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In 72 ore quattro neonati palestinesi sono morti congelati nelle tende di Gaza. Avevano meno di un mese di vita. Unrwa: nella Striscia muore un bambino ogni ora. I raid israeliani uccidono cinque giornalisti, una scrittrice e cinque operatori sanitari: il genocidio è anche sociale

A freddo È genocidio anche sociale: Israele massacra cinque reporter, cinque operatori sanitari del Kamal Adwan Hospital, un’artista. Unrwa: un bambino vittima ogni ora. Ma la tregua è ferma al Cairo: Netanyahu non accetta di ritirarsi

In una tenda a Deir al-Balah Ap/Abdel Kareem Hana In una tenda a Deir al-Balah – Ap/Abdel Kareem Hana

Omar al-Jadi ha documentato la morte del fratello Ayman e di quattro suoi colleghi in video. È quello che i giornalisti di Gaza fanno da quindici mesi, senza riposo: raccontare il genocidio in diretta, anche quando quello che sta bruciando dentro un furgoncino bianco con su scritto Press è tuo fratello. Nel video Omar urla: «Ayman è lì dentro, mio fratello Ayman è stato ucciso».

È successo nella notte tra mercoledì e ieri, accanto all’Al-Ahli Hospital nel campo profughi di Nuseirat. Tutti e cinque i giornalisti lavoravano per Al Quds Today: Fadi Hassouna, Ibrahim al-Sheikh Ali, Mohammed al-Ladah, Faisal Abu al-Qumsan e Ayman al-Jadi. Un raid israeliano ha centrato il furgoncino dove viaggiavano. È andato completamente distrutto, i corpi ingoiati dalle fiamme.

Ieri ai funerali, una veglia civile a cui hanno preso parte decine di colleghi, sono state usate pettorine nuove per commemorarli, quelle che avevano addosso erano disintegrate. I cinque giornalisti lavoravano spesso nella zona dell’Al-Ahli, ma l’altra notte erano lì per condividere una gioia: la moglie di al-Jadi stava per partorire.

Poche ore prima Ayman aveva offerto un modesto pranzo ai colleghi per celebrare la nascita del primo figlio, che non conoscerà mai. Israele, da parte sua, ha confermato il bombardamento accusando i cinque di essere membri del Jihad Islami, come sempre accade senza fornire alcuna prova. Lo ha fatto per tantissimi dei 201 giornalisti palestinesi uccisi a Gaza dal 7 ottobre 2023.

 Lo CHIAMANO «giornalisticidio» ma si inserisce in un

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Carcere Dopo il portone di San Pietro, Papa Francesco apre anche dentro Rebibbia uno dei simboli dell’anno santo appena inaugurato. Nessun richiamo diretto, però, né al sovraffollamento, né ai suicidi e neppure a un gesto di clemenza

Bergoglio apre per la prima volta una Porta Santa all’interno di un carcere: a Rebibbia Bergoglio apre per la prima volta una Porta Santa all’interno di un carcere: a Rebibbia – LaPresse

Dopo quella della basilica di San Pietro con la quale la sera del 24 dicembre è stato dato il via al Giubileo 2025, ieri mattina papa Francesco ha aperto la seconda “Porta santa”, collocata per l’occasione nella chiesa intitolata al Padre nostro, all’interno del carcere romano di Rebibbia.

ATTO RELIGIOSO ma dal forte valore simbolico, quello di aprire una porta in un penitenziario, come ha sottolineato lo stesso Bergoglio all’inizio della breve omelia pronunciata a braccio durante la messa: «Ho voluto spalancare la porta, oggi, qui», ha detto il pontefice. «È un bel gesto quello di spalancare, aprire: aprire le porte». Un gesto che richiama uno dei significati della tradizione del Giubileo ebraico tramandati dalla Bibbia: la liberazione degli schiavi e dei prigionieri.

Ieri il papa – a differenza di altre circostanze in cui ha affrontato il tema del carcere – non ha fatto nessun richiamo diretto né alla questione del sovraffollamento degli istituti di pena (oltre 62mila reclusi rispetto a una capienza di 47mila posti), né dei suicidi (88 nell’anno 2024), né ha esortato ad una eventuale amnistia. E all’uscita da Rebibbia, a chi gli ha domandato se avesse parlato con il ministro della Giustizia Carlo Nordio – presente all’apertura della Porta santa e alla messa – della possibilità di un «gesto di clemenza» per i detenuti, Bergoglio ha risposto di no.

Penso ai detenuti che sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispettoBergoglio

LO AVEVA FATTO però nella bolla di indizione del Giubileo, Spes non confundit (La speranza non delude). «Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. Propongo ai governi che nell’anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in se stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi», aveva scritto il pontefice, chiedendo «condizioni dignitose per chi è recluso, rispetto dei diritti umani e soprattutto l’abolizione della pena di morte, provvedimento contrario alla fede cristiana e che annienta ogni speranza di perdono e di rinnovamento». Un appello, quello contro le esecuzioni capitali, rilanciato anche nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del prossimo primo gennaio, con l’invito agli Stati nei cui ordinamenti è presente alla «eliminazione della pena di morte» come segno giubilare (insieme alla cancellazione del debito ai Paesi impoveriti e alla creazione di un fondo mondiale contro la fame usando parte del denaro speso in armi).

Bisogna eliminare la pena di morte in ogni Paese del mondo. E poi basta colonizzare i popoli con le armi! Lavoriamo per il disarmo, lavoriamo contro la famePapa Francesco

Ieri invece il discorso è rimasto su un piano soprattutto spirituale, attorno al tema giubilare della speranza: «Aprire le porte significa aprire il cuore alla speranza», ha detto Bergoglio che ha invitato a tenere stretta fra le mani «la corda» a cui è legata «l’àncora della speranza», ormeggiata sulla terraferma, che rappresenta la libertà.

TRECENTO I PRESENTI, fra cui un centinaio di detenute e detenuti provenienti dai quattro istituti del complesso di Rebibbia. Fra le autorità c’erano il capo dimissionario del Dap Giovanni Russo (non presente invece la sua successora Lina Di Domenico), la vice presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale Irma Conti (assente invece il presidente, Riccardo Turrini Vita) e il sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Oltre al guardasigilli Nordio, che ha accolto Bergoglio all’ingresso di Rebibbia. Resta da vedere se, oltre agli omaggi di protocollo, il ministro della Giustizia terrà anche in considerazione alcune delle proposte concrete del pontefice. Il quale, all’uscita del carcere al termine della visita, ha congedato così i giornalisti presenti: «Essere venuto è molto importante perché dobbiamo pensare che tanti di questi detenuti non sono pesci grossi, i pesci grossi hanno l’astuzia di rimanere fuori e dobbiamo accompagnare i detenuti». Che invece è proprio quello che promettono le politiche repressive del governo, a partire dal ddl Sicurezza 1660.

DA REBIBBIA, poi, Bergoglio ha fatto ritorno in Vaticano per l’Angelus di mezzogiorno da piazza San Pietro. «Stamattina ho aperto una Porta santa, dopo quella di San Pietro, nel carcere romano di Rebibbia. È stata come, per così dire, “la cattedrale del dolore e della speranza”», ha detto ai fedeli. Rilanciando poi gli altri due segni giubilari: la «remissione del debito» ai Paesi «oppressi da debiti insostenibili» e la riduzione della produzione e del commercio di armamenti. «Basta colonizzare i popoli con le armi! Lavoriamo per il disarmo, lavoriamo contro la fame».

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Abbiamo raccolto qui sotto il meglio dell'anno

Gli articoli più letti, le interviste e le storie che vi sono piaciute di più, i nostri migliori reportage, gli editoriali che hanno fatto discutere, i video più visti, i podcast...

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Il caso Nel 2025 ricomincia l'austerità. Per ora saranno colpiti ministeri e enti locali. Università, cultura, industria a rischio

Manifestazione alla Sapienza di Roma Manifestazione alla Sapienza di Roma

Il disegno di legge di bilancio approvato alla Camera è arrivato ieri al Senato dove sarà approvato definitivamente entro la fine dell’anno. A partire da quel momento sarà ufficiale: l’austerità tornerà in Italia e taglierà, per il momento, più di 12 miliardi di euro a ministeri (7,7 miliardi in meno) e enti locali (5,6 miliardi in meno che possono arrivare fino a 8 nel 2037). La cura da cavallo comminata con modalità diverse durerà per i prossimi anni (per i ministeri tre, per gli enti locali fino al 2029 e oltre) e sarà più chiara a partire dai primi mesi del 2025 quando ministeri e enti locali dovranno comunicare le modalità che seguiranno per realizzare i tagli, contenere la spesa, congelare gli investimenti.

Ciò implicherà il lento strozzamento dei servizi pubblici essenziali, il progressivo fermo delle assunzioni, il taglio ai fondi per la ricerca e la cultura, quelli agli investimenti nella produzione industriale che da 21 mesi sta crollando senza un domani. E molto altro. Tutto questo è dovuto al fatto che il governo ha firmato il nuovo patto di stabilità europeo che irrigidisce le norme sospese nel 2020 a causa del Covid in un momento in cui l’economia ristagna. La stima del Pil italiano di quest’anno è stata dimezzata (0,5% rispetto all’1% preventivato dal governo). Il blocco della spesa pubblica, oltre alla mancanza di investimenti strutturali, è quanto di peggio può accadere oggi. Tenendo conto che gli investimenti del Pnrr sono a tempo e per di più incerti nella loro effettivo impiego.

«Il conto – ha denunciato ieri il gruppo parlamentare del Partito democratico – come sempre, sarà pagato dai più poveri: lavoratori dipendenti e pensionati, a cui non solo verranno aumentate le tasse, ma saranno ridotti i servizi pubblici essenziali, come sanità, welfare, scuola e trasporto pubblico locale». Alla Camera è stato bocciato un emendamento alla manovra che avrebbe aumentato di 5 miliardi di euro il fondo per il sistema sanitario che, in prospettiva, risulterà finanziato in maniera inadeguata rispetto ai fabbisogni e alla (non) crescita del Pil.

I Cinque Stelle hanno depositato 159 emendamenti in cui chiedono tra l’altro di ripristinare i 4,5 miliardi di euro destinati al settore bellico provenienti dal fondo che dovrebbe assicurare un futuro «green» all’automotive e di cancellare 1,4 miliardi in più tolti ai fondi di coesione per le regioni e destinati al Ponte di Salvini sullo Stretto di Messina. «Hanno garantito un fondo da 500 mila euro per i rimborsi ai ministri tecnici – ha osservato Pietro Lorefice (Cinque Stelle) danno 1,8 euro in più al mese a quasi due milioni di pensionati minimi. Sono arroganti coi più deboli, zerbini coi potenti». Lo canta Frankie hi-nrg in «Quelli che benpensano».

Anche quest’anno ha fatto discutere l’«assalto alla diligenza» delle finanze pubbliche da parte di lobby e consorterie. La polemica delle «mancette», un modo sprezzante per indicare la mancanza di una politica economica programmatica, ha tenuto banco. Il Pd ieri ha proposto in un emendamento presentato in Senato di destinare 100 milioni di euro di questi fondi a quello dedicato alla non autosufficienza: 30 milioni circa per i prossimi tre anni. «Se i senatori che sostengono il governo avessero un minimo di dignità si ribellerebbero e modificherebbero il testo di questa manovra senza anima e senza prospettive» ha detto il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia.

Poco probabile che accadrà. La manovra va approvata dal Senato senza modifiche. Era pronta già da ottobre e come sempre si è arrivati alla fine dell’anno con l’acqua alla gola. Confermando quello che è già noto: «In Italia non c’è più il bicameralismo paritario ma un monocameralismo alternato. È incostituzionale» ha detto il senatore Dario Parrini (Pd).

 

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Palestina/Israele Nella Striscia, il Kamal Adwan è in trappola: robot esplosivi, raid nei reparti e ordini di evacuazione impossibili da rispettare. In Cisgiordania l’esercito israeliano trasforma un campo da calcio in centro di detenzione

Maggio 2024, gli interni del Kamal Adwan Hospital a Beit Lahiya Maggio 2024, gli interni del Kamal Adwan Hospital a Beit Lahiya – Getty Images /Karam Hassan

«Sai che significa congelare?». Reda Abu Zarada pone una domanda semplice, trattenendo a stento le lacrime. Al giornalista di al Jazeera che la incontra nella sua tenda nel sud di Gaza, a Khan Younis, racconta del freddo che penetra nelle ossa e di un gelo che non la fa smettere di tremare. La notte non si dorme. «Non abbiamo vestiti adatti, calzini, niente. Non ci saremmo mai aspettati una vita così. La mia casa, a nord, era così accogliente».

L’INVERNO HA FATTO di Gaza un luogo ancora meno vivibile di quanto non fosse già. Nelle tendopoli non accendono nemmeno più il fuoco, hanno paura che la luce delle fiamme attiri i raid israeliani. «La mia bambina di sette anni piange per il freddo che sente», dice un altro sfollato, Omar Shabet.

La mancanza di elettricità e di carburante per i generatori tiene spente le stufette, comunque un azzardo in un luogo sovraffollato di esseri umani e tende di stoffa e plastica. Scarseggiano anche le tende: 22mila sono bloccate in Giordania, parte di quell’ammasso di aiuti umanitari a cui Israele non permette l’ingresso. In Egitto stazionano camion pieni di centinaia di migliaia di coperte.

Di freddo si muore, è successo pochi giorni fa a una neonata nel nord di Gaza. Qui continua a concentrarsi l’offensiva israeliana di terra che, ormai da giorni, ha come principale preda l’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahiya, l’unico rimasto aperto (a mala pena funzionante) nella parte settentrionale della Striscia.

«STIAMO MORENDO e non interessa a nessuno», ha detto in lacrime, domenica, il direttore Hussam Abu Safiya, abbandonato insieme ai suoi 91 pazienti in un ospedale che è una trappola. Da sabato i raid israeliani si sono intensificati, insieme agli ordini di evacuazione al poco staff che rimane. «I bombardamenti continuano in ogni direzione – ha raccontato ieri Abu Safiya a Middle East Eye – Il mondo deve capire che l’intento è ucciderci e sfollarci».

Sai che significa congelare? Non abbiamo vestiti adatti, calzini, niente. Non ci saremmo mai aspettati una vita così. La mia casa era così accoglienteReda Abu Zarada

Le immagini pubblicate sui canali Telegram mostrano i pazienti ammassati nei corridoi interni, considerati più sicuri, lontani dalle finestre e dalle pareti che danno sul cortile. «Da questa mattina (ieri, ndr) l’ospedale è stato colpito sul tetto, il fuoco dell’artiglieria ha preso di mira terapia intensiva, neonatologia e chirurgia». Abu Safiya ha aggiunto che uno dei generatori è fuori uso per i raid e che, al momento, lo staff riesce a servire solo un pasto al giorno ai pazienti.

Nei video girati dalle finestre del Kamal Adwansi vedono esplosivi posizionati intorno all’edificio. A poca distanza il corpo senza vita di un uomo avvolto nelle fiamme. Intanto a qualche centinaio di chilometri di distanza, al valico di Allenby tra Giordania e Cisgiordania un medico giordano, Abdulla al-Balawi, diretto a Gaza con una delegazione sanitaria è stato arrestato dalle autorità israeliane. Sarà detenuto, hanno detto, fino a giovedì. Non è dato sapere il motivo.

A una settimana dalla fine del 2024, il numero delle vittime palestinesi dell’offensiva israeliana a Gaza sfonda il tetto delle 45.300. Altri 110mila i feriti, 5mila i detenuti di cui non si sa più nulla e almeno 10mila i dispersi sotto le macerie. Tra le ultime stragi registrate ieri, c’è quella compiuta nel campo di Nuseirat, con 50 tra morti e feriti, dopo un attacco combinato terra-aria che ha demolito almeno 20 case.

UNA SCUOLA-RIFUGIO è stata circondata, scrive il giornalista Hani Mahmoud, «da quadricotteri e veicoli blindati» che «hanno sparato a intermittenza». A Shajaiya, quartiere di Gaza City, dopo un intenso bombardamento, l’esercito israeliano ha ordinato l’evacuazione ai civili ancora presenti.

Al Cairo rimane aperto il tavolo di negoziato tra Israele e Hamas, con entrambe le delegazioni che si dicono ottimiste: le distanze tra le parti si sarebbero ridotte, seppur permangano questioni irrisolte. Tra queste i nomi dei prigionieri politici palestinesi da rilasciare e l’esatto posizionamento delle truppe israeliane a Gaza (dove e per quanto tempo).

I bombardamenti continuano, l’artiglieria ha preso di mira terapia intensiva, neonatologia e chirurgia. Stiamo morendo e non interessa a nessunoHussam Abu Safiya

Chi rimane ostinatamente contraria a un accordo è l’ultradestra israeliana che con il ministro Smotrich – di fronte a una Gaza letteralmente rasa al suolo – accusa il resto del governo di «arrendersi ad Hamas».

L’offensiva non si ammorbidisce nemmeno in Cisgiordania. Come ogni giorno, arresti di massa, almeno 25, mentre le agenzie pubblicavano un video girato nel campo profughi di Fawwar, a Hebron: un centinaio di palestinesi detenuti, legati e interrogati dentro il campo da calcio della comunità. Tutti palestinesi di Fawwar catturati nelle 24 ore precedenti. Al checkpoint di Hizma, tra Gerusalemme e Ramallah, un giovane palestinese è stato ferito dalle pallottole dei soldati israeliani che hanno poi impedito all’ambulanza di soccorrerlo. Secondo l’esercito, aveva un coltello. Tre i feriti nel campo profughi di Qalandiya, durante l’ennesima incursione israeliana.

 

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Meloni convoca un veloce vertice ristretto (senza Salvini) per chiarire che sui migranti non intende cedere terreno al leghista e per ribadire la linea dura: avanti sui centri in Albania a costo di aggirare leggi e forzare sentenze. Contando sulla sponda dell’Europa

La Tirana Vertice ristretto con i ministri per rilanciare la «soluzione innovativa» contando sulla Ue. Nessuna speranza per Salvini di rimettere le mani sul capitolo migranti: al summit non è stato invitato

Finlandia, la premier Giorgia Meloni foto Ap Finlandia, la premier Giorgia Meloni – Ap

La «Soluzione innovativa», come con scarso senso dell’opportunità il governo ha ribattezzato il progetto di esternalizzare in Paesi extra Ue i centri di trattenimento per migranti da rimpatriare, non si è fermata e non si fermerà. Il vertice annunciato in Finlandia da Giorgia Meloni ed effettivamente svoltosi ieri pomeriggio serviva solo a confermarlo. Ha assolto il compito ribadendo «la ferma intenzione di continuare a lavorare, insieme ai partner Ue e in linea con le conclusioni del Consiglio europeo, sulle cosiddette ‘soluzioni innovative’ al fenomeno migratorio».

I MINISTRI INTERESSATI c’erano tutti: Piantedosi, Tajani in collegamento da Pristina, Crosetto e Foti. C’erano l’onnipresente sottosegretario Mantovano e il consigliere diplomatico Saggio. Il vicepremier Salvini no, lui non era stato invitato. Tanto per chiarire nei fatti, dopo aver proceduto a parole in Finlandia, che assoluzione o non assoluzione le grinfie sul capitolo immigrazione non le rimetterà e che di un suo ritorno agli Interni non se ne parla. Molto più adeguato il circospetto Piantedosi perché se l’obiettivo di fondo è sempre lo stesso e ora santificato persino dall’assoluzione dell’ex Capitano, «Difendere i confini della patria», i metodi sono cambiati. Sono quelli asettici e concordati con l’Europa di Giorgia Meloni, non la ringhiosità da squadra d’assalto, per l’Europa insopportabile, dell’eroe di ieri.

La riunione è durata un lampo. Del resto non doveva concludere nulla, essendo tutto già stato deciso in precedenza.

Giorgia Meloni e Matteo Salvini alla Camera foto di Riccardo Antimiani/Ansa
Giorgia Meloni e Matteo Salvini alla Camera, foto di Riccardo Antimiani /Ansa

I trasferimenti in Albania riprenderanno dopo il prossimo 11 gennaio, quando entrerà in vigore il

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