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Conti separati «Usa derubati per decenni»: tariffe da mezzanotte, dal 20% per la Ue al 34% per la Cina

«Prima noi», Trump dichiara la guerra mondiale dei dazi Donald Trump annuncia nuovi dazi a Washington – Foto Ap

Il giorno della liberazione in cui Donald Trump avrebbe spiegato i dazi da infliggere al resto del mondo è arrivato
Dal Giardino delle rose il tycoon ha dichiarato che imporrà «tariffe reciproche» che aiuteranno a «rendere di nuovo ricca l’America».
Come alcuni si aspettavano non si tratta di dazi generalizzati ma di imposte variabili nei diversi paesi e settori, divise in tre fasce del 10%, 15% e 20% in base alle tariffe e ad «altre forme di imbroglio».
Ma qua finiscono le conferme perché molti di questi dazi sembrano molto più elevati di quanto la maggior parte degli economisti e politici si aspettassero.
La Cina dovrà affrontare un dazio del 34 %, mentre l’Unione Europea del 20 %. Il Giappone del 24 % e l’India del 26 %. Per il Regno Unito ci sarà un’imposta del 10 %, e anche questo è abbastanza notevole, dal momento che gli Stati Uniti hanno un surplus commerciale con la Gran Bretagna, che è un alleato molto stretto, e che ha cercato in tutti i modi di negoziare un accordo commerciale con gli Stati Uniti.
Trump ha dichiarato che stabilirà anche un dazio di base universale del 10 % che si applicherà a tutti i paesi, oltre a quelli differenziati che ha annunciato all’inizio del suo discorso. Ciò significa che un paese come la Cina dovrà affrontare una tariffa del 44 percento in aggiunta al 20 percento che Trump aveva già imposto.

Rivolgendosi ai paesi stranieri Trump ha detto che una soluzione esiste: «Se volete che la vostra tariffa doganale sia pari a zero, allora costruite il vostro prodotto proprio qui in America».
Allargando il discorso a tutti i continenti Trump ha parlato dell’Africa, anzi, al Sudafrica, terra natale del suo amico Elon Musk: «Stanno succedendo delle cose molto brutte in Sudafrica», ha affermato Trump mentre delineava i dazi reciproci contro quella nazione.
The Donald ha amplificato tutte le affermazioni false sulla persecuzione degli afrikaner bianchi in Sudafrica e ha fatto un’eccezione al suo divieto per i rifugiati prendendosi una pausa dalla descrizione delle sue imposte contro il resto del mondo per criticare i media per la loro copertura del Sudafrica.
Già dal mattino Donald Trump aveva a cominciato ad esultare su Truth Social per l’annuncio dei dazi reciproci contro, tra gli altri, la Cina e l’Unione europea.
«In America è il giorno della liberazione», ha scritto, mentre il resto del mondo aspettava, preoccupato di sapere i dettagli della guerra commerciale, con la fosca prospettiva di un colpo pesante all’economia globale.
Del contenuti di questo annuncio non si è saputo nulla fino all’ultimo momento, nessuna anticipazione, nessun comunicato stampa o trascrizione del discorso inviato ai media a ridosso dell’annuncio, come accade di prassi, alimentando le voci di un discorso i cui contenuti sono stati messi insieme all’ultimo momento, senza nessuna strategia alle spalle.
Il clima di incertezza riguardante l’implementazione e il tipo di dazi che Trump avrebbe ordinato ha segnato tutta la giornata, di giorni precedenti, con voci di Ceo che cercavano di contattare The Donald per chiedergli di risparmiare la loro azienda.
Durante il giorno il dollaro statunitense era crollato bruscamente rispetto alle valute principali, scendendo di circa lo 0,8% rispetto alla sterlina e dello 0.8% rispetto al US Dollari Index, una misura chiave che confronta la valuta statunitense con un paniere di rivali.
Anche le borse hanno reagito agli sviluppi provenienti dagli Stati Uniti, in un clima di incertezza su come il commercio globale sarà influenzato dai nuovi dazi e su quanto i paesi interessati risponderanno.

 

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Il rapporto approvato con 399 voti a favore, tra dem hanno votato no Tarquinio e Strada. Maggioranza divisa in tre. Conte (M5S): "Una follia dietro l'altra"

Europarlamento - Afp Europarlamento - Afp

Il Parlamento europeo ha approvato oggi a Strasburgo, nella plenaria, il rapporto sulla politica di difesa e di sicurezza comune 2024, con 399 voti a favore, 198 contrari e 72 astenuti. Hanno votato sì il Ppe, compresa Forza Italia, l’S&D (Pd incluso, a parte gli indipendenti), Renew Europe, una parte dell’Ecr (non Fdi) e buona parte dei Verdi/Ale (non gli italiani, che hanno votato no).

Contro hanno votato una parte dell’Ecr e alcuni socialisti, tra cui Cecilia Strada e Marco Tarquinio, indipendenti del Pd, oltre all’estrema destra dell’Esn e ai Patrioti, Lega inclusa, più alcuni Verdi tra cui gli italiani, come detto. Contro anche la Left, inclusi i Cinquestelle. Astenuti parte dell’Ecr, tra cui Fdi, e altri deputati di vari gruppi.

L'emendamento 19 al paragrafo 9, presentato dal relatore del Ppe Nicolas Pascual de la Parte, del Partido Popular, che appoggia esplicitamente il piano ReArmEu presentato da Ursula von der Leyen è stato votato per alzata di mano ed è stato approvato a maggioranza.

Dunque, nel testo approvato è presente il paragrafo 9 bis, con il quale il Parlamento Europeo "accoglie con favore il piano ReArm Europe (resta nei testi il vecchio nome scelto da Ursula von der Leyen, non il 'rebranding' Readiness 2030, ndr) in cinque punti proposto il 4 marzo 2025 dalla presidente della Commissione".

 

Il Pd stavolta tiene

No all'emendamento a favore del riarmo e sì nel voto finale sulla 'Relazione annuale sulla politica di sicurezza e difesa'. Questa la mediazione che ha evitato nuove spaccature, dopo quella lacerante di alcune settimane fa, nella delegazione Pd in Europa guidata da Nicola Zingaretti. Un'articolazione nelle votazioni che ha consentito alla maggioranza dem di riaffermare la contrarietà al piano Von der Leyen: secondo la segretaria Elly Schlein necessita di una revisione 'radicale', come chiesto nella risoluzione Pd votata a Montecitorio nei giorni scorsi.

Ma che soddisfa anche l'area riformista con il sì -in linea stavolta con la famiglia socialista europea- nel voto finale sulla Relazione, documento ampio in 61 pagine che comprende tutti gli aspetti della politica estera europea, dall'Ucraina al Medio Oriente. "C'è un cambiamento molto significativo rispetto alle posizioni di un mese fa della maggioranza del partito. Una grande vittoria politica", ha commentato un esponente della minoranza dem a Strasburgo.

Dalle parti della segreteria Pd si rimarca la presa di posizione sul ReArm. Dice il responsabile Esteri della segretaria Schlein, Peppe Provenzano: "Il Partito democratico ha più volte chiarito, nelle sedi politiche e parlamentari, la sua linea di contrarietà alla corsa al riarmo dei singoli Stati e di impegno per la costruzione di una vera difesa europea. Bene il voto contrario agli emendamenti che ripropongono l’impianto iniziale di Von der Leyen, che invece necessita di una radicale revisione". Una posizione ribadita da tutta la segreteria Pd, da Marco Sarracino a Marina Sereni e Marco Furfaro.

 

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Riarmo Il leader M5S rinnova l’invito al Pd per la prima manifestazione senza incursioni di Grillo. Raggi assente «per motivi familiari». Barbero, Travaglio, Montanari e Onufrio sul palco insieme alla Rete dei numeri pari

Giuseppe Conte foto Ansa Giuseppe Conte – Ansa

Quella del 5 aprile sarà la prima manifestazione nazionale del Movimento 5 Stelle senza Beppe Grillo. Nella primavera di due anni fa, in occasione del corteo che l’avvocato aveva voluto dedicare ai temi del lavoro precario e al reddito di cittadinanza, il fondatore spuntò ai lati del palco per guadagnare il centro della scena e invocare la nascita di «brigate di cittadinanza» che si dedicassero «in passamontagna» alla cura di strade e giardini. Ottenne l’effetto di oscurare il neo-leader, che pure aveva pazientemente costruito quell’evento e ottenuto che vi si affacciasse, per un saluto a favor di telecamere, anche Elly Schlein.

NON SI SA ancora se e in che modo la segretaria del Partito democratico comparirà, dopo aver fatto della difesa comune Ue e del no al piano von der Leyn la linea del suo partito. Di certo Conte sta provando a costruire un evento che provi a esprimere al tempo stesso la centralità del suo M5S e la contaminazione con altre forze. «Abbiamo aperto a tutte le forze politiche, le associazioni, i singoli cittadini – spiega a questo proposito il leader dei 5 Stelle – Quindi confido assolutamente che ci sia anche il Pd e che ci siano tutte le altre forze che ritengono questo piano di riarmo una prospettiva completamente folle che farà malissimo all’Italia e distruggerà anche l’unità e l’integrazione dell’Europa».

NEL FRATTEMPO, tra conferme e nuove indiscrezioni, prende corpo la lista degli ospiti che parleranno dal palco dei Fori imperiali: ci sarà lo storico Alessandro Barbero. Assieme a lui il direttore del Fatto quotidiano Marco Travaglio, Giuseppe Onufrio di Greenpeace e il rettore dell’Università per stranieri di Siena Tomaso Montanari. Ieri è arrivata anche l’ufficializzazione della partecipazione dei due leader di Alleanza Verdi Sinistra. «Io e Bonelli saremo presenti – dice Nicola Fratoianni – Conte ci ha invitato e quindi andremo. Condividiamo gli elementi di fondo di questa manifestazione, su molte di queste questioni abbiamo posizioni che sono molto convergenti e quindi non abbiamo difficoltà ad esserci».

NON CI SARÀ, come è noto da tempo, la Cgil. Maurizio Landini ha spiegato una volta per tutte che il sindacato non aderisce a iniziative di partito. Ci sono state fasi in cui l’asse tra lui e Conte pareva più evidente: il M5S partecipò con grande evidenza alla piazza del 5 novembre 2022. In seguito, l’elezione di Schlein a segretaria ha un po’ riequilibrato lo stato dei rapporti tra Corso Italia e forze d’opposizione. Dal palco della manifestazione romana di sabato parlerà comunque Elisa Sermarini della Rete dei Numeri pari, che unisce diversi nodi territoriali e campagne contro la povertà e la cui agenda sociale ha più volte trovato il sostegno dei 5 Stelle.

ASSENTE, ma «per motivi familiari», l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi, che ha assicurato sostegno alle cause della manifestazione. La sua non partecipazione pare fare il paio con quella, meno inattesa, di Alessandro Di Battista. La sua figura avrebbe rappresentato un’apertura a mondi del M5S dell’era (fortunata dal punto di vista elettorale) «né di destra né sinistra» ma sarebbe anche stata ingombrante per la gestione Conte. Tra le altre adesioni quelle degli ex parlamentari Paolo Cento, Loredana de Petris e Stefano Fassina, oggi promotori del Polo Progressista che alle ultime regionali nel Lazio ha corso insieme ai pentastellati.

SARÀ INTERESSANTE vedere se arriverà in piazza un altro ex sindaco di Roma: Ignazio Marino, dopo essere stato eletto al parlamento europeo nelle liste di Avs, in quota Europa Verde, pare molto attivo sul fronte della corsa del 2027 per la guida della capitale. Secondo alcuni scenari, starebbe lavorando al suo ritorno al Campidoglio. Da tempo contesta a Roberto Gualtieri soprattutto la gestione dei rifiuti e la costruzione del mega-inceneritore di Santa Palomba, nella periferia sud-ovest. Se davvero volesse scendere in campo, Marino non potrebbe fare a meno dell’appoggio di Conte. E la piazza del 5 aprile, sussurrano in molti, sarebbe un ottimo palcoscenico per sondare le sue aspirazioni.

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Alle 22 ora italiana, nel Giardino delle Rose alla Casa Bianca, Donald Trump dichiarerà oggi la guerra mondiale dei dazi. Il grande obiettivo è l’Europa. Von der Leyen: «Pronti a reagire». Ma tra i singoli paesi cresce la tentazione di trattare da soli. È ciò che Trump vuole

Conti separati Il piano di contromisure di von der Leyen mira a dove fa più male ma pezzi di singoli paesi pensano a sè. E Londra va avanti da sola. Per l’Europa è il giorno della paura. Il sondaggio di YouGov: la maggioranza vuole i controdazi

Operai di un'acciaieria italiana foto Getty Operai di un'acciaieria italiana – Getty Images

Davanti ai dazi di Trump, che ha provato in tutti i modi a scongiurare, l’Europa ha paura. Ma se lo scenario tanto temuto si verifica, come tutto lascia pensare, non mettere in campo misure per colpire l’economia Usa diventa impossibile. L’Europa non vuole farlo ma deve. Soprattutto perché, data la sua forza economica, è in grado di fare male a Washington. Altra cosa è se vuole, perché questo riguarda le decisioni politiche, su cui i governi del Vecchio continente parlano con più voci o rischiamo di dividersi di fronte alle tentazioni trumpiane di trattamenti diversificati.

PRIMA A PARLARE, la Commissione europea si dice pronta a rispondere alle misure che The Donald annuncerà stasera. A quanto si apprende da ambienti Ue, la replica europea non è ancora decisa nei dettagli, ma sarà modulata a seconda delle tariffe speciali che Donald Trump imporrà a cinque settori in particolare, tra cui quello dell’automotive, dei semiconduttori e dei prodotti farmaceutici: tutti ambiti strategici per l’economia europea. Sulla base dell’intensità del colpo inferto dagli Usa a Bruxelles, l’Ue si prepara a colpire a sua volta settori dell’economia Usa in modo mirato, anche scegliendo i prodotti che arrivano dalle aree degli Usa in cui il sostegno elettorale al leader repubblicano è stato più forte.

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen foto Ap
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen foto Ap

UNA LISTA DI BASE delle contromisure, uscita dalla consultazione con le realtà produttive europee, l’esecutivo Ue ce l’ha già nel cassetto. Si va dalla carne bovina al pollame, fino alla soia e al legname, alle Harley-Davidson e al whiskey. Negli ambienti della Commissione si è sperato fino all’ultimo nella possibilità di un accordo, che però sembra essere sfumato, a meno di improbabili sorprese dell’ultimo minuto. Rimane aperta l’ipotesi di sanzioni che possono fare ancora più male, come quelle contro le Big Tech e la finanza, entrambi fiori all’occhiello dell’economia Usa. Si parte da una considerazione: se l’Ue ha un surplus sui beni verso gli Usa, questi ultimi ne hanno un riguardo ai servizi digitali. Bruxelles poterebbe così decidere di prendere di mira aziende dome Meta, Google, Amazon o X, così come istituti finanziari del calibro di JP Morgan o Bank of America. «Questi giganti pagano poco alla nostra infrastruttura digitale, da cui però traggono molto vantaggio», ha sottolineato il leader Ppe Manfred Weber.

Questo scontro non l’abbiamo iniziato noi e non vogliamo necessariamente reagire. Però abbiamo un piano forte, se serve Ursula von der Leyen

«Saremo in una posizione di forza, perché l’Europa ha molte carte in mano: il commercio, la tecnologia, le dimensioni del nostro mercato», ha argomentato ieri la presidente della Commissione Ursula von der Leyen parlando davanti agli eurodeputati riuniti a Strasburgo per la sessione plenaria dell’Eurocamera. «Questo scontro non l’abbiamo iniziato noi e non vogliamo necessariamente reagire. Però abbiamo un piano forte, se serve», ha aggiunto Ursula. Oltre al braccio di ferro con Washington, nel delineare la strategia europea, la presidente della Commissione ha elencato anche la via d’uscita degli

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Diritto internazionale Il viaggio in Ungheria e il salvacondotto offerto da Orbán pongono questioni radicali sul diritto. E sfidano l’Ue: è ancora una potenza civile o è già quella del riarmo?

Sostenitori di Israele a Budapest, in Ungheria foto Janos Kummer/Getty Images Sostenitori di Israele a Budapest – foto Janos Kummer/Getty Images

Il primo ministro ungherese Orbán accoglierà a Budapest con tutti gli onori un latitante. Dal 20 maggio scorso sul premier israeliano Netanyahu pende un mandato di arresto della Corte penale internazionale (Cpi) per crimini di guerra (affamamento, omicidio, attacchi intenzionali contro i civili) e crimini contro l’umanità (sterminio, persecuzione).

Sembra che si parlerà della deportazione degli abitanti di Gaza – il sogno di Trump – e Orbán appare a suo agio nel ruolo del bambino che esclama «il re è nudo». Ma il re era da tempo ben poco vestito.

Tutti gli Stati dell’Ue fanno parte della Cpi e sono obbligati a eseguire i suoi mandati, ma dopo la ripresa del massacro di Gaza il primo ministro greco Mitsotakis ha incontrato Netanyahu, con cui ha discusso di cooperazione nella difesa. È stato preceduto a Gerusalemme dall’Alta rappresentante per la politica estera dell’Ue, Kallas. E il governo tedesco ha criticato subito la decisione della Cpi facendo riferimento alla «grande responsabilità» che la Germania sente nei confronti di Israele per la Shoah: siccome i nostri bisnonni hanno sterminato gli ebrei, noi dobbiamo chiudere un occhio sulla mattanza dei palestinesi. Appena vinte le elezioni, Merz, imminente Bundeskanzler, ha dichiarato assurdo il mandato di arresto e invitato Bibi in Germania. Sempre ineffabile, il nostro Tajani dopo qualche tentennamento ha detto di aver «le carte» e che le scelte della Corte, «ispirate a principi politici», non sono fondate. Il ministro degli esteri di una repubblica democratica dovrebbe concedere qualche argomento in più ai suoi concittadini, ma noialtri i ricercati dalla Cpi li accogliamo simpaticamente o li riaccompagniamo a casa con un volo di Stato, come è avvenuto con Almasri. I francesi sono più seri: il governo ha fatto riferimento all’articolo 98 dello Statuto di Roma della Cpi. Il quale effettivamente stabilisce che nelle richieste di assistenza e di consegna la Corte non può violare gli obblighi che uno Stato ha in merito all’immunità diplomatica o a trattati sottoscritti. Ma l’articolo 27 stabilisce chiaramente che l’essere presidente, premier, parlamentare o diplomatico «non esonera in alcun caso una persona dalla sua responsabilità penale» e che «Le immunità o regole di procedura speciale eventualmente inerenti alla qualifica ufficiale di una persona in forza del diritto interno o del diritto internazionale non vietano alla Corte di esercitare la sua competenza».

Negarlo contraddirebbe il principio fondamentale della Cpi, esattamente la responsabilità penale per gli individui (articolo 25) per aggressione, genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra (articoli 5-8) . Del resto, i governi europei non si sono sognati di contestare il mandato di arresto per Putin.

Questo principio era visto dal giurista Hans Kelsen come decisivo perché si potesse realizzare la «pace attraverso il diritto». Le sue prime applicazioni dopo la

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Centrosinistra La leader Pd: «No ad accordi di palazzo, scelga dove stare. Con il M5S punti in comune sulla difesa europea». I dem avvisano Azione: a rischio le alleanze locali. Conte a Salvini: vota contro le armi

Elly Schlein con Carlo Calenda Elly Schlein con Carlo Calenda – Ansa

«Penso che Carlo Calenda debba decidere: non si può stare con i due piedi in due scarpe». Elly Schlein tira una riga dopo la due giorni di congresso di Azione, da cui si è tenuta debitamente alla larga. Due giorni in cui Calenda ha flirtato con Meloni, sparato a zero contro il M5S («Andrebbe cancellato») e auspicato la nascita in Italia di un gruppo di «volenterosi» pro-riarmo con Fi, + Europa e la destra Pd. Una sorta di forza di rincalzo pronta a sostituire la Lega in caso di crisi di governo dovuta ai ripetuti no di Salvini al piano von der Leyen.

UNO SCENARIO DA INCUBO, da cui hanno preso le distanze anche i riformisti Pd. Nonostante la presenza chez Calenda di Pina Picierno e Paolo Gentiloni, indicato come premier ideale. «Non mi è mai passato per la mente anche il solo pensiero di lasciare il Pd, i terzi poli hanno fallito», la risposta di Dario Nardella, uno dei citati dal capo di Azione.

Schlein ieri ha voluto mettere in chiaro un punto, che va molto oltre le sparate di Calenda, e riguarda il tentativo di arruolare il Pd nel fronte pro-riarmo. E addirittura come possibile ruota di scorta di Meloni, in uno scenario che lascerebbe fuori solo Lega, M5S e Avs. «La linea del Pd è una, è chiara: noi torneremo al governo vincendo le elezioni con una coalizione progressista, senza larghe intese, senza accordi di palazzo», ha detto a Tagadà su La7. «Questo è il mandato molto chiaro che ho ricevuto alle primarie che ho vinto. Calenda decida da che parte stare».

PER IL PD SOTTRARSI ad abbracci mortali con la destra nel nome delle larghe intese e dell’emergenza è sempre stato impossibile: da Bersani con Monti fino a Zingaretti con Draghi, anche le leadership più a sinistra sono sempre state risucchiate nel nome della responsabilità. Schlein fa capire che lei non seguirà l’esempio dei predecessori.

Quanto a Calenda, il messaggio che arriva dal responsabile organizzazione Igor Taruffi è secco: «Non si può continuare con la politica dei due forni. Anche sui territori». In autunno si voterà in 6 regioni, Azione è in trattativa per far parte delle coalizioni progressiste, dalla Campania alla Toscana. Sta nel centrosinistra anche a Genova, dove si voterà a maggio per il Comune.

«Contraddizione imbarazzante», fanno notare da Forza Italia. «Qui andiamo avanti, c’è la fiducia di tutti nel mio progetto», prova a scansarsi la candidata sindaca Silvia Salis. Ma è un tema destinato a riemergere, come alle scorse regionali d’autunno, quando Conte mise il veto sul simbolo di Italia viva nelle coalizioni in Emilia-Romagna e Umbria. E stavolta, dopo i proclami distruttivi di Calenda, nessuno potrà obiettare se Conte dirà no ad Azione nelle coalizioni di centrosinistra.

CALENDA, TONIFICATO dalla visibilità mediatica del weekend, replica ai dem. «Cara Schlein, noi stiamo al centro dove ci hanno messo gli elettori. Non andiamo dietro ai populisti filo putiniani e non ci asteniamo quando si tratta di Ucraina, riarmo europeo e difesa. Il resto è fuffa».

Quanto ai 5 stelle, la leader Pd usa i guanti di velluto: «Ci sono delle differenze tra di noi ma anche punti in comune sulla politica estera e, in particolare, sul tema della difesa europea», ha detto ieri. «Ho sentito spesso anche M5s e Conte parlare di difesa comune e ci sono anche delle similitudini nelle critiche fatte al piano Rearm». Sul sostegno militare all’Ucraina «è una delle differenze che ci sono tra noi. Dopodiché segnalo che si parla sempre delle differenze tra le opposizioni quando la responsabilità di una politica estera grava soprattutto sul governo e lì ci sono tre partiti con tre linee diverse».

Divisioni, quella nella destra, che secondo Schlein vengono poco enfatizzate dai media, mentre la premier la accusa di volere un’Europa come una «comunità hippy» e senza armi. «Si è mai visto un governo che in mancanza di una politica estera passa il tempo a attaccare l’opposizione? Un governo diviso che ha dovuto scrivere una mozione che non citava né la difesa europea né il piano di riarmo», l’attacco di Schlein. «La cosa assurda è che la presidente del Consiglio sostenga che non ci sia alternativa tra abbassare testa di fronte a dazi di Trump ee uscire dalla Nato».

CONTE ACCUSA Calenda di aver detto «cose gravissime e profondamente antidemocratiche» sul M5S. «Vogliamo cancellare il vostro modo di fare politica fondato sul trasformismo, populismo e prese in giro degli elettori», replica il leader di Azione. L’avvocato sfida Salvini sulle armi: «Non contano le chiacchiere nei talk show ma come voti in Parlamento. E Salvini è rigorosamente allineato alla maggioranza nella prospettiva guerrafondaia. Noi abbiamo presentato una mozione contro il piano di riarmo: la voti e vedremo se alle chiacchiere seguiranno i fatti».

Quanto al Pd, il leader 5S usa toni pacati: «Schlein, con fatica, sta provando a invertire la rotta rispetto alle componenti del suo partito che spingono per il riarmo. Mi auguro che ce la faccia». Dal Nazareno ancora nessuna conferma sulla partecipazione alla piazza 5S di sabato. E Renzi si dice pronto ad allearsi anche con Conte: «Se non ci uniamo regaliamo altri 5 anni a Meloni. Calenda la considera brava, io no»

 

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