Giorgia Meloni ricompare, sotto le insegne della Cisl per ringraziarla della collaborazione con il governo. La premier nasconde la crisi, attacca la «conflittualità tossica» dei sindacati confederali cattivi, Cgil e Uil, e inneggia a una «nuova alleanza tra imprese e lavoratori»
I federali Standing ovation all'assemblea nazionale della Cisl per la premier che non parla delle condizioni materiali del lavoro e sfrutta la divisione tra i sindacati. E poi fa una requisitoria revisionista e neoliberale della storia: "L’Italia deve lasciarsi alle spalle un Novecento fatto di pregiudizi, antagonismo e furore ideologico". Palazzo Chigi critica i contratti nazionali accusati di «rigidità» e punta su quelli aziendali e territoriali. Sbarra contro la Cgil: "Le critiche alla legge sulla partecipazione sono grottesche". Oggi la risposta di Landini da Bologna dove lancia la campagna referendaria contro il Jobs Act e per la cittadinanza
Un attacco durissimo alla Uil e soprattutto alla Cgil che oggi al Paladozza di Bologna lancia la campagna referendaria contro il Jobs Act e sulla cittadinanza. E un’alleanza con la Cisl fatta per sancire la spaccatura tra i sindacati confederali in nome di una legge sulla «partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa» che è stata peggiorata rispetto alla proposta di legge popolare presentata dal sindacato guidato dal segretario uscente Luigi Sbarra. Da oggi, al suo posto, ci sarà Donatella Fumarola.
LA DOPPIA MOSSA di Giorgia Meloni è stata fatta ieri all’assemblea generale della Cisl all’auditorium della conciliazione a Roma. Da tempo in silenzio sui problemi del governo, a cominciare dal caso Elmasry, il primo intervento pubblico di un certo rilievo è avvenuto sul lavoro e sull’economia. La presidente del Consiglio ha continuato a spacciare la favoletta per cui l’aumento assoluto della quantità dei lavoratori registrato negli ultimi due anni sia una conquista della «Nazione», mentre invece è un problema perché non corrisponde all’aumento della produttività e al recupero della maxi-inflazione degli ultimi due anni da parte dei salari.
VEDIAMO I DATI. Il 29 gennaio scorso l’Inps ha dimostrato che nell’ultimo anno la cassa integrazione è aumentata del 20% (da 41,4 milioni di ore a 507 milioni). A novembre l’Inps ha ricevuto il 4,3% in più di domande di disoccupazione (Naspi e DisColl). Inoltre ci sono i ventidue mesi consecutivi di calo della produzione industriale e la crisi devastante che sta travolgendo il settore dell’automotive. Poi c’è l’aumento record dei prezzi dell’elettricità a gennaio (+48% sulla Spagna, +40% sulla Francia). E c’è anche il record del prezzo del gas naturale che determina quello dell’elettricità nel 90% delle ore. Sono gli elementi che influiscono tanto sulle bollette, e sui salari, quanto sulle imprese che stanno rallentando la produzione. C’è il rischio di altri licenziamenti e cassa integrazione.
MELONI NON HA DETTO nulla su tutto questo. In mancanza di iniziativa politica ieri, davanti alla platea della Cisl che le ha tributato una standing ovation, ha colto l’occasione per
Commenta (0 Commenti)Vacilla l’accordo fragilissimo tra Israele e Hamas. Trump insiste con il piano di pulizia etnica dei palestinesi di Gaza, Netanyahu promette di metterlo in pratica, il movimento islamico sospende lo scambio di sabato ma lascia «la porta aperta». Palestina sull’orlo del baratro
Tregua in ostaggio Il movimento islamico sospende la liberazione dei prigionieri. Pesa il piano di pulizia etnica di Trump e Netanyahu per Gaza. 180 palestinesi morti dall’inizio dell’intesa. Le famiglie degli ostaggi scendono in piazza
La famiglia Rehan sulle rovine della propria casa nel campo profughi di Jabaliya – Ap/Abdel Kareem Hana
Sono ore di tensione, di attesa nervosa. Gaza rischia di finire di nuovo sotto missili e bombe. L’annuncio di Hamas della sospensione della liberazione degli ostaggi israeliani, in risposta, afferma il suo portavoce militare Abu Obeida, al mancato rispetto da parte di Tel Aviv degli impegni stabiliti dall’accordo di tregua, è arrivato quando Benyamin Netanyahu aveva da poco terminato il suo intervento davanti al plenum della Knesset. Con tono soddisfatto, il premier si era rivolto ai parlamentari offrendo come soluzione per il cosiddetto «giorno dopo» senza Hamas al potere a Gaza, il piano annunciato da Donald Trump volto a cacciare via i palestinesi dalla Striscia che sarà «comprata» dagli Stati uniti. Un progetto che il presidente americano ha ribadito ieri in una intervista alla Fox News.
Quando gli è stato chiesto se i palestinesi di Gaza avranno il diritto di tornare nella loro terra, Trump ha risposto «No, non ne avranno, perché riceveranno alloggi molto migliori…In altre parole, sto parlando di costruire un posto permanente per loro». Spostamento, trasferimento, emigrazione, allontanamento e altro ancora. I media mainstream, italiani in testa, consultano nervosamente il vocabolario per non usare le due parole, pulizia etnica, che descrivono con estrema chiarezza ciò che hanno in testa la Casa Bianca e il premier israeliano Netanyahu. Il presidente Trump, ha detto il premier israeliano, «ha presentato una visione nuova e rivoluzionaria per il giorno dopo Hamas». Quindi si è rivolto ai membri dell’opposizione che lo stavano fischiando e ha detto «Continuate a parlare del ‘giorno dopo’ e ora l’avete ottenuto. Il vostro problema è che non corrisponde alla narrazione di Oslo (Due Stati, Israele e Palestina, ndr)». Se i palestinesi saranno espulsi da Gaza – non se ne andranno mai volontariamente sapendo che non potranno tornare -, a forte rischio saranno anche quelli in Cisgiordania. Oggi Re Abdallah di Giordania incontra Trump al quale ribadirà che il suo regno rifiuta il piano per Gaza e, in ogni caso, non accoglierà profughi palestinesi.
L’interrogativo per tutti ieri sera riguardava il futuro della tregua tra Israele e Hamas dopo l’annuncio del movimento islamico. Netanyahu ha immediatamente convocato i funzionari della Difesa e ha anticipato la riunione del gabinetto per la sicurezza a questa mattina. Il ministro della Difesa Israel Katz ha ordinato all’esercito «di prepararsi al massimo livello di allerta per
Commenta (0 Commenti)Foibe Il Giorno del Ricordo nasce fin dall’inizio in contrapposizione al 25 aprile, nella logica di una presunta “pacificazione nazionale” secondo la quale ognuno degli schieramenti che si erano confrontati nella seconda guerra mondiale avrebbe dovuto avere la sua celebrazione
Sono passati vent’anni dalla prima celebrazione del Giorno del Ricordo e due e mezzo da quando le forze politiche che l’hanno voluto governano il Paese. È possibile provare a tirare le somme, capire se questa data memoriale ha raggiunto il suo obiettivo originario.
E qual è il messaggio che sta veicolando nell’opinione pubblica. Fin dalla sua ideazione, il Giorno del Ricordo aveva carattere prettamente ideologico, non storico. La complessità delle dinamiche che hanno portato alla violenza di fine guerra al confine italo-jugoslavo era e rimane sostanzialmente sconosciuta. Ma le forze neofasciste che avevano sempre strumentalizzato tale violenza avevano altri scopi.
L’obiettivo principale era criminalizzare il comunismo in generale e la resistenza jugoslava in particolare. E, indirettamente, riabilitare il regime fascista, rappresentando i suoi fautori come vittime ed eroici difensori dei sacri confini della patria. Il Giorno del Ricordo nasce quindi fin dall’inizio in contrapposizione al 25 aprile, nella logica di una presunta “pacificazione nazionale” secondo la quale ognuno degli schieramenti che si erano confrontati nella seconda guerra mondiale avrebbe dovuto avere la sua celebrazione e i suoi martiri da commemorare.
L’accostamento al Giorno della Memoria, per vicinanza temporale e linguistica, serviva invece a proporre un’equiparazione, poi ribadita esplicitamente infinite volte, tra le foibe e i crimini nazisti. Con il triplice scopo di relativizzare la Shoah, equiparare le ideologie novecentesche e criminalizzare chiunque metta in dubbio la narrazione ideologica delle foibe attraverso una corretta ricostruzione storica. Chi evidenzia ad esempio le responsabilità fasciste nella spirale di violenza sul confine orientale sta “giustificando” un crimine analogo alla Shoah e finisce quindi nel girone infernale dei “negazionisti”, senza più diritto di parola.
La narrazione vittimista delle violenze al confine orientale (quella dello sterminio anti-italiano e della presunta “pulizia etnica”) era già presente nel
Leggi tutto: Giorno del ricordo - La «battaglia» l’hanno vinta loro? - di Eric Gobetti
Commenta (0 Commenti)«Rubano le terre ai bianchi»: Trump taglia gli aiuti al Sudafrica e offre asilo agli esuli afrikaners. Mentre i giudici americani gli sospendono alcune follie, arriva la vendetta per aver denunciato Israele alla Corte dell’Aja. A Madrid l’internazionale dei piccoli Donald, Italia in testa
Un giorno a Pretoria Critiche a Israele e bianchi discriminati: scatta il taglio dei fondi e l’asilo agli afrikaner
Donald Trump firma l’ordine esecutivo contro il Sudafrica nello studio ovale – Ap
Detto fatto. Dopo regolare minaccia, anche l’ordine esecutivo che congela ogni tipo di di sostegno al Sudafrica è stato firmato nello studio ovale e sparato nell’infosfera globale. Il motivo, esplicitato dallo stesso Trump con la consueta onestà intellettuale, è duplice: in primis il reato di lesa maestà nei confronti di Israele per l’accusa di genocidio efficacemente portata da Pretoria davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja; in secondo luogo, la minaccia che incomberebbe sulle proprietà terriere della minoranza bianca, a rischio di confisca – secondo Trump – senza indennizzo.
Due cioccolatini, nell’ordine, per Netanyahu e Elon Musk. E un bersaglio unico: il Sudafrica che prova a scrollarsi i guasti ereditati dall’era del suprematismo bianco. E ancora trova sano e giusto denunciare i crimini dell’apartheid, se a instaurarlo è Israele ai danni dei palestinesi.
FONTE INESAURIBILE di ispirazione per il presidente è il triumvirato che unisce Musk agli altri due moghul di tendenza, Peter Thiel e David Sacks, che con il padrone di Space X condividono origini sudafricane e focose passioni alt-right. Grazie a loro è noto dai tempi della liberazione di Nelson Mandela che se al mondo c’è qualcuno rischia il genocidio, beh, sono proprio gli afrikaner. Ragione per cui una misura accessoria annunciata dalla Casa bianca concede loro diritto d’asilo agevolato.
Benché quest’ultima premura umanitaria su base etnica rappresenti un’eventualità prossima alla fantascienza, l’idea è stata presa sul serio, con un misto di stupore e preoccupazione, dagli stessi afrikaner. «Non vogliamo trasferirci altrove – ha tagliato corto Kallie Kriel, direttrice di AfriForum, associazione tra le più rappresentative della comunità – e non chiederemo ai nostri figli di spostarsi in un altro Paese». La posizione di rendita conservata in Sudafrica non è paragonabile a
Leggi tutto: Sudafrica, la firma di Trump sulla vendetta di Bibi e Musk - di Marco Boccitto
Commenta (0 Commenti)L’Unione europea e l’Onu rispondono alle sanzioni Usa contro la Corte penale internazionale. Settantanove paesi firmatari dello statuto di Roma si schierano in difesa dell’organo di giustizia che ha sede all’Aja. Tutti i più grandi, tranne uno: l’Italia del governo più trumpiano che c’è
L'Aja che tira No alle sanzioni americane, settantanove governi che aderiscono alla Corte penale internazionale sottoscrivono la dichiarazione
Il presidente degli Stati uniti Donald Trump – foto Ap
Il governo più trumpiano d’Europa e forse di tutto l’occidente si vede nei fatti. Mentre i vertici Ue condannano l’ordine esecutivo del presidente Trump, 79 paesi aderenti alla Corte penale internazionale (Cpi) firmano congiuntamente una lettera per criticare le sanzioni Usa contro il tribunale con sede all’Aja. Ma l’Italia manca all’appello, schierandosi con la Casa Bianca anziché con la maggioranza dei paesi occidentali e democratici.
LA LETTERA dei 79 definisce la Corte «un pilastro vitale del sistema giudiziario internazionale, che garantisce la responsabilità per i crimini più gravi e la giustizia per chi ne è vittima». Le misure imposte da Washington giovedì si concretizzano in sanzioni contro la Cpi, motivate da quelle che Trump definisce «azioni illegittime e infondate contro l’America e il suo stretto alleato Israele». Ma l’azione ostile verso l’Aja, argomentano i firmatari della missiva, potrebbe ad «aumentare il rischio d’impunità per i crimini più gravi», oltre che «minacciare lo Stato di diritto» mondiale. E come conseguenza, a «mettere a repentaglio la riservatezza di informazioni sensibili e delle persone coinvolte». Inclusi vittime, testimoni e gli stessi funzionari dell’Aja.
«Il nostro lavoro è indipendente e imparziale», si è difesa la Cpi, con inedito comunicato di condanna contro l’iniziativa del politico più potente del mondo. «È l’ultimo di una serie di attacchi senza precedenti» ha risposto senza mezzi termini la presidente del tribunale, la giapponese Tomoko Akane. «Minacce e misure coercitive costituiscono gravi offensive contro gli Stati parte della Corte, l’ordine internazionale basato sullo stato di diritto e milioni di vittime», ha poi spiegato.
L’ASSENZA del governo italiano tra i firmatari della lettera congiunta a sostegno della Cpi è particolarmente visibile. A fare scudo al tribunale istituito con il Trattato di Roma nel 1998 ci sono, oltre a Canada, Brasile e Congo, tutti i principali paesi Ue: sia i fondatori come Germania, Francia e Benelux, che i grandi stati occidentali come gli iberici, gli scandinavi e la Polonia, ma anche il Regno Unito. Non figura invece
Commenta (0 Commenti)C’è voluta Whatsapp per avvertire giornalisti e attivisti italiani che i loro cellulari sono spiati da un potente software. E la società israeliana che lo produce ha rotto il contratto con l’Italia perché lo ha usato contro le regole. Ma il governo non risponde e nei servizi regna il caos
Cimici e bari Dopo la nota della presidenza del Consiglio, Paragon interrompe i contratti con i clienti italiani: un corpo di polizia e l’intelligence. Con l’intercettazione di giornalisti e attivisti violate le condizioni della licenza della società israeliana
La Paragon Solutions ha interrotto i rapporti con i suoi clienti italiani. È la società madre dello spyware Graphite usato per intercettare i cellulari di almeno 90 persone, tra cui sette utenze con il prefisso internazionale +39. Tra loro il direttore di Fanpage Francesco Cancellato, il capomissione di Mediterranea Luca Casarini, altri due attivisti della ong. Tra le identità rese pubbliche finora c’è anche quella del giornalista libico, esule in Svezia, Husam El Gomati.
LA DECISIONE di «terminare il contratto con l’Italia» è stata rivelata ieri mattina da uno scoop del Guardian. Solo poche ore prima palazzo Chigi aveva fatto circolare una nota in cui negava che «l’intelligence e quindi il governo» avevano messo sotto controllo dei giornalisti. Il problema di questa versione è che Paragon presta i suoi servizi soltanto a entità statali o meglio: «A un gruppo selezionato di democrazie globali, principalmente agli Stati uniti e ai suoi alleati», ha dichiarato il presidente esecutivo della società John Fleming. E infatti il quotidiano israeliano Haaretz scrive che i clienti italiani di Paragon sono «due diversi corpi, un’agenzia di polizia e un’organizzazione di intelligence».
Già alla fine della scorsa settimana, quando lo scandalo è venuto fuori, ai due acquirenti erano state chieste maggiori informazioni sull’uso dello spyware. La decisione di disconnetterli da Graphite è arrivata, secondo fonti di Haaretz, proprio dopo la nota della presidenza del Consiglio che ha anche elencato altri 13 paesi Ue coinvolti. Rivelando ulteriori clienti della società sulla base delle informazioni acquisite dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, attivata su richiesta del sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano.
Il governo italiano rifiuta di fornire nuove informazioni sul caso, sostenendo che lo farà soltanto in sede Copasir mentre le opposizioni chiedono che riferisca in parlamento. Neanche Paragon ha dichiarato ufficialmente perché ha bloccato la collaborazione. La spiegazione più accreditata è che per la società il governo ha mentito. Nelle condizioni della licenza è prevista la possibilità di «terminare l’accordo con l’utente» in caso di abusi o violazioni.
TRA I FONDATORI DI PARAGON ci sono l’ex premier di Tel Aviv Ehud Barak, che non ha voluto commentare la vicenda, e alti ufficiali dell’Unità 8200, componente dell’esercito dello Stato ebraico specializzata in spionaggio e cyberattacchi. Sul sito della società, una pagina senza link, la dicitura estesa è Paragon Solutions Us. Alla fine dello scorso anno è stata acquistata, ma non è chiaro se in parte o in toto, da una società di private equity statunitense. Mossa utile a garantirsi il mercato a stelle e strisce, dopo aver superato una revisione del contratto di vendita ordinata dalla Casa Bianca di Joe Biden per ragioni di sicurezza nazionale.
Questione in ballo anche sul versante italiano, dove già in passato sono emersi problemi sull’appalto a società israeliane dei sistemi di controllo digitale. La vicenda di questi giorni, però, apre interrogativi di altra natura. Se fosse vero che il governo non ha dato indicazione di spiare dei giornalisti significherebbe che la decisione di intercettare Cancellato è stata presa in sede parallela, da apparati su cui l’esecutivo non ha il controllo. La nota di palazzo Chigi, poi, nulla dice sugli attivisti coinvolti. Chi ha ordinato di controllare i loro telefoni? Teoricamente non si possono escludere
Leggi tutto: Lo spyware usato solo dai governi. Il bluff di palazzo Chigi - di Giansandro Merli
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