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Comunali Schlein: «La premier esulta per i sondaggi, noi vinciamo le elezioni». Avs: colpo al governo. La neosindaca: la destra si può battere ovunque. Confermati i numeri delle regionali: Pd primo al 29%, poi Avs e 5S. Fdi in leggero calo dal 13 al 12%. Il candidato sconfitto Piciocchi attacca i partiti alleati: «Sotto le aspettative»

Silvia Salis al point elettorale dopo la vittoria alle Comunali di Genova foto Ansa La neosindaca di Genova Silvia Salis – Ansa

Le comunali di Genova si chiudono al primo turno. Silvia Salis, ex atleta ed ex vicepresidente del Coni, riesce nell’impresa di mandare a casa la destra che governava la città dal 2017: si impone col 51,5% contro il 44% delle destre. E manda un messaggio alla politica nazionale: «Quando è unito il campo progressista non deve avere paura di nessuna elezione, locale o nazionale. Quando ci concentriamo sulle tante cose che ci uniscono possiamo vincere ovunque». Una sorta di prenotazione per una futura ribalta nazionale a cui Salis punta seriamente, anche se alle domande dei cronisti risponde con diplomazia: «Per i prossimi 5 ani il mio compito sarà servire Genova e i genovesi».

LA TELEFONATA DEL CANDIDATO sconfitto di centrodestra Pietro Piciocchi arriva a metà pomeriggio, quando lo spoglio dei voti reali è ancora a metà ma le proiezioni danno già un distacco amplissimo. «Colloquio breve e molto formale», dice Salis. Lui attacca gli alleati: «I risultati di Fratelli d’Italia e Forza Italia sono stati al di sotto delle aspettative. Ognuno si deve fare un esame di coscienza». I meloniani sono scesi dal 13,5% delle regionali al 12,4, Fi dal 4,1 al 3,7%.

FUORI DAL COMITATO elettorale di Salis in via Carducci, a pochi metri dalla sede della Regione governata dalle destre, i militanti bevono birra e cantano «Maledetta primavera». I risultati sono gli stessi dell’ottobre scorso, quando alle regionali Andrea Orlando (pur sconfitto di misura) si impose nella città di Genova con 8 punti di distacco su Marco Bucci.

Sarebbe ingeneroso dire che il centrosinistra avrebbe vinto con qualunque candidato, Salis ha fatto una campagna capillare e la sua figura ha certamente interpretato una netta volontà di cambiamento dei cittadini. C’è invece un’enfasi eccessiva nel sottolineare quanto sia stata decisiva l’unità del cosiddetto campo largo, da Avs fino a Iv. I numeri sono quelli delle regionali, con il Pd al 29%, Avs al 6,8% e il M5S al 5,2%. Allora la lista riformista con dentro Azione (ma non i renziani) prese il 2,1%, questa volta la lista centrista (con Iv) ha preso il 2,3%. Dunque non è cambiato nulla, ma la vittoria contro una destra che aveva messo profonde radici in città ha eccitato gli animi nel centrosinistra, anche nazionale.

DA ROMA ARRIVANO messaggi di giubilo: «Due straordinarie vittorie al primo turno a Genova e a Ravenna, con Silvia Salis e Alessandro Barattoni», dice Elly Schlein, che cita anche la vittoria ad Assisi e il vantaggio del candidato dem a Taranto. «Ormai è chiaro, il centrodestra esulta per i sondaggi, noi vinciamo le elezioni».

Fratoianni e Bonelli suonano la carica: «Uniti si vince: questo è il messaggio che viene dai comuni in cui si è votato: è l’avviso di sfratto a Meloni, la destra si può battere, è minoranza nel paese». Il più felice di tutti è Matteo Renzi: Salis, pur non avendo mai fatto politica, è ascrivibile alla sua area, il marito Fausto Brizzi, regista e molto presente in campagna elettorale, ha curato la regia delle prime Leopolde.

Il leader di Iv posta sui social una foto con Salis proprio alla Leopolda e scrive: «Quando il centrosinistra non mette veti, succede che vince. Meloni ha preso una scoppola mica da ridere, per lei si è rotto l’incantesimo». Conte è più cauto: «Genova dimostra che progetti nati dal basso ed inclusivi delle proposte della società civile sono percepiti dai cittadini come più vicini alle proprie esigenze».

SALIS DEDICA LA VITTORIA al padre, custode del campo comunale di atletica dove è iniziata la sua avventura di atleta (lancio del martello), scomparso a febbraio, nei giorni in cui lei ha accettato la candidatura. E ricorda come la voglia di cambiamento, e la bocciatura del lavoro di Bucci (che si è dimesso da sindaco dopo l’elezione a governatore), fosse già chiara alle regionali. «La destra ha puntato sulle grandi opere, descrivendo la nostra coalizione come “quelli del no” in modo grossolano», dice Salis. «Ma hanno trascurato le infrastrutture sociali, la quotidianità delle persone».

La neosindaca si riconosce un altro merito: «Da destra sono scesi molto in basso, con beceri attacchi personali: mi sono imposta di non scendere mai al loro livello e ci siamo riusciti».

QUANTO AL FUTURO, conferma che la prima riforma sarà quella decentramento, per ridare poteri e risorse ai municipi e che nella giunta potrebbero esserci esterni di peso. Sui referendum si sbilancia: «Voterò 5 sì, è terribile vedere rappresentanti delle istituzioni che invitano all’astensione». Poi parte a piedi dalla sede del comitato, seguita dai militanti, con il figlio piccolo in braccio, verso la sede del Comune a palazzo Tursi. Sotto la regione a piazza De Ferrari parte il coro «Bella ciao» e «Siamo tutti antifascisti».

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Forzatura dopo forzatura, il decreto sicurezza procede spedito. Mentre i banchi semivuoti della Camera testimoniano il colpo inferto al ruolo del parlamento, la protesta dei movimenti viene fermata dalle cariche della polizia. Oggi il voto blindato imposto dal governo

Colpi di fiducia Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, impone il voto blindato oggi alla Camera. Il «Dl fascistissimo» approda in un’Assemblea semi deserta. Mini maratona oratoria del M5S. Via libera entro la settimana, poi la palla passa al Senato. Le associazioni della Rete a Pieno Regime rilanciano il digiuno a staffetta con 550 aderenti

Il decreto Sicurezza corre veloce nel vuoto del parlamento L’Aula della Camera ieri durante la discussione sul Dl Sicurezza – E. Ma.

Se il ruolo del Parlamento viene cancellato, il Parlamento si svuota. E così al pomeriggio, mentre fuori dal palazzo centinaia di cittadini manifestano contro il decreto Sicurezza approdato in Aula alla Camera per la conversione in legge, il push governativo che ha esautorato il potere legislativo si mostra plasticamente nei banchi vuoti della maggioranza (occupati solo da sei deputati di Fd’I) ma anche purtroppo nella desolazione degli spalti riservati alle opposizioni (sette dem siedono ai loro posti, più folto il gruppo dei pentastellati con ben 12 deputati intenti in una piccola maratona di interventi, sebbene dai tempi contingentati). Qualche parlamentare in più era presente in mattinata.

Ad ogni modo, è in questo panorama che è arrivata ieri senza grandi scossoni la questione di fiducia, posta dall’esecutivo per bocca del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, sul «testo delle commissioni riunite identico a quello presentato dal Governo». Ossia, ha precisato, «senza emendamenti e subemendamenti e articoli aggiuntivi», periti sotto la tagliola imposta nelle commissioni. La fiducia verrà votata oggi a partire dalle 18 con appello nominale, poi la Camera proseguirà nell’esame del provvedimento anche in seduta notturna per arrivare al primo via libera giovedì o al massimo venerdì. Dopodiché, con altrettanta rapidità e spregio delle istituzioni, il dl passerà al Senato.

QUELLA SUL «FASCISTISSIMO decreto», come qualcuno lo ha bollato, «è la fiducia numero 89 posta dal governo Meloni», conteggia il relatore di minoranza Riccardo Magi, segretario di +Europa, ospitando a Montecitorio in conferenza stampa le associazioni della «Rete a Pieno Regime» impegnate in un digiuno a staffetta al quale hanno già aderito più di cinquecento persone e in altre iniziative di resistenza passiva e disobbedienza civile al provvedimento. Nella sua relazione di minoranza, Magi demolisce punto per punto il decreto e invita «l’assemblea a respingere in toto» il testo che, con i suoi 14 nuovi reati penali e nove aggravanti, risulta un maxi contenitore di norme «scritte male – sostiene il deputato di +Europa – ingannevoli, indeterminate, in parte incostituzionali e improntate al peggior populismo penale».

Provo sgomento di fronte alla grande spregiudicatezza nell’inventare norme, un’inventiva che sconfina nell’illegalità Grazia Zuffa

Nel metodo, poi, con quel ricorso ingiustificato alla decretazione d’urgenza da parte del governo al solo fine di aprire uno scivolo immediato al ddl che era giunto ormai, dopo un anno e mezzo, alle ultime battute in Parlamento, il provvedimento governativo costituisce «un salto di qualità» (si fa per dire) e mostra l’«uso spregiudicato delle prerogative delle camere, delle commissioni e dei presidenti della Camera e del Senato, il cui silenzio – conclude Magi – è grave e spaventa». Antigone, Arci, Cnca, Cgil, Forum droghe e Società della Ragione, da parte loro, spiegano in conferenza stampa in che modo il «decreto liberticida» cambierà nel concreto «la vita delle persone, soprattutto dei più fragili» e perché quel testo costituisce una svolta preoccupante che ci fa passare «dallo Stato di diritto alla Stato di prevenzione». «Questo decreto non è in linea con i pacchetti sicurezza che da decenni infestano il nostro Paese – rimarca l’ex sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone – ma rappresenta un balzo verso la costruzione di uno Stato etico e di polizia, con norme che addirittura peggiorano il codice Rocco», ereditato del regime fascista.

NATURALMENTE la cosa non scalfisce minimamente la premier Giorgia Meloni che, anzi,

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Il testo rappresenterebbe una dichiarazione della Repubblica Popolare Cinese sulla questione palestinese; non abbiamo trovato evidenze circa la veridicità dello stesso, ma riteniamo che quanto riportato sia umanamente valido e condivisibile, indipendentemente dall'autore, per denunciare il genocidio in corso a Gaza

Dichiarazione della Cina sul genocidio a Gaza Dichiarazione della Cina sul genocidio a Gaza

Ecco il testo la cui fonte riportata e la seguente: "DICHIARAZIONE DELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE SULLA QUESTIONE PALESTINESE, di Wang Yi, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, 17 maggio 2025"

Compatrioti, membri della comunità internazionale e illustri rappresentanti delle nazioni del mondo:

A nome del governo della Repubblica Popolare Cinese, con profonda preoccupazione e con un incrollabile senso di responsabilità per la pace, la giustizia e il rispetto del diritto internazionale, oggi alziamo la nostra voce per esigere la cessazione immediata dell’invasione e dell’aggressione militare che attualmente Stati Uniti e Israele stanno perpetrando contro il popolo palestinese nella Striscia di Gaza. Questa catastrofe umanitaria ha raggiunto livelli inaccettabili e minaccia non solo la stabilità regionale, ma anche la coscienza morale dell’intera Umanità.

La Striscia di Gaza non è un territorio conteso né una terra senza identità. Gaza è parte inseparabile del territorio storico palestinese. Gaza non è merce di scambio per negoziati politici, né è un terreno di disputa dove possa imporsi la volontà del più forte attraverso la guerra. Ogni bomba che cade su Gaza è una ferita aperta nel corpo del diritto internazionale e un affronto a un popolo che ha subito decenni di occupazione, di esilio forzato e di violenza.

Dalla Cina osserviamo con crescente allarme come le forze militari israeliane, con il sostegno logistico e diplomatico degli Stati Uniti, proseguano una campagna militare sproporzionata e devastante. Centinaia di migliaia di vite civili sono messe in pericolo, intere famiglie cancellate dalla mappa, ospedali, scuole, rifugi e centri umanitari attaccati. Il popolo palestinese è intrappolato tra le macerie, il fuoco incrociato e l’abbandono internazionale.

Gaza è già devastata. Le sue strade sono macerie, i suoi bambini, orfani; le sue madri, sepolte; le sue case, cenere. La situazione è di una miseria indicibile. Non è possibile, né moralmente né giuridicamente accettabile, che la comunità internazionale resti impassibile di fronte a tale orrore. Per questo esigiamo la cessazione immediata e incondizionata delle operazioni militari israeliane e il loro ritiro da Gaza. Esigiamo inoltre che gli Stati Uniti, in quanto membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, abbandonino la loro politica di veto sistematico alle risoluzioni volte a fermare la violenza e proteggere il popolo palestinese.

La Cina ha sempre mantenuto una posizione ferma a favore dei diritti legittimi e inalienabili del popolo palestinese. Riconosciamo il loro diritto all’autodeterminazione, a uno Stato indipendente e al rispetto incondizionato della loro integrità territoriale. In questo senso, la Cina ribadisce la sua opposizione a qualsiasi piano o tentativo di trasferimento forzato della popolazione di Gaza. Espellere un popolo dalla propria terra non è una soluzione: è un crimine, e come tale non può essere tollerato né ignorato.

La pace in Medio Oriente non sarà possibile senza giustizia, e la giustizia può nascere solo dal riconoscimento dello Stato di Palestina, con piena sovranità, entro i confini del 1967 e con Gerusalemme Est come capitale. Questa non è una posizione ideologica, ma un’esigenza sostenuta da numerose risoluzioni delle Nazioni Unite, dalla coscienza globale e dalla stessa storia. Qualsiasi approccio che ignori questi principi è destinato al fallimento e a perpetuare la sofferenza di intere generazioni.

La Cina lancia un appello urgente alla comunità internazionale, in particolare alle grandi potenze, affinché non siano complici per omissione. È tempo di agire con coraggio morale, di chiedere responsabilità, di imporre sanzioni a coloro che violano il diritto internazionale umanitario, e di intraprendere azioni concrete per fermare il genocidio in corso a Gaza. Non bastano dichiarazioni vuote: serve pressione diplomatica, economica e politica. Ribadiamo inoltre la nostra disponibilità a collaborare con tutti gli attori internazionali nell’ambito di una conferenza internazionale di pace, fondata sui principi del multilateralismo, del rispetto reciproco e del dialogo inclusivo. Questa conferenza deve puntare a una soluzione politica giusta, duratura e ampiamente condivisa del conflitto israelo-palestinese. Ogni soluzione imposta unilateralmente, senza il coinvolgimento attivo dei palestinesi, sarà priva di legittimità e destinata al fallimento.

La guerra non può essere il linguaggio della diplomazia. Le armi non possono sostituire il diritto. La Cina condanna gli attacchi contro i civili, da qualunque parte provengano. Ma ammoniamo anche che non si può equiparare la resistenza legittima di un popolo oppresso all’uso massiccio della forza da parte di una potenza occupante. La simmetria nella narrazione non può nascondere l’asimmetria brutale dei fatti. Oggi, Gaza è l’epicentro di una tragedia umana, ma è anche lo specchio della volontà reale della comunità internazionale. O ci uniamo per fermare questo massacro, oppure diventiamo testimoni codardi di una pulizia etnica nel pieno del XXI secolo.

Come Cina, proponiamo immediatamente:

primo, l’instaurazione di un cessate il fuoco immediato garantito da osservatori internazionali.

Secondo, l’apertura di corridoi umanitari sotto supervisione ONU.

Terzo, il riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina da parte di tutti i membri del Consiglio di Sicurezza.

Quarto, la convocazione urgente di una conferenza internazionale di pace con tutti gli attori coinvolti.

Quinto, il dispiegamento di una missione internazionale per la ricostruzione di Gaza, finanziata dalle principali economie mondiali.

Ai nostri amici in Israele diciamo: la strada verso la pace non risiede nella superiorità militare, ma nel riconoscimento dell’altro. Il futuro di Israele non può costruirsi sulle rovine di Gaza. Solo il rispetto reciproco, la coesistenza e il dialogo onesto possono garantire la pace. Agli Stati Uniti chiediamo di onorare i principi sui quali si sono fondati come nazione, di ascoltare non solo i loro alleati, ma anche i popoli. Di smettere di bloccare le iniziative multilaterali e di partecipare alla soluzione del conflitto sulla base della giustizia e non dell’egemonia.

Il tempo sta per scadere, ogni minuto di silenzio è un minuto in più di dolore, distruzione e ingiustizia. È ora di scegliere. È ora di agire. La pace della Palestina è un debito morale verso la storia, e la Cina non si fermerà finché questo debito non sarà saldato.

Fonte riportata ma che non è stato possibile verificare: Dichiarazione di Wang Yi, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, 17 maggio 2025

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Palestinesi cercano di ottenere del cibo in una mensa comunitaria nella zona di Muwasi, a Khan Younis, nella Striscia di Gaza - Abdel Kareem Hana/ AP Nella foto: Palestinesi cercano di ottenere del cibo in una mensa comunitaria nella nella Striscia di Gaza – Abdel Kareem Hana/ AP

L’uso della fame come arma.

Oggi Lunedì Rosso è incentrato su Gaza, dove si assiste non solo a una guerra militare e a una conseguente tragedia umanitaria, ma a un momento cruciale di trasformazione nell’approccio alla questione dei popoli sottoposti a occupazione.

E poi: Cannes premia il valore dell’opera di Jafar Panahi e quello della lotta contro il regime iraniano.

Il referendum si avvicina e Gaetano Azzariti spiega perché è importante andare a votare.

Il Napoli vince il quarto scudetto e Valeria Parrella racconta il trionfo di un intero popolo.

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La presa di posizione del regista arriva dopo quelle di molti artisti e intellettuali europei che hanno criticato il governo di Israele denunciando le gravi violazioni dei diritti umani nella Striscia di Gaza

Nanni Moretti - Fotogramma /Ipa

Nanni Moretti ha pubblicato un post su Instagram in cui attacca il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Ma quanti palestinesi devono ancora morire perché tu sia soddisfatto e finalmente la smetta?”, è il messaggio a caratteri cubitali su una foto di Netanyahu. La presa di posizione del regista e attore arriva dopo quelle di molti artisti e intellettuali europei che hanno criticato il governo di Israele denunciando le gravi violazioni dei diritti umani nella Striscia di Gaza.

Durante il Festival di Cannes 2025, oltre 350 artisti tra cui Pedro Almodóvar, Richard Gere, Susan Sarandon, Juliette Binoche, Leïla Slimani e Laurent Lafitte hanno firmato un appello pubblicato su Libération e Variety per denunciare il “silenzio” della comunità internazionale “mentre a Gaza è in corso un genocidio”.

 
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Crisi Ucraina Il «primo passo necessario» deciso a Istanbul verso la conclusione, per ora senza incidenti

Soldati ucraini al ritorno dalla prigionia durante uno scambio di prigionieri di guerra tra Russia e Ucraina. (AP) Soldati ucraini al ritorno dalla prigionia durante uno scambio di prigionieri di guerra tra Russia e Ucraina – AP

«Guarda bene, è stato preso vicino a…». È un assedio per gli uomini che scendono dai pullman. Testa rasata, zigomi sporgenti e bandiere ucraine sulle spalle, portano i segni di mesi – anni, per alcuni – di prigionia nel Paese nemico. Prima di abbracciare le mogli e le madri che sono riuscite ad accorrere al confine con la Bielorussia devono passare attraverso le domande di chi oggi non ritroverà nessuno. Sono i familiari, per la maggior parte donne, di tutti quei militari che ufficialmente sono classificati come «dispersi in azione» perché di loro non si hanno più notizie e i loro corpi non sono mai stati ritrovati o recuperati. Gli altri, i 307 che da ieri sono rientrati in patria nell’ambito dello scambio di mille prigionieri di guerra per parte deciso da Russia e Ucraina ai colloqui di Istanbul dello scorso 9 maggio, guardano altrove, danno risposte evasive e cercano tra la folla un volto noto. Poi la foto dietro gli ufficiali e l’urlo di rito: «gloria agli eroi!». Infine tutti a casa, perlomeno quelli che ce l’hanno ancora una casa e non devono raggiungere le famiglie in qualche centro per sfollati interni lontano dall’est. Restano in disparte, a favore di telecamere, le donne con i manifesti e le bandiere stampate.

NOMI, FOTOGRAFIE, numeri di reparti e campi di battaglia con i quali si spera di attirare qualche militare che magari ha incontrato proprio il congiunto disperso. Portano quei simboli come icone e le alzano come se mostrarle potesse cambiare qualcosa. È una flebile speranza, persino un’illusione consapevole, ma porta avanti migliaia di famiglie. Anche perché i casi in cui qualcuno dato per spacciato riemerge dall’oblio esistono e li abbiamo documentati diverse volte in questi anni. Ma sono comunque pochi rispetto ai numeri dei caduti, che ormai superano ampiamente, ma non si sa di quanto, i centomila militari per parte. Secondo la vice-capo dell’Ufficio presidenziale ucraino, Iryna Vereshchuk, al 1° maggio scorso risultavano almeno 8mila soldati ucraini prigionieri in Russia. Inoltre, secondo l’inchiesta svolta dal Guardian e da altri media, confluita nel «progetto Viktoriia», ci sarebbero migliaia di civili deportati coattamente in Russia dall’invasione del 2022. Per Kiev potrebbero essere fino a 16mila uomini, donne e bambini. Per il Centro di coordinamento ucraino per il trattamento dei prigionieri di guerra quello di questi giorni (23-25 maggio) è il sesto scambio di quest’anno e il 65° dall’inizio della guerra. In totale, secondo la stessa fonte, dal marzo 2022 sono stati rilasciati dai russi 5757 cittadini ucraini. Non disponiamo delle cifre della parte russa perché Kiev non ha mai voluto rivelare il numero di soldati nemici catturati e Mosca non ha pubblicato resoconti ufficiali.

«Altri 307 difensori ucraini sono tornati a casa. Oggi è il secondo giorno dello scambio 1000 per 1000, concordato in Turchia. Solo in questi due giorni sono già state restituite 697 persone. Domani ci aspettiamo che si continui» ha dichiarato ieri il presidente Zelensky in un video-messaggio sul suo canale Telegram. Zelensky in precedenza aveva affermato che lo scambio è l’unico «risultato tangibile» dei negoziati di Istanbul e che bisogna «continuare a esercitare pressioni» sulla Russia affinché accetti il cessate il fuoco.

IL MINISTERO degli esteri russo ha confermato il numero di 307 uomini rimpatriati ieri e, tramite le parole del titolare del dicastero, Sergei Lavrov, ha fatto sapere che «Non appena lo scambio di prigionieri sarà completato, saremo pronti a consegnare alla parte ucraina la bozza del documento – con le proposte per giungere a una tregua – che la parte russa sta attualmente finalizzando». La portavoce del ministero, Maria Zakharova, ha anche aggiunto, agli antipodi di Zelensky, che lo scambio di prigionieri è «un’iniziativa concreta» che ha «vanificato tutti gli intrighi orditi dagli occidentali, dal presidente francese Emmanuel Macron, dal cancelliere tedesco Friedrich Merz e dal primo ministro britannico Keir Starmer» per cercare di dimostrare che «la Russia non vorrebbe i negoziati e non sarebbe pronta».

Intanto nella notte l’aviazione di Mosca ha colpito duramente come non accadeva da tempo. Per gli ucraini sono state lanciati almeno 250 droni a lungo raggio e 14 missili balistici, dei quali la maggior parte abbattuti sui cieli della capitale. Tuttavia, l’ondata di attacchi ha causato, secondo fonti citate dalla Bbc, almeno 13 morti e 56 feriti.

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