I CORTEI. Poche centinaia col leghista in difesa dell’Occidente. Disertano gli alleati di Fdi e Fi e la comunità ebraica. Migliaia al corteo per dire stop ai massacri a Gaza. Il vicepremier insulta: «Fascisti»
Il corteo milanese pro Palestina - Ansa
Sono state due piazze antitetiche, non speculari. La distanza reale, poco più di un chilometro. Quello che divide largo Cairoli, dove ieri c’è stata la manifestazione lanciata dal leader della Lega Salvini in difesa dei valori dell’Occidente e contro il fanatismo jihadista, e piazza Missori, dove si è concluso il corteo organizzato dalla rete «Milano antifascista, antirazzista, meticcia e solidale» per dire «stop war, stop racism».
La distanza ideale, molta di più. In mezzo, la solita Milano, indifferente a tutto, tra selfie di turisti in piazza Duomo e i primi tentativi di shopping natalizio, in una delle prime giornate freddine e piovose di una stagione segnata dai cambiamenti climatici, tra ondate di caldo e esondazioni di fiumi.
SE VOLEVA ESSERE UNA SFIDA, il risultato è stato netto. Nelle intenzioni e nel finale. Per il milanista Salvini, una sconfitta come quella della sua squadra del cuore nell’ultimo derby, e senza nemmeno il gol della bandiera. In piazza per la difesa dei valori dell’Occidente c’erano alcune centinaia di persone, poco più di mille. Nonostante l’ottimismo ostentato dal leader della Lega alla fine della giornata, la manifestazione da lui fortemente voluta non è andata bene. Aveva lanciato l’iniziativa nel nome di Oriana Fallaci, ma dopo la minaccia di querela da parte del nipote della scrittrice ha dovuto cancellare qualsiasi riferimento.
Avrebbe voluto al suo fianco la comunità ebraica, ma al di là di un paio di
Leggi tutto: Milano, la piazza pro-Palestina umilia quella di Salvini - di Alessandro Braga, MILANO
Commenta (0 Commenti)COSTITUZIONE. Meloni mette le mani avanti: «Se non passa io resto». Quasi azzerati i poteri del Capo dello Stato. Le opposizioni: un pericoloso pasticcio. Gelo di Salvini. Buio sulla legge elettorale che garantirà il 55% dei seggi al vincitore
Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani durante la conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri - Ansa
Il mostro giuridico del premierato Frankenstein è stato ufficialmente varato ieri dal consiglio dei ministri. Meloni, dopo il consiglio dei ministri, ha usato toni enfatici definendo quella appena partorita la «madre di tutte le riforme», una «rivoluzione che ci porta nella terza Repubblica, mai più governi tecnici e ribaltoni». Ha precisato che il suo vero obiettivo era l’elezione diretta del presidente della Repubblica, e ha definito questo testo una sorta di mediazione per «salvaguardare il ruolo di garanzia del Quirinale che è molto apprezzato dagli italiani».
E anche per cercare «il consenso più ampio anche tra le opposizioni». Ma è stata molto attenta a mettere le mani avanti, memore della disastrosa esperienza di Renzi: «L’esito di questa riforma non avrà nulla a che fare con l’andamento del governo. Io ho fatto quello che dovevo fare e ora consegno la proposta al Parlamento e poi agli italiani col referendum: serve all’Italia, non a me».
MELONI E LA MINISTRA delle Riforme Casellati insistono nel
Leggi tutto: Meloni battezza il mostro giuridico del premierato - di Andrea Carugati
Commenta (0 Commenti)L’invasione via terra è al suo apice, dice Israele. I tank tagliano in due la Striscia e accerchiano Gaza City. Da Netanyahu il no anche a rifornire di benzina i generatori elettrici degli ospedali. Campi profughi di nuovo sotto le bombe, 195 morti a Jabaliya. L’Onu: «Rischio genocidio»
GAZA CITTÀ CHIUSA. Ancora bombe su Jabaliya, Beach camp, Bureij: colpite le scuole dell’Unrwa. Nel raid di martedì 195 uccisi, altri 120 dispersi
Un uomo soccorso nel campo di Bureij - Ap/Mohammed Dahman
«Questa era la mia casa. Non so cosa dire. Siamo senza difesa». Una donna indica un mucchio di macerie. Viveva con la famiglia nel campo profughi di Bureij, a sud di Gaza City, 46mila abitanti. Sono i campi rifugiati i più colpiti dall’aviazione israeliana negli ultimi giorni. A Jabaliya non c’è pace. Stanno ancora cercando i dispersi dell’attacco di martedì sera. Alla fine si è riusciti a fare un bilancio di quel raid, delle sei bombe sganciate su Jabaliya: 195 uccisi, 777 feriti e circa 120 dispersi, probabilmente morti. Lo dicevano ieri i soccorritori, civili a mani nude: non c’è più nessuno vivo sotto.
IERI È SUCCESSO ancora. Stesse scene, macerie rimosse a mani nude: «Le mie due sorelle sono sotto, con i figli. Siamo inutili. Non possiamo rimuovere tutto questo cemento. È troppo tardi, saranno morti ormai». È il racconto di un ragazzo ai giornalisti di al Jazeera, pressoché unica emittente che riesce a lavorare dalla Striscia, dove internet e rete telefonica si accendono e si spengono.
Gli uccisi a Jabaliya ieri erano almeno 29, decine i feriti. Tra le strutture prese di mira c’è una scuola dell’Unrwa che ospita migliaia di sfollati. Poche ore prima Israele aveva bombardato un’altra scuola dell’agenzia Onu per
Commenta (0 Commenti)UN ARTICOLO DELLO SCRITTORE URUGUAIANO PUBBLICATO NEL 2009. Da dove viene l’impunità con cui Israele sta eseguendo la mattanza di Gaza? Il governo spagnolo non avrebbe potuto bombardare impunemente il Paese Basco per sconfiggere l’Eta, né il governo britannico avrebbe potuto radere al suolo l’Irlanda per liquidare l’Ira
Nord di Gaza, ragazze palestinesi davanti a un edificio distrutto dai raid israeliani del gennaio 2009 - Ap
Questo articolo dello scrittore Eduardo Galeano è stato pubblicato sul manifesto del 15 gennaio 2009, durante l’operazione militare israeliana Piombo Fuso che durò dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009, con l’obiettivo di colpire Hamas nella Striscia di Gaza, e fece 1.400 morti. Di ciò che è scritto quasi niente sembra superato.
Per giustificarsi, il terrorismo di stato fabbrica terroristi: semina odio e raccoglie pretesti. Tutto indica che questa macelleria di Gaza, che secondo gli autori vuole sconfiggere i terroristi, riuscirà a moltiplicarli.
Dal 1948 i palestinesi vivono una condanna all’umiliazione perpetua. Senza permesso non possono nemmeno respirare. Hanno perso la loro patria, la loro terra, l’acqua, la libertà, tutto. Non hanno nemmeno il diritto di eleggere i propri governanti. Quando votano chi non devono, vengono castigati. Gaza viene castigata. Si è trasformata in una trappola per topi senza uscita da quando Hamas vinse limpidamente le elezioni nell’anno 2006. Qualcosa di simile era accaduto nel 1932, quando il Partito Comunista aveva trionfato nelle elezioni in Salvador. Inzuppati nel sangue, i salvadoregni espiarono la loro cattiva condotta e da allora vivono sottomessi a dittature militari. La democrazia è un lusso che non tutti meritano.
SONO FIGLI dell’impotenza i razzi caserecci che i militanti di Hamas, rinchiusi a Gaza, sparano con mira pasticciona sopra le terre che erano state palestinesi e che l’occupazione israeliana ha usurpato. E la disperazione, al limite della pazzia suicida, è la madre delle spacconate che negano il diritto all’esistenza di Israele, urla senza
Leggi tutto: Operazione Piombo impunito - di Edoardo Galeano
Commenta (0 Commenti)ISRAELE. «Io dico: vuoi l’acqua? Ridammi mio fratello». «Non puoi dire che vai in guerra per vendetta, la vendetta non è un obiettivo». La Tel Aviv «divisa» sull’operazione a Gaza si unisce su un obiettivo: Netanyahu deve andarsene. Sullo sfondo, restano i rapiti dimenticati: poveri, mizrahim, beduini
Il presidio a Kaplan Street per lo scambio di prigionieri - Chiara Cruciati
Sono appoggiati su una panchina a Kaplan Street, di fronte al presidio permanente delle famiglie degli ostaggi: cartelli con su scritto «All for all today». «Prisoner deal for Israel’s survival», lo slogan con il pennarello rosso lasciato sopra un altro cartoncino.
Questo pezzo di strada nel cuore di Tel Aviv, a pochi passi dal quartier generale dell’esercito, i familiari delle persone rapite da Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre non lo mollano. Hanno montato una tenda, sedie di plastica, cartoni d’acqua. Una signora si presenta con una torta al cioccolato.
Su un albero hanno appeso cordoncini gialli («Come le stelle della Shoah») e farfalle di origami con i nomi di alcuni ostaggi. I loro volti sono ovunque. Tappezzano i muri, le fermate dell’autobus, le centraline elettriche, i cartelli stradali. Volti, nomi, età e hashtag: #Bringthemhome, #HamasisIsis.
I PALI dei semafori sono ricoperti di adesivi: la faccia di Benyamin Netanyahu con sopra l’impronta di una mano sporca di sangue, la sua faccia con la parola «Dimettiti». Qualcuno ha
Commenta (0 Commenti)Una democrazia non agisce per vendetta, ma per necessità di sicurezza. Per evitare il baratro e giungere alla pace, bisogna evitare ogni polarizzazione
Dopo gli avvenimenti del 7 ottobre scorso abbiamo avvertito la necessità di una riflessione. La discussione è complessa e affrontarla per tifoserie alimenta la polarizzazione. Il tema è quello della radicalizzazione fondamentalista delle masse in medio oriente e delle lenti con le quali il cosiddetto mondo occidentale ha preteso di leggere alcuni fenomeni volendoli iscrivere al paradigma della democrazia. Le “primavere arabe”, da questo punto di vista, hanno rappresentato una cartina di tornasole. La lettura di certi fenomeni ha forzato l’interpretazione di alcuni movimenti che nei loro “catechismi politici” non avevano solo elementi programmatici di democrazia.
Le primavere arabe hanno messo in discussione i vecchi sistemi non più sostenibili ma non sono state in grado di risolvere né le questioni sociali né quelle economiche mentre le ineguaglianze si sono ulteriormente aggravate. Inoltre, la repressione violenta degli apparati governativi, ha generato nuovi conflitti in Algeria, in Libano e in Iraq ed alimentato la crescita dell'Isis e lo sviluppo delle guerre in Yemen e Siria. Ha portato a cambiamenti permanenti diversi da zona a zona. Gli stati del Levante, in particolare Siria e Iraq si sono disintegrati, forse in modo irreversibile. Le monarchie del Golfo hanno intrapreso piani di vasta portata di cambiamento economico e sociale per allontanare il malcontento. L'Egitto si è ritirato nell'autoritarismo militare e nella guerra agli islamisti, mettendo a rischio la sua futura stabilità. La caduta dei dittatori, da Saddam Hussein a quelli delle primavere arabe, ha sancito il tramonto dell’era post-coloniale e dello Stato-Nazione che conteneva con metodi autocratici i
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