Alle 12:32 di ieri la penisola Iberica si è spenta. Un enorme blackout ha troncato tutte le comunicazioni, i trasporti, i pagamenti in Spagna e Portogallo. Migliaia le persone in trappola. Buio anche sulle cause, Sánchez: non escludiamo nulla
Spagna Buio sulla penisola iberica: trasporti, strade, aeroporti e telecomunicazioni collassano
La stazione ferroviaria di Sants a Barcellona è stata evacuata a causa di un'interruzione di corrente diffusa che ha colpito Spagna e Portogallo – Getty Images
Erano le 12.32 quando d’improvviso in tutta la penisola iberica è andata via la luce. Blackout generale, come in Italia nel 2003 quando un albero portò il buio che durò quasi 24 ore. Si tratta di un apagón senza precedenti in Spagna, «eccezionale e totalmente straordinario», come ha dichiarato il presidente di Red Eléctrica Española, Eduardo Prieto, quasi due ore dopo. Si salvano solo le isole Baleari e le Canarie, oltre che Ceuta e Melilla (che sono in Africa), tutte regioni non collegate direttamente alla rete elettrica della penisola. Colpiti anche il Portogallo e per qualche ora alcune zone del sud della Francia.
UNO STOP che ha causato il collasso di tutti i sistemi di telecomunicazione e di tutte le infrastrutture, compresi i sistemi di trasporto. Fermi treni in tutto il paese, metropolitane, semafori, con vigili intenti a governare il traffico impazzito nelle principali città; negli ospedali, operazioni non urgenti posticipate (ma i gruppi elettrogeni hanno funzionato correttamente in tutto il paese), caos in stazioni e aeroporti, con il 20% dei voli in meno per ordine del governo (ma gli aerei hanno continuato a volare, mentre i treni erano tutti bloccati), gente intrappolata in vagoni di treni e metro, in ascensori o nei garage, linee telefoniche mute, Whatsapp intermittente per molte ore, Pos dei negozi inutilizzabili. Supermercati presi d’assalto, benzinai chiusi. Bazar pieni di persone che cercavano disperatamente radio, pile e candele. Solo chi aveva istallato placche solari autonome sul tetto non ha perso l’elettricità. La fragilità e la vulnerabilità del paese di fronte a questo tipo di incidenti sono palesi.
Il presidente del governo Pedro Sánchez è comparso alle 18 per una breve comunicazione, una immagine ormai diventata tristemente abituale, date tutte le catastrofi che ha dovuto gestire l’esecutivo socialista: eruzioni vulcaniche alla Palma, la pandemia, la terribile dana (tempesta) a València.
DAVANTI AI MICROFONI ha spiegato che per il momento la priorità del governo era quella di rimettere in sesto il sistema e restituire la luce alle case dei cittadini. A cui ha chiesto di limitare al massimo gli spostamenti, usare i telefoni solo per chiamate brevi, chiamare i numeri di emergenza solo per casi di effettiva emergenza e di fidarsi solo delle informazioni ufficiali, dato che come accade in questi casi, il numero di bufale senza senso che hanno subito iniziato a circolare era elevatissimo. «Non abbiamo informazioni definitive sulle cause», ha spiegato, aggiungendo che il governo non scarta nessuna ipotesi. Il fatto che l’esecutivo abbia fatto sapere di essere in contatto con «la Nato e le istituzioni europee» e che all’ora di chiusura del giornale non era stata ancora resa nota alcuna spiegazione per questo incidente straordinario fa comunque sospettare che una delle ipotesi in campo possa essere quella di un qualche tipo di ciberattacco. Anche se la commissaria europea per la Concorrenza, la spagnola Teresa Ribera, ha chiarito da Bruxelles che «non c’è nulla che ci permetta di affermare che si tratta di un boicottaggio o di un ciberattacco».
L’UNICA SPIEGAZIONE fornita dai tecnici è che c’è stata una «forte oscillazione nei flussi di potenza della rete» nel sistema elettrico europeo che ha causato l’interruzione generalizzata della distribuzione nella penisola iberica e nel sud della Francia, ma senza per
Commenta (0 Commenti)Dall’altare si ricorda Francesco, ma sul trono in Vaticano c’è solo Trump. Che detta i tempi della diplomazia e richiama a sé Zelensky. Fanno capolino anche Macron e Starmer, non Meloni. Esclusa in casa, la premier si rifugia in una professione di fede: per l’Ucraina sia fatta la volontà di Donald
Addio a Francesco Al funerale del Papa colloquio tra i due leader. Kiev: potrebbe essere storico. Macron e Starmer: Putin dimostri di volere la pace
L'incontro tra Trump, Zelensky, Macron e Starmer a San Pietro a margine dei funerali di papa Francesco – presidenza ucraina via Ansa
«Scambiatevi un segno di pace». Stavolta forse è successo davvero, al funerale di Francesco. Un pontefice che ha sempre applicato una teologia dei gesti concreti, e dunque non gli sarebbe dispiaciuto che il suo ultimo appuntamento terreno si trasformasse in una sorta di summit mondiale, quasi una assemblea dell’Onu, con Zelensky e Trump che parlano un quarto d’ora in San Pietro prima dell’inizio della messa, seduti sulle seggioline rosse destinate agli ospiti d’onore (procurate last minute da monsignor Leonardo Sapienza), la prima volta dopo quell’incontro alla Casa Bianca a febbraio che era finito malissimo. ù
L’ucraino con una giacca nera, senza la mimetica d’ordinanza: la sua presenza era stata in forse fino all’ultimo, anche per il gelo con il presidente Usa. Per lui viene riservato un posto in prima fila.
NEI GIORNI DOPO la morte di Francesco molti alti prelati avevano auspicato che i potenti del mondo si decidessero ad ascoltare i suoi appelli alla pace, che non venissero fino a Roma per sbrigare una formalità diplomatica, che anche i «più duri» venissero colti da una qualche «forma di rimorso», come aveva detto monsignor Vincenzo Paglia al manifesto.
Difficile pensare che Trump, come l’Innominato del Manzoni, sia stato folgorato sul sagrato di San Pietro, abituato com’è a usare la religione come strumento reazionario. E tuttavia ieri tra quelle centinaia di potenti vestiti di scuro, che sedevano assiepati a lato della bara del Papa, di fronte all’immensa macchia rossa dei cardinali, qualche gesto di pace c’è stato.
«Un incontro altamente simbolico che potrebbe diventare storico se si raggiungessero i risultati congiunti», ha detto il presidente ucraino. «Molto produttivo», fa sapere la Casa Bianca. «Disponibile a negoziare senza precondizioni», comunica il grande assente, Vladimir Putin, che ha inviato a Roma la ministra Olga Lyubimova.
CON ZELENSKY E TRUMP a un certo punto sono arrivati anche il francese Macron (subito allontanato da Donald) e il britannico Starmer. Serve una «onesta trattativa», aveva esortato nell’omelia il cardinale celebrante Giovanni Battista Re riferendosi ai ripetuti appelli di Francesco a fermare le armi e parlarsi anche tra nemici o ex alleati. A ora di pranzo fonti ucraine ipotizzano un secondo tempo del vertice con Trump dopo i funerali. Ma non accade. Il presidente Usa riparte subito per Washington. «Tutte le cose principali sono state affrontate», fanno sapere da Kiev. Trump posta su Truth la foto dell’incontro in chiesa, segnale incoraggiante.
TRA VON DER LEYEN e il leader Usa c’è stata solo una stretta di mano, ma avrebbero deciso di
Leggi tutto: Trump-Zelensky, segno di pace a San Pietro - di Andrea Carugati
Commenta (0 Commenti)Nessuno si è moderato e non c’è stata alcuna tensione: il 25 aprile è stato una grande festa. A Milano, a Roma e in tante altre città, l’invito del governo a non fare troppo rumore con la scusa del lutto per il papa ha funzionato al rovescio. Mattarella: è sempre tempo di Resistenza
Mai stati sobri «Guardiamoci in faccia», da strade diverse nella stessa direzione. La Liberazione unisce le lotte, dalla Palestina alla giustizia sociale. Un serpentone di partiti, sindacali e collettivi E anche il centrosinistra si ricompatta in piazza
La manifestazione per la Festa della Liberazione davanti al Duomo di Milano – Andrea Sabbadini
«Sono qui perché abbiamo bisogno di guardarci in faccia. Siamo tanti e a volte lo dimentichiamo. Oggi andiamo nella stessa direzione, da mille strade diverse». A metà pomeriggio, con mezzo corteo ancora fermo sotto il sole per la folla sobrietà-free che attraversa Milano, un papà con la figlia sulle spalle ci regala la migliore descrizione di questo 25 aprile. Cittadinanza per tutt*, c’è scritto sul cartoncino che stringe in mano.
Intorno c’è piazza San Babila, l’incrocio che i palestinesi hanno scelto per il loro comizio finale, a rivendicare la loro di cittadinanza. Che per il secondo anno di fila è globale.
LE BANDIERE della Palestina sono il filo rosso di una marcia che conta 100mila persone. Le kefieh al collo pure. Testa del corteo o no. «È stato un gravissimo errore non dare il palco a una voce palestinese perché in Palestina si è raggiunto il punto più basso, a livello mondiale».
Marco Sannella è il vicepresidente della sezione Anpi Stadera-Gratosoglio, che ha scelto di mischiarsi allo spezzone palestinese. «Si tratta di superare una coscienza post coloniale che ancora vive dentro di noi. Noi, allora, restiamo qua, vicino a loro. Poco sobri, molto allegri, colorati e determinati».
Si parla anche di guerra. C’è un carro che sul tettuccio ha la riproduzione di un missile spezzato. Il grande striscione davanti, «Fuck rearm», detta le coordinate di un’esigenza comune.
Sul palco di piazza del Duomo, intanto, si cita papa Francesco e tutti applaudono. Anche i Giovani palestinesi, che stazionano in prima fila. «Il 25 aprile non è carnevale – scandisce poi il presidente del’Anpi Gianfranco Pagliarulo -, festeggiamo la fine del fascismo, del nazismo e della guerra. E non vogliamo vedere mai più il fascismo, il nazismo e la guerra».
APPLAUSI. Più di quelli riservati al sindaco Beppe Sala, che ha fatto il suo corteo tra gli stendardi e i gonfaloni istituzionali d’apertura, davanti alla Brigata ebraica – circondata dalla celere e dai giubbotti rossi dei City Angels – e allo spezzone con le bandiere ucraine. Dietro tutti gli altri: i partiti, i sindacati, i collettivi, Emergency, l’Arci, i movimenti, anche il manifesto. Ognuno con le sue parole, ognuno con la sua musica. E la selezione delle canzoni, in fondo, dice
Commenta (0 Commenti)Cortei vietati, concerti silenziati, cerimonie annullate: la raccomandazione del governo, assai interessata, a ridimensionare il 25 aprile fa proseliti nelle amministrazioni, anche di centrosinistra. Ma oggi in tante città, a cominciare da Milano, le piazze antifasciste festeggiano con maggior convinzione e senza alcuna sobrietà la Liberazione che dispiace alla destra
https://ilmanifesto.it/edizioni/il-manifesto/speciale-25-aprile/pdf
25 aprile, ieri e oggi Milano, manifestazione del 25 aprile 2008, anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo – Andrea Pagliarulo
Milano, manifestazione del 25 aprile 2008, anniversario della Liberazione dell'Italia dal nazifascismo – Andrea Pagliarulo
Se la destra che ha sempre considerato il 25 aprile una giornata triste perché «divisiva», se Giorgia Meloni che negli anni ha proposto di spostare la festa nazionale in una serie di date strampalate – tipo la fondazione del Regno d’Italia nel 1861 o l’entrata in guerra nel 1915, non stiamo scherzando -, se Ignazio La Russa che il 25 aprile lo ricorda per l’attacchinaggio dei manifesti a lutto, se tutti gli avanzi del fascismo e del neofascismo italiano oggi approfittano della morte di papa Francesco per imporre una cappa di moderazione, una specie di castigatezza di Stato nella celebrazione e nel racconto della Liberazione, perché dovremmo sorprenderci? E soprattutto, perché dovremmo accontentarli?
Opportunismo, conformismo e il mal inteso omaggio a un papa che cauto non lo è stato mai hanno portato alla cancellazione di diverse feste in giro per l’Italia. La squallida cerimonia minima in un parlamento già vuoto ha imposto il tono, dimesso, che la destra tanto ricercava. Proprio nell’anno in cui, invece, più importante è festeggiare a dovere. Non solo per l’anniversario tondo, ottant’anni, ma per quello che intorno a questo 25 aprile accade.
La destra gioca le sue carte con sempre maggiore spudoratezza, deragliando dal sentiero costituzionale senza alcuno scrupolo.
Felice di poter abbinare la parola «lutto» alla parola «Liberazione» sui suoi giornali e nel Palazzo dopo gli anni in cui potevano solo scriverlo sui muri nottetempo e poi scappare. Ma a noi tocca allora celebrare la Liberazione con il doppio dell’impegno e dell’intenzione. Senza perdere tempo a voler richiamare lo stato maggiore ex missino a una compostezza repubblicana: del resto il fatto stesso che insistano con il considerarla una festa «divisiva» spiega quanto ancora sentano loro le ragioni della parte sconfitta ottant’anni fa, i fascisti.
È questo il senso del continuo richiamo della destra a «tutti i morti» della guerra civile, tutti uguali come se fossero tutti morti per un improvviso cataclisma. Se la pietà ovviamente accomuna ogni vittima, la pietà non esclude il giudizio sulle scelte e il passare del tempo non può mai scolorarlo. C’è bisogno di una resistenza anche all’oblio, al quale evidentemente puntano gli inviti alla calma e alla moderazione di quest’anno. Al contrario, se c’è un lascito attualissimo della Resistenza è proprio l’insegnamento a tirarsi fuori dalle secche del tutto uguale ed essere capaci di scegliere.
Niente più di quello che abbiamo quotidianamente davanti ai nostri occhi dimostra come non ci siano
Leggi tutto: Bisogna saper scegliere - di Andrea Fabozzi
Commenta (0 Commenti)Fino a sette ore di fila per salutare in San Pietro papa Francesco. Mentre si prepara il funerale di sabato, l’omaggio di credenti e non credenti è già diventato una manifestazione di popolo. In piena sintonia con il messaggio di Bergoglio e niente affatto «sobria»
La santa massa Decine di migliaia in Vaticano, le porte restano aperte per la notte. L’omelia di Zuppi: «Francesco ci ha fatto ascoltare il grido dei poveri»
La salma di papa Francesco trasferita a San Pietro per l'ostensione – Ansa
«La morte fa un po’ paura, ma attraversata la porta c’è la festa»: varcato il portico che conduce a piazza San Pietro, quelli della Gioventù ardente mariana provano a farsi coraggio diffondendo un messaggio estrapolato da una delle promesse che il papa aveva rivolto al suo popolo. La prospettiva di Francesco, espressa con linguaggio popolare più che da speculazione teologica, strappa un timido sorriso. Appena oltre le transenne dalle quali comincia il serpentone che si infila nella basilica ci si accorge che la sobrietà, tanto invocata in questi giorni di piazze diverse e contemporanee, non è la condizione di questo popolo che spesso ricerca anche la profondità tutt’altro che moderata del messaggio di Bergoglio.
ATTORNO ALLA GENTE in attesa, si vanno disponendo le attrezzature per il grande evento del funerale di sabato. Sono comparsi i maxischermi, i carabinieri a cavallo presidiano l’afflusso, gli spazi per la stampa si sono moltiplicati assieme ai varchi con metal detector. Guardandosi attorno si riconosce uno dei fenomeni di questi giorni di mobilitazione ecclesiastica generale, segno dei tempi: preti che spediscono ai fedeli delle parrocchie via social la loro corrispondenza video. Così i follower che li seguono da casa possono osservare proprio lui, il loro parroco, al centro della cristianità e nel mezzo della fase calda.
VERSO LE 19 la sala stampa fa sapere che si sono contati già ventimila passaggi davanti al corpo del papa. Fuori, il paesaggio è inevitabilmente in bilico, tra ordine e caos: le file disciplinate di chi attende e lo sciame confuso della gente che si aggira tra il colonnato Vaticano e Castel Sant’Angelo. Si stimano dalle quattro alle sette ore per fare un passaggio davanti alla salma. Nel pomeriggio viene celebrata una messa in suffragio del papa. C’è il cardinale, considerato tra i papabili, Matteo Zuppi. Descrive lo scenario in cui era arrivato Bergoglio, parla di un «popolo immerso in una casa comune segnata da tante divisioni, incapace di pensarsi insieme, di ascoltare il grido dei poveri, che costruisce altre lance e distrugge le falci e dove, pericolosamente, ci si lascia persuadere dalla logica della forza e non da quella del dialogo, dal pensarsi senza o sopra gli altri e non dal faticoso ma indispensabile pensarsi insieme».
INVECE, PROSEGUE il presidente della Conferenza episcopale italiana, «ringraziamo per
Leggi tutto: Folla a San Pietro, stazione intermedia del lungo addio - di Giuliano Santoro ROMA
Commenta (0 Commenti)Festa della Liberazione Musumeci chiede «sobrietà» ma il tentativo non riesce: cortei confermati da Roma a Milano
Manifestazione in occasione delle celebrazioni del 25 aprile 79.mo anniversario della Liberazione svoltasi a Roma nel 2024 – LaPresse
La festa per la Liberazione è sempre fonte di imbarazzo per il governo Meloni. E dire che quest’anno lo staff della premier si era mosso per tempo per trovare un escamotage che liberasse Giorgia Meloni dall’obbligo istituzionale di celebrare il 25 aprile. L’agenda della presidente del Consiglio la vedeva in partenza per Samarcanda. «Viaggi di stato inderogabili», avevano commentato da Palazzo Chigi quando si faceva notare la fortunata, per Meloni, coincidenza. L’improvvisa morte di Bergoglio ha costretto la premier a posticipare la partenza, ma i suoi consiglieri possono lo stesso gongolare. Raro trovare migliore ribalta che i funerali di un papa con i capi di stato stranieri, inclusi il presidente degli Stati Uniti Trump e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Ancora più rara l’opportunità di oscurare la Liberazione dal Nazifascismo.
IERI IL CONSIGLIO dei ministri si è riunito per avviare la macchina organizzativa: ha deliberato cinque giorni di lutto di stato. Un afflato notevole, sembra di Meloni in persona, se si considera che per i precedenti tre pontefici erano stati solo tre. In mezzo, fatalità, c’è l’80esimo anniversario della Resistenza. E i ministri, sebbene coinvolti dal lutto, lo hanno avuto ben presente. Tant’è che alla fine del cdm il ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci ha sottolineato che, sebbene siano state sospese le partite di calcio (ma non i concerti, Jovanotti si esibirà a Roma proprio in questi giorni), le cerimonie per il 25 aprile saranno «consentite, tenuto conto del contesto e quindi con la sobrietà che la circostanza impone». Il lutto di stato finora imponeva bandiere dei palazzi pubblici a mezz’asta e una riduzione degli eventi ufficiali del governo, non il divieto di commemorare una data fondativa della democrazia. Ma in ogni caso Palazzo Chigi ieri ha nominato il capo della Protezione civile, Fabio Ciciliano, commissario ai funerali papali e al conclave. Ciciliano potrà «operare in deroga ad atti di indirizzo che disciplinano l’organizzazione di manifestazioni pubbliche ad alto impatto».
L’INVITO ALLA SOBRIETÀ ha fatto saltare dalla sedia le associazioni antifasciste e i partiti di centrosinistra. «È più forte di loro, anche stavolta – ha accusato Nicola Fratoianni di Avs – un’allergia alla liberazione dal fascismo e dal nazismo traspare da chi in questo momento occupa Palazzo Chigi». Angelo Bonelli di EuropaVerde ha ricordato a Musumeci che il 25 aprile «non è una festa in discoteca o un happy hour». Anche Giovanni Barbera, di Prc ha attaccato: «Non accetteremo mai che chi non ha mai fatto i conti con il proprio passato provi a mettere il bavaglio alla memoria collettiva: il 25 aprile non si autorizza, si celebra». «Forse Musumeci è abituato alla sobrietà di Salvini, che fino a ieri indossava magliette anti Bergoglio, nostalgiche di Ratzinger, con scritto “Il mio Papa è Benedetto”», ha affermato il segretario di PiùEuropa, Riccardo Magi. E l’Aned (Associazione nazionale ex deportati), si è detta sconcertata: «È una cosa sfacciata, surreale, un modo assurdo di strumentalizzare un lutto vero che condividiamo».
L’ANPI, che ieri festeggiava anche l’aumento degli iscritti rispetto allo scorso anno e la buona salute dell’associazione, ha confermato gli appuntamenti previsti in tutta Italia, pur nel cordoglio per il pontefice, la cui morte è stata «una gravissima perdita per gli antifascisti che hanno condiviso le sue parole di pace e di fratellanza su scala universale».
DUNQUE IL PRESIDENTE della Repubblica, Sergio Mattarella, sarà come previsto a Genova per celebrazioni ufficiali (in forse la presenza del
Leggi tutto: Il governo usa il lutto di Stato per oscurare la Liberazione - di Luciana Cimino
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