Agitare è bene Oggi a Roma a Testaccio (ore 11) e sit-in al ministero dell'università (ore 15): ricercatori precari, studenti, docenti, associazioni e sindacati Critiche alla ministra Bernini ("Nega l'evidenza dei tagli e delle riforme"). "Ci vogliono convergenza massima, azioni significative". L'appello contro i rischi del ridimensionamento della ricerca in Italia della Rete delle 122 società scientifiche
Torino, gli studenti e i ricercatori universitari bloccano l'entrata al Campus Universitario Einaudi per protesta contro la legge di bilancio
Gli «stati di agitazione delle università» che si terranno stamattina al dipartimento di Architettura di Roma Tre al Mattatoio di Testaccio (dalle 11), e in un presidio alle 15 al ministero a Trastevere, sono il risvolto di quello che non è stato detto, o è stato detto tra le righe, ieri alla Camera dove oggi continuano gli «Stati generali dell’università» organizzati dai rettori della Crui. Nell’assemblea si parlerà infatti dei tagli aggiuntivi previsti dalla legge di bilancio in votazione stasera dalla Camera (702 milioni di euro in tre anni), del DdL Bernini che aumenterà il precariato nella ricerca, della paventata riforma peggiorativa degli attuali assetti che una commissione ministeriale sta preparando, del boom delle università telematiche.
L’«AGITAZIONE» di cui parla il bel titolo dell’iniziativa di oggi rispecchia la rapida fioritura di «assemblee precarie» sbocciate negli ultimi tempi in molti atenei: da Torino a Milano, da Roma a Napoli. Si sono formati coordinamenti interuniversitari a Palermo o a Padova. In una dinamica aperta e in evoluzione si tessono reti tra associazioni universitarie (Andu, Rete 29 aprile, Adi), dei precari della ricerca (Restrike, 90%, Arted), studenti (Udu, Link, primavera degli studenti) e sindacati (Flc Cgil, Clap).
VA EVIDENZIATA la novità, per molti versi significativa, della nuova mobilitazione. È impressionante leggere l’elenco delle 122 società scientifiche accademiche che hanno firmato un drammatico documento sui «rischi di ridimensionamento della ricerca» pubblicata a ottobre sul sito «Scienza in rete». Parliamo di una parte rappresentativa della ricerca italiana che, a partire dai suoi vertici, sta provando a varcare i confini di un mondo gerarchico. L’appello al governo contro i tagli è rimasto finora inascoltato.
NELLE ASSEMBLEE e nei sit-in che si continua a sentire una tensione anti-corporativa e una spinta verso la costruzione di «alleanze» e convergenze dentro e
Commenta (0 Commenti)Strage Infinita A Bra l’incidente ripreso dalle telecamere, protesta immediata: «Basta, vogliamo sicurezza». Altri morti a Cagliari e Salerno. La dinamica è sempre la stessa: un mezzo che non si ferma e travolge i lavoratori ignari
Lo striscione di protesta al porto di Genova – Foto Ansa
A una settimana dal natale il sangue torna a scorrere al porto di Genova così come nella zona industriale di Cagliari e in una fabbrica di Postiglione (Salerno).
Tre operai schiacciati in una delle modalità quotidiane dell’inarrestabile strage sul lavoro.
A PERDERE LA VITA nel capoluogo ligure è stato il 52enne Giovanni Battista Macciò, conosciuto come Francesco, ca,allo da tanti anni. Dell’incidente questa volta ci sono le riprese delle telecamere a circuito chiuso del porto Bra. Si vede nitidamente una ralla – una motrice usata per movimentare i container – fare inversione sulla banchina e girare verso sinistra ma non fermarsi più e andare a travolgere un’altra ralla, davanti alla quale era Francesco, a controllare un carico.
L’autista, originario del Levante, è stato investito mentre era sceso dal mezzo per controllare il carico. L’incidente è avvenuto intorno alle 4 di ieri notte. Ferito anche un secondo lavoratore, che si trovava alla guida di un altro mezzo. L’uomo è stato trasportato d’urgenza all’ospedale San Martino, con trauma cranico.
Immediata anche la reazione dei sindacati dei camalli: dopo la tragedia il porto si è bloccato per uno sciopero di 24 ore, indetto dai Cgil, Cisl e Uil, con mobilitazione a Ponte Etiopia e ai varchi centrali dello scalo genovese per chiedere più sicurezza e formazione, richieste racchiuse da uno striscione: «Ci siamo rotti il cazzo di morire sul lavoro». I sindacati unitariamente sostengono di «aver denunciato più volte la pericolosità di quella zona» e chiedono che «gli Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) possano accedere a tutte le zone del porto, alcune oggi sono loro interdette».
FRANCESCO È STATO RICORDATO dal Comitato dei parenti delle vittime del ponte Morandi: «Una grande persona, un uomo che con la sua famiglia è stato vicino in modo particolare alle nostre famiglie fin dal 14 agosto 2018, era con noi sempre ogni 14 agosto, era con noi domenica per l’inaugurazione del Memoriale. Siamo sconvolti. Un giorno che non sarebbe mai dovuto arrivare, un’altra morte sul lavoro che non ha senso. Un mondo alla rovescia», conclude il Comitato Parenti vittime del Ponte Morandi.
UNA MANOVRA SBAGLIATA da parte di chi stava guidando un camion sarebbe all’origine anche della morte del 57enne Stefano Deiana, schiacciato dal mezzo pesante nell’officina dove lavorava nella zona industriale di Elmas, nel cagliaritano. Ferito anche il collega senegalese Abdoulaye Lo, trasportato all’ospedale Brotzu di Cagliari. L’incidente è avvenuto ieri intorno alle 13 nell’officina in via delle Miniere. Secondo quanto ricostruito, l’autista del mezzo, un 47enne, residente a Decimoputzu, non si sarebbe accorto della presenza dei due lavoratori, e avrebbe investito i due meccanici che, in quel momento, si trovavano sotto il mezzo. Il 57enne ha riportato gravi traumi da schiacciamento ed è morto sul posto nonostante i tentativi di soccorso da parte del personale del 118. Il 27enne, invece, ha riportato solo alcune lesioni e le sue condizioni non sarebbero gravi.
MOLTO SIMILE L’INCIDENTE avvenuto a Postiglione, nel Salernitano, costato la vita a Domenico Caputo. Il 36enne è stato travolto da un camion mentre lavorava nella fabbrica di famiglia. Secondo una prima ricostruzione, sarebbe stato schiacciato dal portellone del mezzo pesante, probabilmente a causa di un guasto meccanico. Pare fosse intento a scaricare un carico dal camion quando è rimasto coinvolto nell’incidente.
Si conta un ferito invece nell’Aretino. Nel comune di Castiglion Fibocchi un uomo di 40 anni è rimasto schiacciato da una pressa per l’imbottigliamento del vino. È ora ricoverato alle Scotte di Siena, dove è arrivato in codice rosso
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Al senato La premier prova a raccogliere il messaggio del capo dello stato. Ma ne ha per tutti. Scontro con Monti su Musk
I toni sono quelli di sempre, se possibile più rissosi e a tratti striduli del solito. L’intento di Giorgia Meloni, nella replica al Senato dopo il dibattito sulle sue comunicazioni in merito al prossimo Consiglio europeo, invece è diverso da quello di 24 ore prima alla Camera. È arrivato a destinazione il messaggio del capo dello Stato: un invito perentorio rivolto a tutte le parti politiche ma anche ai media perché abbandonino l’uso smodato della categoria amico/nemico e della contrapposizione insanabile. Dunque qualche apertura al dialogo stavolta Meloni la cerca, anche se è difficile accorgersene nel fragore della rissa da strada in cui trasforma il suo intervento.
LA PREMIER COME al solito ne ha per tutti. Il caso Fitto se lo è legato al dito: «La Lega ha contestato la Commissione ma non il commissario italiano. Invece c’è chi ha difende la Commissione ma contesta il commissario italiano. C’è una bella differenza». Quando esalta l’aver sloggiato i camorristi da Caivano e qualcuno dall’aula rumoreggia perde quasi la testa. Gli fa il verso. Strilla e sbraita. Sbotta: «Voi non lo avete fatto e questi versi anche no». La rissa minaccia di non restare confinata nella sfera verbale. La presidente insiste: «Quando vengo accusata posso rispondervi o devo restare in silenzio?».
Ma la premier non ha alcuna intenzione di creare frizioni eccessive con il presidente della Repubblica e cerca spiragli d’apertura. Visto che Alfieri, Pd, riconosce l’importanza del piano Mettei, ci si potrebbe lavorare insieme. E se l’opposizione si accordasse per garantire l’approvazione della legge di bilancio entro il termine obbligatorio del 31 dicembre lei sarebbe prontissima a non mettere la fiducia. Sono segnali inviati all’opposizione ma con lo sguardo rivolto al Colle.
SOLO CHE L’ALLARME di Mattarella non riguardava solo la degenerazione del confronto politico in una specie di guerra civile mimata. Anche più marcata era la preoccupazione per il potere che stanno assumendo le corporation, sottratte «a ogni controllo pubblico», quasi in grado ormai di sfidare lo Stato quanto a monopolio della forza e sulla moneta. Ogni riferimento a Elon Musk era puramente intenzionale e quell’amicizia imbarazzante viene puntualmente rinfacciata alla premier in particolare da Mario Monti. «Non so che film abbiate visto. Io posso essere amica di Elon Musk e nello stesso tempo presidente del primo governo che in Italia ha fatto una legge per regolamentare l’attività dei privati nello spazio». Incrocia la lama con la Pd Malpezzi ancora sul tycoon: «Il miracolo di Musk è avervi fatto diventare sovranisti ma quando stava con i democratici non avevate niente da dire su di lui».
Altra amicizia pericolosa, quanto a quarti di democrazia, è quella con il presidente argentino Javier Milei. Se la cava con una battuta, duettando a suon di colpi bassi con Matteo Renzi: «Era lei a mettersi il cappotto come Obama. Io sono amica di Milei ma non mi faccio crescere le basette». Replica facile: «Obama non lo ho mai visto col cappotto. A vestirsi come il suo leader Trump è stato Salvini: ha sbagliato Matteo».
Ma le battute non bastano. La premier italiana è decisa a dar vita con Trump e con Milei a quella «internazionale di destra» che l’argentino ha proposto, non per la prima volta, proprio ad Atreju. Allo stesso tempo però intende difendere e rinsaldare quei rapporti con il Ppe che le hanno garantito quella centralità europea che le stesse opposizioni le hanno riconosciuto in questi giorni, sia pur per accusarla di non saperne trarre nulla di buono. È un esercizio di equilibrismo che potrebbe rivelarsi molto difficile.
SULL’UCRAINA la premier italiana, come del resto l’Unione europea, non ha modificato di un millimetro la posizione assunta quasi tre anni fa. Come se la situazione fosse la stessa di allora. Peraltro il compito di cercare una mediazione e un accordo con i nuovi Usa ricadrà in parte importante proprio su di lei, la «leader più influente in Europa». Forse il nervosismo che neppure più i suoi provano a negare, quello dimostrato ad Atreju ma ancor più in questa due giorni parlamentare perché qui a parlare e urlare non era la capopartito ma la presidente del consiglio, deriva proprio dalla consapevolezza di cosa la aspetta nei prossimi mesi.
Commenta (0 Commenti)«L’Ucraina non ha la forza per riconquistare i territori controllati dai russi». Per la prima volta Zelensky ammette che la via d’uscita dalla guerra non può essere militare. Ma chiede ancora armi
Giocoforza Il presidente ucraino sembra aprire al negoziato, poi ci ripensa: «Ce lo vieta la Costituzione». E chiede maggiore sostegno a Trump
«L’Ucraina non ha la forza per riconquistare i territori controllati dai russi» e potrà affidarsi solo alla «pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin a sedersi al tavolo delle trattative». Se a dirlo è Volodymyr Zelensky in persona vuol dire davvero che siamo a un momento di svolta. Ma attenzione: «Non rinunceremo ai nostri territori – aggiunge -, è la Costituzione ucraina che ce lo vieta».
Dunque, la domanda sorge spontanea: Zelensky si rassegnerà a cambiare la Costituzione oppure sta tentando nuove vie, come quella di chiedere garanzie di sicurezza dai paesi dell’Ue per affrontare il discorso dell’integrità territoriale nel futuro prossimo? Nel caso della seconda eventualità nessuno dei leader della Nato dubita che lasciare il Donbass, forse la Crimea definitivamente e chissà che altro a Mosca voglia dire cambiare le mappe una volta per tutte. Ma il vero punto è quanto la futura amministrazione statunitense tenga all’integrità territoriale ucraina a fronte di un cessate il fuoco permanente.
IN UN’INTERVISTA INSOLITA, organizzata sotto forma di video-incontro con i lettori di Le Parisien a fare le domande, Zelensky ha interpretato una parte ben diversa da quella a cui ci ha abituato negli ultimi tre anni di conflitto con la Russia. Ha parlato di difese aeree, ovvio, della barbara violenza del nemico e della sofferenza dei suoi concittadini. Ma per la prima volta ha ammesso in modo inequivocabile che la via militare non riparerà ai torti di guerra. «Putin deve essere messo al suo posto», ma non saranno le armate ucraine a farlo, se non altro perché non ne hanno la forza materiale. E quindi il leader ucraino chiede agli alleati di farsene carico: «Non dimenticate tutto ciò che è successo: i missili, l’occupazione delle nostre terre, i morti, l’esilio di 8 milioni persone e i milioni di sfollati interni. Putin è come un boomerang: ritorna finché non ottiene ciò che vuole. E per la prima volta in 30 anni ha trovato un paese che gli ha resistito».
MA QUESTA NARRAZIONE ora eroica della guerra in corso si scontra con la dura realtà del
Commenta (0 Commenti)Striscia di sangue Si riduce la distanza tra Israele e Hamas, cessate il fuoco possibile nei prossimi giorni. La tregua, si dice, potrebbe essere legata alla normalizzazione tra Tel Aviv e Riyadh
Una casa distrutta nel campo profughi di Al Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza – Omar Ashtawy/Ansa
Non era al Cairo ieri Benyamin Netanyahu, ma sul Jabal Sheikh (Monte Hermon), nelle alture del Golan occupate, a fare il punto della situazione lungo le linee di armistizio con la Siria abbondantemente superate dalle truppe israeliane – il 603° Battaglione del Genio dell’Esercito ha raggiunto villaggi a 20 chilometri da Damasco e girano voci di unità speciali alla ricerca dei resti di Eli Cohen, la spia israeliana giustiziata dalla Siria nel 1965 – dopo l’8 dicembre, quando Bashar Assad è fuggito dalla Siria mentre i jihadisti occupavano Damasco. Sul Jabal Sheikh, Netanyahu ha messo le cose in chiaro, confermando ciò che era stato palese a tutti nei giorni scorsi. Israele, ha annunciato, rimarrà sulla cima del monte «finché non verrà trovato un altro accordo (con la Siria) che garantisca la sua sicurezza». L’occupazione si espande, va ben oltre i 1200 kmq del Golan che Israele occupa dal 1967.
LA NOTIZIA DELLA PARTENZA del premier israeliano per la capitale egiziana, poi smentita, ha subito fatto il giro del mondo avvalorando le indiscrezioni su un accordo imminente (mediato da Egitto e Qatar) tra Hamas e il governo Netanyahu per una tregua temporanea a Gaza e lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri politici palestinesi. Accordo che sarebbe legato, dietro le quinte, alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia saudita. In sostanza, secondo le voci, Netanyahu si sarebbe
Leggi tutto: Bibi sul Golan: resteremo qui. A Gaza si spera nella tregua - di Michele Giorgio
Commenta (0 Commenti)Quirinale Il Capo dello Stato durante gli auguri alle alte cariche: «Democrazie insidiate dalle grandi società che concentrano capitali e sfuggono alle regole». «Chi opera nelle istituzioni deve rispettare i limiti del proprio ruolo, senza invasioni di campo e contrapposizioni. La Repubblica vive di questo ordine». «Sostenere il pluralismo nell’informazione non affidandosi soltanto alle logiche di mercato»
Di fronte alla tante «faglie» che minano il tessuto politico e sociale delle nostre democrazie, Sergio Mattarella lancia un messaggio ai chi ricopre cariche istituzionali. Richiama il «senso del dovere che richiede a tutti coloro che operano in ogni istituzione, di rispettare i limiti del proprio ruolo. Senza invasioni di campo, senza sovrapposizioni, senza contrapposizioni». E «a prescindere dalle appartenenze politiche». «La Repubblica vive di questo ordine. Ha bisogno della fiducia delle persone che devono poter vedere, nei comportamenti e negli atti di chi ha responsabilità, armonia tra le istituzioni».
MATTARELLA PARLA DAVANTI alle più alte cariche dello Stato per i tradizionali auguri di fine anno nel salone dei corazzieri. E, senza allarmismi che non sono nel suo dna, descrive un’Italia esposta a molti rischi, che derivano dalle guerre che «seminano in profondità paura, divisione e odio» (per questo occorre «riaffermare con forza e convinzione le ragioni della pace»), ma anche dalle polarizzazioni e dalle divisioni che limitano lo spazio «del dialogo e della mediazione», portano a una «radicalizzazione che pretende di semplificare escludendo l’ascolto e riducendo la complessità alle categorie di amico/nemico».
«Si rischia che non esistano ambiti tenuti al riparo da questa tendenza alla divaricazione incomponibile delle opinioni», avverte il Capo dello Stato, che cita i conflitti sui vaccini e sui cambiamenti climatici come esempi di temi su cui lo scontro non riesce ad approdare ad una «serena riflessione comune». Di qui l’invito a chi esercita le maggiori responsabilità in campo istituzionale, ai governanti che devono tenere conto di come il tasso di astensionismo stia indebolendo la democrazia, fino al rischio di «una democrazia senza popolo e di fantasmi».
PER IL PRESIDENTE L’ANTIDOTO a questi rischi non è solo la «stabilità» dei governi e neppure la crescita dell’occupazione. Ma ritrovare «spirito di servizio. passione civile, senso del dovere». Una «miniera di valori» che il Capo dello Stato non si limita ad evocare in senso astratto. Ma che richiama citando esempi, dai sindaci ai militari dell’Unifil in Libano, a tante espressioni della società civile. Il monito alle alte cariche è di «poter essere all’altezza delle nostre responsabilità. Di riuscire a farvi fronte con lo stesso impegno e la stessa fiduciosa determinazione con la quale tantissimi nostri concittadini, affrontando difficoltà, mandano avanti, ogni giorno, le loro famiglie e le nostre comunità».
IN PRIMA FILA GIORGIA MELONI ascolta: nel discorso del presidente, come ovvio, non ci sono riferimenti al comiziaccio di domenica ad Atreju, in cui la premier ha attaccato con veemenza molti avversari, compresi il leader della Cgil Landini e l’ex presidente della commissione Ue Romano Prodi. Ma è difficile dire che le orecchie non le siano fischiate quando il capo dello Stato ha esortato ad evitare la «costante ricerca di contrapposizioni» ricordando che «le istituzioni sono di tutti» e chiedendo «comportamenti» adeguati.
IL CAPO DELLO STATO, come già aveva fatto nel dicembre scorso, analizza anche altri gravi rischi che incombono sulle democrazie: quelli rappresentati dalla «concentrazione in pochissime mani di enormi capitali e del potere tecnologico, così come il controllo accentrato dei dati». Nel mirino non c’è solo Elon Musk «come ci si azzarda a interpretare», chiarisce. Ma tutti quei soggetti, pochi, «con immense disponibilità finanziarie, che guadagnano ben più di 500 volte la retribuzione di un operaio o di un impiegato. Grandi società che dettano le loro condizioni ai mercati e – al di sopra dei confini e della autorità degli Stati e delle organizzazioni internazionali – tendono a sottrarsi a qualsiasi regolamentazione, a cominciare dagli obblighi fiscali».
Mattarella torna a denunciare i rischi di questi soggetti che perseguono la ricchezza come «strumento di potere che consente di essere svincolati da qualunque effettiva autorità pubblica». Fino a sfidare il monopolio della forza e della moneta, architravi dello stato moderno che rischia di essere svuotato. L’unica «garanzia» rispetto alla crescita di questi poteri extrastatali è «la tenuta e il consolidamento delle istituzioni democratiche, unico argine agli usurpatori di sovranità». E se dentro le democrazie si insinua il dubbio su una loro presunta lentezza o inadeguatezza rispetto ai mutamenti della tecnologia e dell’economia, per Mattarella la riposta è una sola: «Bisogna amare la democrazia, prendersene cura».
Come? Evitando «conflitti e radicalizzazioni» che producono «una desertificazione del tessuto civile» che può lasciare «campo libero ad avventure di ogni tipo». E anche «sostenendo il pluralismo, nelle articolazioni sociali come nell’informazione», non affidandosi soltanto «alle logiche di mercato». Tutti i possibili destinatari delle sue parole erano presenti ieri sera al Quirinale. A partire da Meloni
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