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Un generale italiano è già con i piedi sulla Striscia di Gaza, con il suo staff. Per uscire da due anni di sterminio israeliano non c’è alcun mandato di altri che Trump, eppure siamo nel «comitato di coordinamento» a guida Usa. Con i militari di altri paesi, dove però i governi hanno almeno avvertito i cittadini

Stivale on the ground Pur senza comunicazioni ufficiali, personale militare è arrivato in Israele per sedersi al comitato di Trump per la ricostruzione. I ministri di Germania e Gran Bretagna hanno diffuso comunicati sul ruolo nelle operazioni

Il Segretario di Stato Usa Marco Rubio visita il Cmcc - Fadel Senna/Pool Photo via AP Il Segretario di Stato Usa Marco Rubio visita il Cmcc – Fadel Senna/Pool Photo

È arrivato anche un generale italiano con il proprio staff a prendere parte alle attività di pianificazione del Cmcc (Civili-Military Coordination Center), la struttura inaugurata dalle forze armate statunitensi lo scorso 17 ottobre a Kiryat Gat, una ventina di chilometri dalla Striscia di Gaza nei pressi di Ashdod, in Israele.

Sergio Cardea
Sergio Cardea

LA STRUTTURA è stata pensata dagli Usa come centro logistico e militare con l’obiettivo di monitorare l’implementazione del cessate il fuoco a Gaza e sorvegliare l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia: a capo dell’ala militare è stato posto il generale Patrick Frank, mentre per la parte civile è stato richiamato dallo Yemen l’ambasciatore statunitense Steven Fagin. Con loro sono stati chiamati anche rappresentanti degli altri paesi partner che intendono sostenere il piano di pace presentato dal presidente Usa Trump.
Una sorta di «coalizione dei volenterosi» sul terreno israelo-palestinese, a cui attualmente avrebbero preso parte, oltre a Usa e Israele, anche Danimarca, Canada, Giordania, Germania, Regno unito, Emirati arabi, Cipro, Grecia, Australia, Spagna e, per l’appunto, Italia. Nelle comunicazioni, affidate da «fonti qualificate» alle agenzie senza un comunicato ufficiale, si è parlato genericamente di un generale italiano arrivato a Kiryat Gat venerdì, mentre i diplomatici dell’ambasciata italiana a Tel Aviv e del consolato a Gerusalemme già stanno lavorando con il centro. Deve trattarsi del generale di brigata Sergio Cardea, comandante dell’Italian Joint Force Headquarters (Jfhq), una struttura dell’esercito alle dipendenze del Comando operativo di vertice interforze (Covi), creata nel 2007 per intervenire nelle aree di crisi nel mondo.

L’ITALIA HA CONFERMATO da giorni la propria disponibilità a inviare un proprio contingente nella Striscia, dietro

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Riarmo Oggi il corteo nazionale del sindacato: in arrivo pullman da tutta Italia. Martedì presidio davanti a Palazzo Chigi per l’ex Ilva. In Campania il quarantesimo incidente mortale sul lavoro del 2025, dato più alto d’Italia

Manifestazione della Cgil, foto LaPresse Manifestazione della Cgil – Daniele Leone/LaPresse

È stato posticipato ancora il tavolo tra governo e sindacati sull’ex Ilva. Con una nota Palazzo Chigi ha spostato la discussione, prevista per martedì prossimo 28 ottobre, all’11 novembre a causa della concomitanza con il consiglio dei ministri. Una decisone che non è piaciuta a Fim, Fiom e Uilm: i rispettivi segretaria generali (Ferdinando Uliano, Michele De Palma e Rocco Palombella) hanno deciso di recarsi in ogni caso davanti a palazzo Chigi, «per avere risposte concrete dai ministri competenti sul futuro dei lavoratori e degli stabilimenti». Una decisione, hanno sottolineato, «necessaria e non rinviabile», a causa della «situazione di estrema drammaticità in cui versa l’ex Ilva».

OGGI intanto la Cgil sarà in piazza a Roma con la manifestazione nazionale «Democrazia al lavoro» per contrastare la quarta manovra di bilancio del governo Meloni. «No al riarmo, all’austerità e all’economia di guerra» sono le parole d’ordine del sindacato, che chiede invece che le risorse vengano investite in salari e spesa sociale da destinare a scuola, sanità, servizi pubblici e un piano industriale che tenga conto delle transizioni da compiere, da quella energetica a quella tecnologica. L’opposto della strada imboccata dall’esecutivo e dal Consiglio europeo, che ha derubricato anche il Green deal in nome di «flessibilità» e «pragmatismo». «È il momento di dire stop al riarmo: le risorse pubbliche devono essere destinate a sanità, istruzione, non autosufficienza, politiche abitative e sociali. Occorre prendere i soldi dalle grandi ricchezze e dall’evasione fiscale. Diciamo no alla flat tax generalizzata e ai condoni. Vanno restituiti a lavoratori e pensionati i soldi persi con il drenaggio fiscale, neutralizzando quello futuro» ha scritto il sindacato.

IL CORTEO di oggi si muoverà alle 13.30 da piazza della Repubblica per arrivare a piazza San Giovanni: qui sono previsti gli interventi finali, con il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, e il segretario della Confederazione internazionale dei lavoratori Luc Triangle. Prenderà parola anche Sigfrido Ranucci, il conduttore di Report che lo scorso 16 ottobre è stato vittima di un agguato davanti alla propria abitazione dove è esplosa una bomba carta con un chilo di esplosivo.

LA MACCHINA ORGANIZZATIVA di Corso Italia ha mobilitato gli iscritti di tutto il Paese per riempire le strade della Capitale. Da Bologna sono oltre mille le persone che hanno prenotato treni e pullman per raggiungere Roma, ha fatto sapere il sindacato, ma anche dalle regioni del Sud ci sarà un afflusso importante: in partenza dalla Puglia ci sono 60 pullman con a bordo 3mila persone, un migliaio si è mosso già ieri sera dalla Sardegna con un traghetto verso Civitavecchia. «Ricordiamo a chi guida il Paese che il Mezzogiorno ha tantissime criticità e molti problemi, economici e sociali, strutturali, a cui non si danno risposte e non si programmano interventi» ha detto Nicola Ricci della Cgil di Napoli e Campania. Ieri a San Vitaliano, in provincia di Napoli, si è registrato il quarantesimo incidente mortale sul lavoro dell’anno nella regione, il dato più alto d’Italia. Un uomo di 68 anni, titolare della ditta, è precipitato dall’altezza di sette metri da un’impalcatura mentre svolgeva un sopralluogo in un cantiere aperto di una pompa di benzina, morendo sul colpo.

CON IL SINDACATO in piazza ci saranno anche le associazioni. L’Anpi ha dato la propria adesione per «invertire la pesante tendenza in atto puntando sulla crescita della partecipazione popolare e dando una speranza di futuro al Paese». Con loro anche la campagna Stop Rearm Europe, «per dire no all’economia di guerra, alimentata nella legge di bilancio con 23 miliardi di spese militari in più nei prossimi 3 anni, e che, in base al Piano di riarmo Ue da 6.800 miliardi entro il 2035, lieviteranno in l’Italia fino a circa 960 miliardi nei prossimi 10 anni», Greenpeace e il Forum Diseguaglianze e diversità, che ha criticato la politica governativa dei bonus, utilizzata dall’esecutivo per tamponare le emergenze senza affrontare il tema strutturale delle diseguaglianze.

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La guerra di Trump alle Nazioni unite passa per la Striscia: estromesse dalla distribuzione degli aiuti e dalla ricostruzione, il presidente Usa appalta tutto a se stesso e a fondazioni amiche. Rubio attacca l’Unrwa e calpesta la decisione della Corte internazionale di Giustizia

Onu di troppo La guerra Usa alle Nazioni unite passa per la Striscia. Washington manda i soldati, «allarga» la Ghf e ci infila dentro altri evangelici. Rubio attacca l’agenzia per i rifugiati palestinesi a due giorni dalla decisione della Corte internazionale che impone a Israele di garantirgli l’accesso. Netanyahu vede svanire la sua autorità: «Non siamo un protettorato americano»

Gaza City ridotta a un cumulo di macerie dall’offensiva israeliana foto Ap/Abdel Kareem Hana Gaza City ridotta a un cumulo di macerie dall’offensiva israeliana – Ap/Abdel Kareem Hana

L’egemonia statunitense che straborda da ogni paragrafo del progetto trumpiano per la Striscia di Gaza si sta materializzando. Le licenze più altruistiche che Washington è disposta a concedere riguardano la nomina di aiutanti e alleati, tutti nel ruolo di sottoposti, e l’assegnazione delle responsabilità economiche. Nella rigidità di un tale ordine gerarchico non c’è alcuno spazio per le decisioni di organismi internazionali e giudiziari, che non vengono nemmeno contestate ma semplicemente ignorate.

Proprio come accade per la Corte internazionale di giustizia (Cig). Il principale organo giudiziario delle Nazioni unite ha stabilito che l’agenzia Onu che si occupa dei profughi palestinesi deve riprendere le sue operazioni umanitarie a Gaza. Le accuse israeliane sui collegamenti tra l’Unrwa e il terrorismo sono insinuazioni prive di evidenze e riscontri legali.

EPPURE IERI, solo due giorni dopo la pubblicazione del parere consuntivo della Cig, il segretario di stato Usa Marco Rubio ha dichiarato che Washington non permetterà all’Unrwa di operare in supporto alla popolazione di Gaza. Ribaltando le conclusioni dei giudici del tribunale internazionale, ha dichiarato che l’agenzia «è diventata una filiale di Hamas».

L’Onu e le organizzazioni internazionali indipendenti, che dovrebbero accedere in libertà e urgenza nel territorio palestinese distrutto e affamato, sono considerate semplici strumenti. Washington permette loro di lavorare, come se fosse una concessione, solo alle proprie condizioni. Parlando dal Centro di coordinamento civile-militare (Cmcc) degli Stati uniti in Israele, Rubio ha dichiarato che gli Usa sono «disposti a collaborare con le Nazioni unite se riusciranno a far funzionare le cose».

E ovviamente chi non collabora viene estromesso da tutto ciò che riguarda Gaza. Tra gli enti che potrebbero lavorarci, Rubio ha nominato la Samaritan’s Purse, organizzazione evangelica statunitense da centinaia di migliaia di dollari di entrate annue, guidata da un alleato di Trump, il reverendo Franklin Graham.

A DIFFERENZA della maggior parte delle altre ong mondiali e di tutti gli organismi delle Nazioni unite, la Samaritan’s Purse ha collaborato con la cosiddetta Gaza Humanitarian Goundation (Ghf), creata da Israele e Usa per estromettere l’Onu dai meccanismi umanitari. L’operato della Ghf, guidata da un altro evangelico, il reverendo Johnnie Moore, è stato del tutto fallimentare e ha causato migliaia di morti tra i palestinesi in cerca di cibo.

Secondo le informazioni dell’agenzia Reuters, Washington starebbe valutando un piano per sciogliere la Ghf nell’altra organizzazione evangelica. «Amo la Samaritan’s purse», ha

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La mobilitazione Sabato in corteo la Cgil, poi lo sciopero di Usb e Cub e i cortei degli studenti e di Nudm

Manifestazione della Cgil Manifestazione della Cgil – Aleandro Biagianti

La speranza della destra che, dopo il presunto accordo di pace tra Trump e Netanyahu, terminassero le manifestazioni di dissenso contro il governo è stata delusa. Sono già in calendario diverse mobilitazioni contro la manovra in continuità con quelle contro il genocidio. La legge di bilancio licenziata dal consiglio dei ministri, infatti, è piegata alle esigenze del riarmo europeo e non lascia nulla per le emergenze sociali.

COMINCERÀ LA CGIL che, con le associazioni della rete La Via Maestra, ha indetto per sabato una manifestazione nazionale a Roma: il concentramento è fissato in Piazza della Repubblica alle 13.30, con conclusione in Piazza San Giovanni in Laterano e interventi di Maurizio Landini e del segretario generale della confederazione sindacale internazionale (Ituc) Luc Triangle. Al primo punto della piattaforma c’è lo stop al riarmo e la richiesta di riallocare quelle risorse su sanità, istruzione, non autosufficienza, politiche abitative e sociali. Ma da corso Italia già annunciano che la mobilitazione continuerà anche dopo sabato. «Abbiamo tutta l’intenzione di proseguire perché il nostro obiettivo è quello di cambiare la manovra finanziaria», dicono dalla Cgil. Date e strumenti sono ancora da decidere ma non è escluso che possa essere proclamato ancora uno sciopero generale a dicembre.

COME, DEL RESTO, hanno già fatto Usb e Cub che hanno indicato il 28 novembre come data per l’astensione dal lavoro di tutte le categorie «contro la finanziaria di guerra», invitando i movimenti sociali e le realtà indipendenti ad aderire. «È ora di riprendere la pratica del “Blocchiamo tutto”, utilizzata efficacemente in difesa del popolo palestinese, contro il genocidio e a sostegno della Flotilla, per fermare la corsa al riarmo. Invece di nuove armi è ora di tornare a costruire case popolari e di affrontare l’emergenza della sanità pubblica», hanno detto dai sindacati di base. Al centro dello sciopero anche la questione del salario con l’Usb che invita «a rimettere in discussione la firma degli ultimi contratti nazionali che hanno contraddetto l’esigenza di garantire il potere d’acquisto delle retribuzioni».

SARÀ UN AUTUNNO caldissimo per Meloni: altri cortei sono attesi in tutta Italia per il giorno dopo, 29 novembre, per la Giornata internazionale della solidarietà con il popolo palestinese. In questa data dovrebbero convergere tutte le realtà pacifiste e antimilitariste, anche di stampo cattolico, che hanno dato corpo alle manifestazioni degli inizi di ottobre. Gli studenti, che hanno contribuito a raccogliere il dissenso contro lo sterminio dei palestinesi, manifesteranno in oltre 30 città il 14 novembre. E non solo contro il modello di scuola reazionario e nazionalista del ministro Valditara ma anche contro l’autoritarismo del governo («Ogni volta che gli studenti esprimono dissenso, l’unica risposta è la repressione», ha scritto l’Uds in una nota) e l’imposizione del militarismo come prospettiva per il futuro. «Difendere il diritto allo studio significa anche opporsi alla privatizzazione, lottare per una scuola libera vuol dire contrastare programmi orientati alla propaganda governativa – ha spiegato il coordinatore nazionale Martelli – il 14 novembre è il punto di caduta di un percorso che vuole mettere alle strette il governo». Sempre a novembre, il 4, si terranno presidi in tutto il paese in occasione della giornata nazionale contro il militarismo, mentre il 15 (in concomitanza con la Cop30 di Belem) è il giorno della mobilitazione globale per il clima. Il 25 novembre, inoltre, si terranno anche le manifestazioni del collettivo transfemminista Non Una Di Meno contro la violenza sulle donne, sia quella fella famiglia che quella dello Stato.

L’OBIETTIVO, PERÒ, rimane quello di far convergere tutte le realtà in mobilitazione in una unica grande giornata di lotta, come quella del 3 ottobre. La Rete No Ddl Sicurezza sta già lavorando a una manifestazione nazionale sulla scorta dei No King Days degli Stati Uniti che si oppongono a Trump: «Ci stiamo riunendo per capire come rilanciare quella sintonia che ha creato un autentico blocco sociale alle politiche del governo»

 

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Palestina L'allarme dell'Oms. Israele frena i camion umanitari e blocca i prodotti salvavita. Nuovo rapporto della Relatrice speciale Onu, Francesca Albanese: genocidio crimine globale, coinvolti almeno 63 paesi

Una cucina comunitaria a Gaza City foto Ap/Abdel Kareem Hana Una cucina comunitaria a Gaza City – Ap/Abdel Kareem Hana

Gaza ha ancora fame. La sintesi più secca l’ha data ieri l’Organizzazione mondiale della Sanità, a quasi due settimane dalla firma del cessate il fuoco e a un giorno dall’intervento della Corte internazionale di Giustizia che ordina a Israele di far entrare aiuti umanitari e collaborare con l’Onu: «La situazione resta catastrofica perché non entra abbastanza – ha detto il capo dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus – Non si registra una riduzione della fame perché non c’è abbastanza cibo».

LA RAGIONE, continua l’Oms, sta nel numero insufficiente di camion, una media di 200 al giorno contro i 600 stabiliti dagli accordi di Sharm el Sheikh. Israele continua a impedire un flusso significativo di aiuti che si aggiunge a una devastazione tale da rendere complessa una distribuzione continua e dignitosa.

I limiti imposti alle Nazioni unite si sommano a quelli che legano le mani alle grandi organizzazioni non governative, da Medici senza Frontiere a Oxfam, tra le 41 ong che hanno denunciato i ripetuti rifiuti israeliani alle loro richieste di far entrare a Gaza cibo, acqua, tende, strumenti medici. «Gli aiuti sono impacchettati, gli staff sono equipaggianti e pronti a intervenire. Quello che ci serve ora è l’accesso», si legge nell’appello congiunto, dove si trova anche l’elenco dei prodotti che Tel Aviv continua a vietare, tra cui tende, materassi, coperte, kit igienici, abiti per bambini.

Fino al paradosso: ai camion commerciali, gestiti da privati che rivendono i beni sul poverissimo mercato gazawi, è permesso far entrare la soda, ma alle organizzazioni umanitarie è impedito portare olive e verdure, fondamentali a un adeguato apporto nutrizionale.

È ANCHE COSÌ che l’offensiva prosegue, accordo o non accordo. E prosegue con il fuoco che, seppur con intensità decisamente minore, non lascia scampo: ieri un drone israeliano ha ucciso un palestinese a Bani Suhaila, a Khan Younis, mentre trentadue corpi venivano estratti dalle macerie lasciate dai raid dei mesi precedenti. Secondo le stime, sarebbero almeno diecimila i palestinesi dispersi sotto il cemento delle case o letteralmente evaporati nelle esplosioni.

Dopo lo scandalo della Gaza Humanitarian Foundation, gli Stati uniti starebbe valutando una nuova proposta di distribuzione degli aiuti, riporta la Reuters: 12 o 16 centri umanitari lungo la cosiddetta linea gialla, che spezza in due Gaza da nord a sud, che non consegneranno solo cibo ma fungerebbero da «strutture di riconciliazione volontaria» (sic) dove i combattenti palestinesi otterrebbero l’amnistia in cambio delle armi in loro possesso. L’operazione potrebbe essere affidata a paesi arabi (Emirati e Marocco) e a un’organizzazione evangelica vicina a Trump, la Samaritan’s Purse. Tutto, insomma, fuorché l’Onu.

Una politica deliberata di devastazione messa in atto da Israele, ma possibile solo grazie a una vasta rete di complicità: è il contenuto dell’ultimo rapporto della relatrice speciale Onu per i Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, dal titolo «Gaza Genocide: a collective crime».

Ventiquattro pagine che ricostruiscono i legami militari, commerciali e diplomatici e l’uso degli aiuti come arma di guerra di almeno 63 paesi del mondo: fornitura di armi e tecnologie militari indispensabili ai massacri (Stati uniti, Germania e Italia in prima fila); condivisione di informazione di intelligence; blocco dei finanziamenti all’agenzia Unrwa; cooperazione commerciale e di ricerca; ma anche la mancata tutela del diritto internazionale (nessun embargo, nessuna sanzione, nessuna rottura dei rapporti diplomatici) e l’adesione acritica alla narrazione israeliana.

«INCORNICIATA da narrazioni coloniali che disumanizzano i palestinesi, questa atrocità trasmessa in diretta streaming è stata facilitata dal sostegno diretto di Stati terzi, aiuti materiali, protezione diplomatica e, in alcuni casi, partecipazione attiva – si legge nel rapporto – Il genocidio in corso dei palestinesi deve essere inteso come un crimine promosso a livello internazionale. Molti Stati, principalmente occidentali, hanno facilitato, legittimato e infine normalizzato la campagna genocida perpetrata da Israele», facendo eco alla narrativa israeliana di una battaglia tra civiltà e barbarie. La lista è lunga, dagli Usa al Canada, dalla Cina all’Australia fino all’Europa, come lunga è la lista dei principi del diritto internazionale, dei trattati e della carte calpestati negli ultimi ventiquattro mesi. Non solo da Israele.

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Poco e niente Gli effetti dell'austerità nella legge di bilancio, l'altra faccia della "stabilità" rivendicata dal governo. I Comuni contro la manovra: «Sono a rischio i servizi essenziali per i cittadini»

Antonio Tajani, ministro degli Affari esteri, con il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini sullo sfondo Antonio Tajani, ministro degli Affari esteri, con il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini sullo sfondo – Imagoeconomica

Il giallo è risolto. Il «grand commis» del ministero dell’Economia che, secondo il vicepremier ministro degli esteri Antonio Tajani, «a volte pare decidere per la politica» è un politico. Si chiama Giancarlo Giorgetti, è della Lega, e non è escluso che Tajani lo abbia incontrato spesso in Consiglio dei ministri e a quattrocchi quando ha sostenuto di non sapere che nella legge di bilancio c’era l’aumento della cedolare secca al 26% per chi affitta case su Airbnb, oppure l’aumento della tassazione dei dividendi per le holding come quella della famiglia Berlusconi. Sono norme, decise dal governo, che Forza Italia intende cambiare in parlamento. Almeno sugli affitti dovrebbe essere d’accordo la Lega. Sull’altra, ancora non è molto chiaro.

Tajani finge di non sapere che per finanziare il taglio dell’Irpef e, contemporaneamente rientrare dalla procedura per deficit eccessivo, è necessario fare cassa altrove. Per questo Giorgetti deve trovare i soldi aumentando le tasse su rendite e, in alcuni casi, sui profitti (delle holding, ma per carità non l’Irap alle banche, altro fronte polemico tra Lega e Forza Italia).

Per raggiungere lo scopo che lo rende orgoglioso, quello di «tenere i conti in ordine», il governo Meloni mette in secondo piano gli effetti dei tagli: 7,7 miliardi ai ministeri e 5,4 agli enti locali per sette anni. Lo ha deciso l’anno scorso. La manovra del 2026 proseguirà il «lavoro sporco», ma tutti sembrano lavarsene le mani. È colpa del «grand commis», appunto.

L’intento è chiaro. Anche davanti all’evidenza, la destra parla d’altro, crea fantasmi e dà spettacolo. L’importante è non parlare di austerità che fa rima con la rivendicata «stabilità».

Chi subirà le conseguenze sono i cittadini ai quali sarà garantito sempre meno il rispetto dei servizi essenziali. Lo hanno osservato ieri i comuni dell’Anci secondo i quali la manovra comporterà «pesanti criticità finanziarie» e eroderà la «capacità d’investimento». A Giorgetti hanno chiesto un incontro.

Ieri c’è stata un’altra scazzottata tra Tajani e Salvini causata da uno degli effetti dei tagli al ministero dei trasporti (588 milioni), quello guidato dal leghista colpito un po’ meno delle Finanze di Giorgetti (627 milioni). È previsto il «definanziamento» di 50 milioni per la metro C di Roma, di 15 per la M4 di Milano, di 15 per il collegamento tra Afragola e per la metro di Napoli. Saranno tagliati altri 13 milioni al fondo per la mobilità sostenibile. Non è solo un colpo alle «grandi opere» multimiliardarie che cambiano il volto alle grandi città, ma anche alla qualità della vita. In fondo è coerente con l’attacco al «Green Deal» sferrato dalle destre.

Meno smog e meno emissioni, più cemento. Ma non autostrade. Quella tirrenica, ad esempio, sarà tagliata di 80 milioni nel 2026, con il risultato che la previsione di 81 milioni si riduce a un solo milione. Persino l’Olimpiade Milano-Cortina, miniera d’affari, è stata toccata: meno un milione. Nei complicati giri contabili potrebbe essere una parte dell’aumento della tassa di soggiorno a rifinanziarla.

«Salvini si occupi dei tagli alla metro C di Roma – ha aggiunto Tajani – Il ministro responsabile è lui, mi auguro che segua l’argomento. Ne parli con Giorgetti». In realtà, Salvini deve avere parlato tempestivamente con il ministro dell’economia che fa parte del suo partito. L’altro vicepremier ha detto ieri di averlo fatto per il «suo» Ponte di Messina. «Gli stanziamenti sono già nel cassetto – ha osservato – Se avessi dovuto aspettare questa legge di Bilancio il Ponte lo faccio a casa mia, alla Camilluccia». Straordinaria è la confessione di Salvini. Illumina sia la politica economica del governo, sia il cinico uso degli interessi elettorali a dispetto degli altri partiti della coalizione.

Più che soffermarsi sui litigi sulla manovra che dureranno fino a Natale, è interessante il problema che li sta generando. Lo ha chiarito ieri il sottosegretario leghista al lavoro Claudio Durigon che ha invitato Tajani a chiedere informazioni in Consiglio dei ministri per evitare brutte figure. Giorgetti ha sostenuto, già l’anno scorso, che la nuova austerità consiste, in primo luogo, nello spostare a tempi migliori i finanziamenti. Nel caso delle metro di Roma, Milano o Napoli al 2029 e al 2030. Dunque, a parere di Durigon, si tratterebbe di una «riprogrammazione» dei fondi. A discolpa di Tajani va detto che è difficile comprendere la differenza dalle tabelle inserite nell’allegato VI della manovra. Ma, allo stesso tempo, va ricordato che, pur rinviati a tempi migliori (in linea teorica), non spendere decine di milioni oggi significa tagliare le risorse e fermare i lavori.

L’ironico suggerimento di Durigon a Tajani ha comunque un valore. Se non capisci, chiedi. Il problema è la politica imposta dal governo, cioè le sue cause e i suoi esiti. Sono in pochi a spiegarli ai cittadini. Battute di Giorgetti a parte, s’intende. La sua ironia, talvolta, è difficile da capire.

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