla sola Bologna, ma sempre più urgente. Il capoluogo emiliano è attraversato da più crisi aziendali, frutto di quella deindustrializzazione che colpisce tutto il Paese. C’è la Marelli di Crevalcore, su cui in queste settimane si sta trovando un accordo, C’è l’Industria Italiana Autobus, ex-Bredamenarinibus, la cui vertenza è ancora in alto mare. C’è la Perla, storico brand del lusso ogni giorno più vicino alla chiusura. Contemporaneamente, il turismo trasforma il centro storico, sostituendo gli alloggi coi B&B e le attività storiche coi ristoranti. Un processo che nel lungo periodo rischio di espellere i bolognesi dalla città. «È un problema anche per gli studenti fuorisede: i dati dell’Università ci dicono che calano le immatricolazioni degli studenti del meridione e aumentano quelle di stranieri più benestanti» dice il segretario Cgil. «Sulla scuola nutriamo preoccupazioni simili. La paura è che si torni ad una dinamica tale per cui gli operai iscrivono i figli al professionale e le classi agiate al liceo».

L’INCHIESTA NON ARRIVA da sola. Fa parte di una piattaforma politica concordata tra le realtà aderenti, a sua volta parte de La Via Maestra, il percorso di aggregazione lanciato dalla Cgil a livello nazionale. Nel documento si leggono molti dei temi trattati nel questionario. La giusta transizione, che riguarda sopratutto lo storico settore automotive emiliano. La qualificazione del lavoro nel turismo e nel terziario, ambito povero per eccellenza dove nero e bassi salari fanno da padroni. Poi salute, sicurezza sul lavoro, cura. Tra le proposte una riforma progressiva del fisco, con l’Isee da usare come parametro per riformulare le imposte comunali. Torna anche l’idea dell’1% sociale – una percentuale dei profitti delle aziende da usare per il welfare territoriale. Non manca, ovviamente, il salario: da aumentare e adeguare all’inflazione galoppante.

«VOGLIAMO INDAGARE ciò che non si trova nei database già esistenti. Per questo ci serve uscire dalla nostra bolla: se il questionario lo compileranno solo i lavoratori Lamborghini in assemblea sindacale non sarà rappresentativo dell’intera città. Ci servono disoccupati, giovani, precari, migranti». Per i proponenti l’iniziativa serve a raccogliere informazioni, ma anche a mobilitare le persone. «Stiamo ottenendo i primi risultati. Ad esempio la centralità dell’Isee nelle tariffe di scuola, trasporti e rifiuti sta man mano entrando nella contrattazione con le istituzioni. Ma non basta. A chi compila il questionario diciamo: vuoi cambiare le cose? Mobilitati con noi!».

La raccolta delle risposte proseguirà fino a Maggio. Poi la restituzione, in estate ma non solo. Le realtà studentesche, ad esempio, useranno i dati raccolti anche in occasione dell’apertura del prossimo anno accademico.

NEL MENTRE, IL MALCONTENTO a Bologna cresce. Non ci sono solo le grandi vertenze prima elencate a tenere banco. La città metropolitana pullula di piccole storie, ridotte nelle dimensioni ma non meno dolorose per chi le vive. C’è l’Istituto Santa Giuliana, storica scuola elementare chiusa questa estate dalle suore che la possedevano. Per le lavoratrici si è trovato un accordo sulla buonuscita, ma l’attività non si è salvata. Ci sono i dipendenti della Mymenù, azienda di consegne che ha chiuso i battenti lasciando a casa 35 persone. C’è il problema di Tper, il trasporto pubblico locale che avrebbe disperatamente bisogno di autisti ma fatica a trovarli perché il salario offerto è ormai inadeguato al costo della vita a Bologna. Ci sono studenti e lavoratori precari che protestano contro il costo degli affiti. Lo scorso anno le tende diventarono il simbolo di questo malcontento, e tutt’oggi nella centralissima piazza Verdi – luogo universitario per eccellenza – i collettivi montano igloo e canadesi per ricordare che il probema ancora non è risolto. Ci sono, infine, le lotte ambientali: dalle proteste contro l’allargamento dell’autostrada – il cosiddetto passante – ai comitati di quartiere che cercano di bloccare le tante piccole cementificazioni in corso. Questioni non secondarie nella città che pochi mesi fa ha affrontato l’alluvione e che periodicamente si ritrova soffocata dalla cappa dello smog.

INVERTIRE IL TREND non sembra facile. Il rischio di una Bologna diseguale, in cui vive bene solo chi può contare su una rendita finanziaria o immobiliare, è sempre più concreto. Ai sindacati e ai movimenti il difficile compito di cambiare le cose prima che sia troppo tardi.

 

Commenta (0 Commenti)

Le linee ucraine vacillano e l’economia europea arranca? A Bruxelles il Consiglio di guerra Ue ha la soluzione: riarmo totale. L’apparato militare-industriale ci scommette, i paesi più indebitati come l’Italia si aggrappano agli eurobond per la difesa. Usa primi produttori di armi pronti a un nuovo boom di ordini

EUROBOMB. Consiglio di guerra a Bruxelles, mentre l’Europa si divide sui bond per pagare la difesa

Orbán rompe il fronte Ue: «Mi congratulo con Putin» Viktor Orbán - Getty Images

«La guerra non è un pericolo imminente per l’Europa, quindi non è il caso di spaventare i cittadini». Getta acqua sul fuoco dei più bellicisti l’Alto rappresentante della politica estera Ue Josep Borrell, dopo giorni di chiamata alle armi da parte del presidente del Consiglio europeo Charles Michel e prima ancora del presidente francese Emmanuel Macron.

QUELLA DEL CAPO della diplomazia europea è solo una delle voci dentro e fuori dal coro dei capi di Stato e di governo che convergono sull’Europa Building della capitale continentale con un ricchissimo programma. Si dovranno stabilire gli indirizzi politici su temi chiave della politica estera europea: dalla difesa comune e all’Ucraina, da Gaza all’allargamento dell’Unione verso est (temi trattati ieri), fino alle politiche agricole, off topic ma aggiunte in agenda a seguito delle giornate di protesta del mondo rurale (in discussione oggi). Il vertice si spalma su due giorni e nella prima parte i leader si sono ripetutamente incontrati fin dopo la cena di lavoro, mentre le decisioni saranno scritte nero su bianco solo con il documento finale del Consiglio europeo, previsto per oggi.

Il summit si è aperto nel pomeriggio di ieri con un incontro tra i leader dei 27 e il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che si è espresso su entrambi i fronti di guerra che a diverso livello interpellano l’Europa. «Condanniamo gli attacchi terroristici del 7 ottobre e le violazioni del diritto umanitario internazionale da parte di Hamas, così come anche il fatto che stiamo assistendo a un numero di vittime civili a Gaza che non ha precedenti nel corso del mio incarico come segretario generale».

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

La guerra e l’Europa, una politica ’sub specie aeterni’

Riferendosi invece all’offensiva di Mosca, Guterres ha richiamato l’importanza della pace in Ucraina che sia «pienamente in linea con i principi, il che significa nel rispetto della Carta Onu, del diritto internazionale e dell’integrità e sovranità di Kiev». Sul Medio Oriente gli fa eco Borrell, che nelle ultime settimane non ha risparmiato accenti sempre più critici nei confronti dell’azione militare del governo: «Quello che succede oggi a Gaza è il fallimento dell’umanità».

IN ATTESA che il contrappunto delle diplomazie faccia il suo corso, le vere notizie della prima giornata di Consiglio sembrano arrivare da

Commenta (0 Commenti)

Tempesta perfetta a meno di tre mesi dalle elezioni: sollecitati da Piantedosi, a Bari arrivano gli ispettori. Dopo l’inchiesta per voto di scambio, si rischia il commissariamento. Il sindaco Decaro contrattacca: «Inquietante». Solidarietà dai colleghi Pd, il governo tira dritto

CINICI E BARI . Solidarietà dai sindaci Pd. Il governo: «Lamentele sconcertanti». Sciogliere il consiglio comunale è complesso, i tempi sono stretti

Il sindaco di Bari Antonio De Caro durante la conferenza stampa Il sindaco di Bari Antonio De Caro durante la conferenza stampa - Donato Fasano

Francesco Russo. È questo il nome del personaggio decisivo per gli sviluppi del caso Bari, con l’iter avviato dal ministro degli Interni Matteo Piantedosi per valutare lo scioglimento del consiglio comunale per l’inchiesta sul voto di scambio (137 arrestati, tra cui due consigliere comunali). Russo è il prefetto di Bari, nominato lo scorso autunno, in precedenza in servizio a Salerno e, quando era vice a Milano 15 anni fa, noto per il suo attivismo nelle «emergenze» nomadi e migranti, campagne politiche parecchio intense dell’ultimo governo Berlusconi.

LEGALMENTE è lui che ha in mano le sorti del percorso che potrebbe portare alla fine anticipata del mandato di Antonio Decaro e al commissariamento: a lui infatti spetta la valutazione sull’eventualità di scioglimento per infiltrazioni mafiose, previo confronto con il Comitato per l’ordine e la sicurezza allargato al procuratore locale, il cui parere è certamente importante ma non decisivo. Quello che a Roma può fare il ministro Piantedosi è invece di chiedere di verificare se ci siano le condizioni per uno scioglimento e, al limite, proporlo. L’istruttoria comunque è in carico al prefetto, che poi deve farla avere al Viminale, che a sua volta la fa arrivare al presidente della Repubblica, che infine può firmare un decreto che pone fine alla consiliatura. Più nello specifico, il prefetto Russo dovrà valutare l’entità della faccenda per poi chiedere agli Interni l’istituzione di una commissione con ampi poteri di controllo nei confronti della macchina amministrativa, tra acquisizione degli atti e audizioni che poi vanno obbligatoriamente trasmesse proprio al prefetto. E da lì decidere se

Commenta (0 Commenti)
STRAGE SUL LAVORO. Iniziativa della Uil a Roma. Bombardieri: il governo fa solo propaganda. L'11 aprile sciopero con la Cgil
 Il flash mob della Uil a piazza del Popolo a Roma con mille bare per ricordare i morti sul lavoro nel 2023 - Foto Ansa

Le bare sono di cartone, ma il colpo d’occhio è impressionante: piazza del Popolo a Roma coperta dalle 1.040 vittime sul lavoro del 2023. A quattro anni di distanza, ricordano quelle del Covid. Con la differenza che la striscia di sangue nei cantieri e nelle fabbriche va avanti ininterrottamente da decenni e non accenna ad arrestarsi.

La Uil ha così proseguito la sua campagna itinerante «Zero morti sul lavoro» partita l’anno scorso e che ha già fregiato Roma di un murale all’ex Fiera.

Se sui numeri l’Osservatorio di Bologna di Carlo Soricelli avrebbe qualcosa da ridire – da decenni contesta quelli dell’Inail che conteggia solo i lavoratori con contratto e per il 2023 sostiene che in realtà i morti siano in realtà 1.460, ben 420 in più – sulla sostanza non si discute.

«È UN BOLLETTINO DI GUERRA inaccettabile – attacca subito dal palco il segretario della Uil Pierpaolo Bombardiri – . Oggi vogliamo richiamare le coscienze di tutti, l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media per un dramma che colpisce tante famiglie. Abbiamo bisogno di sensibilizzare le coscienze, di non dimenticare, di costringere la politica e il governo a fare cose subito». «Vogliamo richiamare l’attenzione di tutti su queste vite che abbiamo perso, vite di persone che andavano a lavorare, di chi cercava di portare lo stipendio a casa per mantenere una famiglia. Lo abbiamo fatto volutamente nella giornata della festa della papà, sono tanti papà e tante mamme che non sono tornati a casa perché andavano a lavorare. Dobbiamo considerare la perdita di una sola vita umana inaccettabile. Non possiamo perdere tempo nelle discussioni, nella propaganda», conclude accusando il governo Meloni.

«Non servono palliativi, non serve dirci che c’è un parziale accoglimento delle cose che abbiamo chiesto se poi tutto viene rinviato. Se la vita umana vale 20 punti noi non l’accettiamo. Bisogna fermare le aziende che non applicano le norme sulla sicurezza, inserire l’omicidio sul lavoro e spiegare che il profitto non vale la vita umana. La politica e il Governo non lo stanno facendo”.
Bombardieri ha letto alcuni nomi di quelle persone la cui vita è stata spezzata dal mancato rispetto delle regole sulla sicurezza; lo scrittore Stefano Massini ha letto un testo.

LA MOBILITAZIONE VA AVANTI e c’è una data prescelta: giovedì 11 aprile lo sciopero già preparato dagli edili della Fillea Cgil e Feneal Uil si allargherà a tutte le categorie, sebbene la decisione su quante ore di sciopero fare non è ancora stata presa.

«Abbiamo indetto insieme alla Cgil un percorso di mobilitazione in linea con le piattaforme che abbiamo presentato da tanto tempo sulla sicurezza sul lavoro», spiega ai giornalisti Bombardieri rilanciando l’appuntamento di venerdì 22 marzo alla Leopolda a Firenze dove si riuniranno tutti i delegati di Cgil e Uil. «Abbiamo la necessità di incontrarci con i nostri rappresentanti per la sicurezza e di rifare il punto, vedere rispetto alle piattaforme cos’è successo e rilanciare iniziative di mobilitazione e di sciopero. Non vogliamo arrenderci sulla sicurezza: ce lo chiedono i nostri lavoratori, le famiglie che hanno perso i propri cari», conclude il leader Uil

 
Commenta (0 Commenti)

POLITICA. Duello a distanza sul ddl Casellati. Ma i tempi delle riforme si allungano. La segretaria del Pd: «No netto, forte e motivato». La premier sposta le lancette al 2028

 La segretaria del Pd Elly Schlein durante la conferenza stampa sulla riforma costituzionale del premierato - foto LaPresse

Il Pd ha voluto solennizzare la propria contrarietà al ddl Casellati sul premierato, chiamando ad esprimersi la sua segretaria Elly Schlein, in una conferenza stampa in cui sono state studiate le parole per esprimere l’opposizione a questa riforma, parole che vanno esaminate perché possono dare indicazioni interessanti per il prosieguo del confronto. La contrarietà del Pd, ha detto la segretaria, è «netta, forte e motivata».

«NETTA» SIGNIFICA che una mediazione sull’elezione diretta, non è possibile, concetto ribadito dal capogruppo in Commissione Affari costituzionali Andrea Giorgis, sia nella conferenza stampa che durante la seduta della Commissione; qui sono stati, tra l’altro, esaminati – e bocciati – gli emendamenti che proponevano l’alternativa all’elezione diretta, il modello tedesco. La contrarietà «forte» si traduce in una opposizione dura, a livello parlamentare, che in pratica significa un ostruzionismo senza sconti, in Commissione, ribadito anche ieri, nonostante una nuova richiesta in senso diverso da parte del presidente della Commissione Affari costituzionali, Alberto Balboni. Infine c’è l’aggettivo «motivata» per definire la contrarietà del Pd al ddl ed è quello a cui i senatori dem tengono di più ma che li fa anche arrabbiare di più. Infatti Giorgis e il presidente del gruppo Francesco Boccia si sono lamentati del fatto che alle argomentazioni contro l’elezione diretta e a favore di modelli alternativi, i senatori della maggioranza hanno risposto con il silenzio.

L’elezione diretta, ha affermato Schlein, «è una riforma furba, perché con essa Meloni dice ai cittadini “decidi tu” ma in realtà essa è un “decido io per cinque anni”». In particolare il fatto che «il parlamento sia eletto a trascinamento del premier eletto, mette nelle disposizioni del premier lo stesso parlamento e anche il presidente della repubblica, visto che il premier lo potrebbe eleggere da solo con la propria maggioranza». Insomma nessun peso e contrappeso come invece il semipresidenzialismo alla francese prevede, separando l’elezione del presidente della Repubblica da quelle del parlamento.

In effetti anche ieri, questa obiezione ripetuta in Commissione da Giorgis e da Dario Parrini, non ha ricevuto contro-argomentazioni da parte dei senatori della maggioranza.

MA LA CONTRARIETÀ «motivata» ha anche un altro scopo, illustrato da Schlein, quello di coinvolgere in questa opposizione anche i settori della società. Vuol dire che ci si appresta a una battaglia referendaria. Di referendum ha parlato – ancora una volta – anche Giorgia Meloni, che ieri mattina ha difeso la riforma: «Decideranno i cittadini» ha detto. Ma su questo passaggio la cosa più interessante è la data che la premier ha indicato per il futuro referendum: il 2028, vale a dire oltre la fine di questa legislatura, la cui scadenza naturale è infatti il settembre 2027. Questo rimette in discussione il cammino delle riforme che ci si era immaginato, non solo il premierato ma anche l’Autonomia differenziata. Si pensava, infatti che oltre ad un primo sì in Commissione al premierato prima delle europee, Meloni puntasse anche all’approvazione da parte dell’Aula del Senato entro la pausa estiva di agosto, e l’approvazione definitiva (con la doppia lettura conforme delle due Camere) nel 2025, con referendum nel 2026.

A QUESTO PUNTO non appaiono tattica le parole del presidente della Commissione Balboni che sia ieri che giovedì scorso aveva assicurato che la maggioranza non aveva l’obiettivo di portare il testo in Aula prima delle elezioni europee. Ma a questo punto occorre capire i motivi del rallentamento, che porta a una analoga frenata anche dell’Autonomia differenziata. Le due riforme, infatti, nei patti Fdi-Lega, devono procedere parallelamente: simul stabunt, simul cadent

Commenta (0 Commenti)

VERSO IL CONSIGLIO UE. La premier in Senato strapazza Salvini (assente in aula) senza smentirlo apertamente: «Voto farsa nei territori occupati». Il riarmo è la stella polare, a farne le spese saranno il welfare e il Green Deal

Comunicazioni in senato della premier Giorgia Meloni sul prossimo Consiglio europeo Comunicazioni in senato della premier Giorgia Meloni sul prossimo Consiglio europeo - LaPresse

Il modello della premier è sempre uguale: diplomatica e ragionevole nella relazione informativa iniziale, rissosa e irridente nella replica. Nell’informativa al Senato in vista del prossimo Consiglio europeo non si smentisce.

Nella replica la premier se la prende soprattutto con Giuseppe Conte. Distribuisce sganassoni un po’ su tutto ma in particolare sul chiedere la trattativa con la Russia senza dire su cosa trattare. Salvo il consiglio a Zelensky di smettere la divisa per adottare abiti civili, ovvio per chi «confondeva il governo con la pochette». Non è solo teatro. È una strada per dire forte e chiaro quel che la premier pensa: «Chiedere di trattare lasciando alla Russia i territori che ha occupato significa chiedere la resa e chi dice che le armi inviate sono state inutili dimentica che Putin pensava a una guerra lampo invece combatte da due anni e l’idea di occupare Kiev è ormai fuori dai radar».

In un caso però la premier se la prende anche con il Pd, rispondendo a chi aveva bersagliato le divisioni nella maggioranza: «Noi abbiamo sempre votato tutti allo stesso modo. I problemi ce li avete voi e non parlo dei 5S ma del Pd che sull’invio delle armi si è astenuto».

Sono passati due anni dall’inizio della guerra. Gli obiettivi sbandierati allora sono stati mancati. Quanto sia difficile oggi la situazione dell’Ucraina si incarica di illustrarlo nel drammatico dettaglio Calenda, di ritorno da Kiev. Eppure per il governo italiano sembra non sia cambiato niente. Avanti senza alternative alla guerra sino all’ultimo ucraino. Meloni lo dice, in tono meno comiziante, anche nella relazione iniziale. Non tanto perché ribadisce il pieno sostegno a Kiev o difende l’accordo di «cooperazione a 360 gradi con l’Ucraina». Quello era scontato. Ma perché non esita a chiedersi «come si può trattare con la Russia, che non ha mai rispettato nessun impegno?».

Armi e guerra, dunque, però non soldati: «Non siamo favorevoli alla proposta di invio di truppe europee, foriera di una escalation pericolosa, da evitarsi a ogni costo». Parole sante, ribadite in commissione con altrettanta drasticità dai ministri Tajani e Crosetto.

Ma se la guerra mondiale va evitata, e per fortuna, trattare con Putin non si può, quale sia la terza via resta un mistero. In tutta evidenza non lo sa neppure la presidente. In compenso è magistrale nello strapazzare Salvini (assente in aula) senza smentirlo apertamente. Definisce le elezioni «farsa» ma parla di quelle in Ucraina, nelle zone occupate, su quelle in Russia glissa oppure, di nuovo, attacca in modo obliquo ricordando «il sacrificio per la libertà» di Navalny che «non sarà dimenticato». Per amore o per forza la maggioranza deve essere coesa.

Su Gaza la posizione a prima vista è più equilibrata. Il legame con Israele, come ripete anche Tajani, è fuori discussione. «Non possiamo dimenticare che a iniziare la guerra è stata Hamas e lo ribadisco perché la reticenza tradisce un antisemitismo dilagante», dice Meloni.

Subito dopo però critica la «reazione sproporzionata», si dichiara esplicitamente ostile all’attacco contro Rafah, si felicita per il ricambio al vertice dell’Anp. Sottolinea la necessità dell’unica soluzione possibile, due popoli due Stati. Ma di cessate il fuoco non se ne parla proprio e soprattutto per ora non si parla nemmeno di riprendere gli aiuti economici all’Unrwa. Tajani al momento esclude: «Aspettiamo la fine dell’inchiesta, poi decideremo».

Su due punti strategici la premier è sin troppo chiara. Il riarmo è la stella polare: «La Nato deve avere due colonne di pari peso, gli Usa e la Ue. La libertà ha un costo. La sovranità ha un costo».

Saranno costi salati. A pagarli saranno il Welfare e il Green Deal. Con piena soddisfazione del governo: Meloni, fingendo di parlare di agricoltura, si scaglia contro l’«ideologia green», come la definisce sprezzante la Lega, contro una transizione ecologica che sacrifica la produzione. Basta con le «ideologie da salotto», copyright Carroccio. La parola torna alle armi

 

Commenta (0 Commenti)