Doccia fredda per il cancelliere Friedrich Merz. Al primo voto il parlamento tedesco lo boccia. Serve un secondo scrutinio per averla vinta sui franchi tiratori. Non era mai successo dal 1949. La piccola “grande coalizione” di popolari e socialdemocratici mostra tutte le sue debolezze. Crollano la borsa e il mito della stabilità. Comincia un mandato all’insegna dell’incertezza
Germania La prima votazione al Bundestag boccia il leader della Cdu. Mai successo in Germania, scatta la caccia ai 18 franchi tiratori
L’esultanza dai banchi della Cdu dopo il secondo voto – foto Ap
Doveva essere poco più di una pura formalità, come è sempre accaduto nella storia della Bundesrepublik, invece l’elezione di Friedrich Merz a cancelliere si è trasformata in un imbarazzante thriller istituzionale capace di tenere con il fiato sospeso l’intera Europa.
Dalla prima inattesa, incredibile, fumata nera al Bundestag indicante la bocciatura del leader della Cdu nel corso del primo scrutinio, fino all’applauso liberatorio dei deputati per il “lieto fine” che comunque non risolve l’enorme problema di fondo: il nuovo cancelliere politicamente è semi-nudo, senza la solida copertura politica necessaria per affrontare la dura stagione di incertezza che si profila sia sul fronte interno che oltre il confine.
NON È STATA SOLO e appena un brivido lungo la schiena la singolare elezione di Merz. Il messaggio lanciato ieri è devastante per Berlino quanto per Bruxelles: la Germania è un gigante con i piedi di argilla.
La controprova è arrivata puntuale dalla Borsa di Francoforte, ieri mattina investita in pieno con i principali titoli in picchiata a causa dell’instabilità del paese non più granitico per definizione. Un danno di immagine quasi irreparabile, anche se alla fine il cancelliere è stato eletto alla seconda votazione e perciò da questa mattina risulta nel pieno dei propri poteri.
CON 325 SÌ, 289 NO e 1 astenuto (sul totale di 618 votanti), Merz succede ufficialmente a Olaf Scholz a capo del governo federale, dopo aver promesso fedeltà alla Costituzione, al cospetto del presidente della Repubblica, Frank Walter Steinmeier, nel Castello di Bellevue. Ma ha ballato per tutta la mattinata contrassegnata dal tiro dei franchi-tiratori. Ancora una volta, proprio come durante il voto sul pacchetto-migranti supportato da Afd e dal Bsw, al leader della Cdu mancano i voti che sulla carta in teoria ci sarebbero tutti.
A TIRARSI INDIETRO nel segreto dell’urna sono ben 18 deputati della coalizione con il risultato che al momento dello spoglio alla maggioranza del Bundestag mancano 6 voti per far passare Merz. Lo choc è generale, dalla moglie e i figli del cancelliere-in pectore in prima fila nella tribuna del Parlamento, ai capi di stato e autorità internazionali sconcertati per la situazione intraducibile non solo per loro.
Serve la riunione straordinaria dei capigruppo per sbloccare la situazione poco chiara pure agli esperti e navigati commessi del Bundestag. Per procedere con il secondo scrutinio nella medesima seduta parlamentare è necessario modificare d’urgenza il regolamento dell’Aula, tuttavia i soli voti di Spd e Cdu-Csu non bastano. Serve l’appoggio di Verdi e soprattutto della Linke con cui Merz ha giurato che non farà mai alleanze neppure temporanee.
ALLA FINE SOLAMENTE grazie al via libera dei due pariti dell’opposizione di matrice antifascista
Commenta (0 Commenti)Tel Aviv vara il piano di conquista totale della striscia: Gaza apparterrà solo a Israele e al suo popolo. Palestinesi da rinchiudere in un fazzoletto di terra, a sud. La destra oltranzista scavalca anche i dubbi dei militari. Il genocidio è sotto gli occhi del mondo, senza filtri
Palestina Il governo Netanyahu ha approvato l’espansione dell’offensiva volta al controllo totale della Striscia. Contro il voto del gabinetto protestano le famiglie degli ostaggi: vogliono un accordo con Hamas
Gaza. Soldati israeliani prendono posizione – AP/Leo Correa
L’attacco, devastante, condotto da Israele assieme agli Stati uniti contro lo Yemen è scattato ieri dopo il tramonto, mentre l’attenzione era concentrata sul piano approvato domenica sera dal gabinetto di sicurezza israeliano per la rioccupazione della Striscia di Gaza. I primi a colpire, in rappresaglia per il lancio da parte dei guerriglieri Houthi del missile balistico che domenica ha raggiunto il perimetro dell’aeroporto di Tel Aviv, sono stati i cacciabombardieri statunitensi decollati dalle portaerei e dalle basi Usa attorno allo Yemen, che hanno preso di mira Sanaa. Poi è intervenuta l’aviazione israeliana contro la città portuale di Hodeidah, già bersaglio in passato di attacchi violenti. I raid sono proseguiti per ore, e non è escluso che continuino anche nei prossimi giorni. La ritorsione israeliana potrebbe estendersi all’Iran, che il premier Netanyahu considera lo sponsor principale del movimento sciita Houthi, tornato a lanciare missili e droni verso Tel Aviv da quando Israele ha rotto, il 18 marzo, la tregua a Gaza.
C’è chi ieri scriveva che la decisione di Benyamin Netanyahu di espandere l’offensiva israeliana e di (ri)conquistare Gaza – con l’Operazione «Carri di Gedeone» – sarebbe stata dettata dalla necessità del primo ministro di rinviare, ancora una volta, la convocazione dell’inchiesta ufficiale sulle responsabilità sue e del governo nel fallimento della sicurezza israeliana il 7 ottobre 2023. Può darsi che anche questo abbia giocato un ruolo, ma l’approvazione, da parte del gabinetto di sicurezza, del nuovo piano di attacco per la rioccupazione della Striscia è soprattutto il risultato di convinzioni ideologiche e dell’idea dalla guerra ad oltranza che Netanyahu ha dichiarato ad Hamas, a tutti i palestinesi e a mezzo Medio oriente. Ha prevalso quella che alcuni chiamano la «dottrina Smotrich» che considera legittime la parola «occupazione» e tutte le politiche che Israele attua nel suo interesse, senza curarsi del diritto internazionale.
Smotrich, ministro delle Finanze e leader dell’ultradestra, nei giorni scorsi aveva fatto clamore affermando che la liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza (59 di cui 24 vivi) rappresenta un obiettivo secondario rispetto alla distruzione di Hamas e alla trasformazione radicale della Striscia. La reazione delle famiglie degli ostaggi e dei loro sostenitori è stata immediata: alla Knesset e nelle strade di Gerusalemme, centinaia di persone hanno contestato Netanyahu e chiesto un accordo con Hamas per riportare a casa i loro cari, vivi e morti, a casa. A nulla è servito l’avvertimento giunto dallo stesso capo di stato maggiore Eyal Zamir sui rischi molto elevati che corrono gli ostaggi con l’avvio della potente e distruttiva azione militare approvata dal gabinetto di sicurezza.
Gioiscono, invece, i coloni del gruppo Nachala, sostenitori della guerra ad oltranza come Netanyahu e Smotrich, che da un anno e mezzo invocano la ricostruzione a Gaza degli insediamenti coloniali israeliani evacuati quasi vent’anni fa con il Piano di ridispiegamento. La loro leader, Daniela Weiss, mesi fa, commentando la contrarietà – almeno di facciata – di Netanyahu alla ricostruzione delle colonie a Gaza, azzardò una previsione: «Tra un anno, ciò che oggi ci viene negato diventerà possibile». Una profezia che è vicina a
Leggi tutto: Il piano di Israele per Gaza: rioccupare ed espellere - di Michele Giorgio
Commenta (0 Commenti)Trump irrompe sul conclave postando una sua immagine vestito da papa. La Casa bianca fa il tifo per il tradizionalista Dolan e prova a condizionare le votazioni. Mentre i cardinali, disorientati e divisi, chiedono più tempo per scegliere il successore di Bergoglio
Stati Uniti L’immagine di Trump-pontefice si somma all’iconografia religiosa del presidente, alleato della reazione nella chiesa
Il cardinale Dolan con Donald e Melania Trump a un evento di beneficenza a New York – Getty Images
L’immagine del papa-re di Mar a Lago, Trump con mitra ed talare da pontefice, va ad aggiungersi all’iconografia autoprodotta di selfie presidenziali, le immagini virali che lo raffigurano come imperatore romano, apostolo di Cristo, culturista o supereroe, una galleria in cui il grottesco si sovrappone alla constatazione della pseudo religione che soffonde il culto di Trump. L’immagine era stata preceduta di qualche giorno da una risposta estemporanea sulle preferenze per il conclave.
Trump si era autonominato ma aveva aggiunto «devo dire però che abbiamo un ottimo cardinale di New York» riferendosi all’arcivescovo tradizionalista Timothy Dolan.
LA PUBBLICAZIONE dell’immagine è poi coincisa con un’ennesima cerimonia di preghiera, imposizione delle mani, inni religiosi e almeno un uomo letteralmente prostrato dinnanzi al benevolo sovrano. I riti abituali dell’immaginario integralista soprattutto evangelico che è componente fondamentale della colazione Maga.
«Dio ha installato questa amministrazione», ha affermato Trump, decretando decaduta la separazione costituzionale fa stato e chiesa e approfittando per annunciare una nuova Commissione per la libertà di religione (in aggiunta alla precedente commissione contro la «persecuzione dei cristiani»). Fra i designati difensori della fede vi è lo stesso cardinale Dolan sostenuto da Trump per il trono di Pietro.
E nella galassia integralista i cattolici tradizionalisti americani occupano un posto chiave da quando negli anni ‘30 Charles Coughlin, sacerdote conservatore ed antisemita, inventò quello che sarebbe divenuto un canale privilegiato della comunicazione di destra, con le geremiadi anti Roosevelt trasmesse per radio.
LA CONFERENZA dei vescovi americani, di cui fa parte Dolan, esprime oggi alcune delle posizioni più reazionarie all’interno della chiesa e ha costituto un principale polo di opposizione alle riforme e alla dottrina della chiesa povera di Francesco. Alcuni dei prelati conservatori erano giunti a chiedere
Commenta (0 Commenti)Un attacco di droni nel cuore del Mediterraneo, al largo di Malta. Colpita e quasi affondata la nave della Freedom Flotilla. Voleva portare aiuti umanitari a Gaza, ma il blocco di Israele è impenetrabile. Da due mesi non entra più nulla, nella Striscia lo sterminio è per fame
In fondo al male La nave con a bordo 30 attivisti colpita al largo di Malta. Un C-130 israeliano ha sorvolato per ore la zona. Tel Aviv non commenta
La nave Conscience dopo l’attacco in mare – foto Epa
A mezzanotte e ventitré di ieri, due droni da guerra hanno colpito diverse volte la nave Conscience della Freedom Flotilla, mentre si trovava in acque internazionali. Il primo sparo ha centrato l’esterno dello scafo, che ha cominciato a imbarcare acqua. Gli altri il ponte di prua e la zona dei generatori, lasciando l’equipaggio senza energia. La radio ha smesso di funzionare e le comunicazioni sono diventate complicate e discontinue. Si è subito sviluppato un incendio e sono giunte sul posto una nave di Cipro del Sud e una maltese. Thiago Avila, della ong, ha dichiarato che la Flotilla ha inviato due barche in supporto ma che le navi maltesi non hanno permesso loro di avvicinarsi. In serata, gli attivisti hanno comunicato di temere un nuovo attacco e che la nave resta gravemente danneggiata. Ma la Guardia costiera maltese blocca lo scafo, impedendogli di giungere in un porto sicuro.
AL MOMENTO dell’attacco la Conscience ospitava trenta operatori umanitari provenienti da Turchia e Azerbaijan, cibo e medicine. Una nave disarmata, ferma a tredici miglia a nord-est di Malta nell’attesa di ricevere il permesso di attraccare al porto per far salire a bordo altri volontari e ulteriori beni essenziali. La Freedom Flotilla Coalition, che dal 2008 organizza azioni con lo scopo di rompere l’assedio israeliano e raggiungere le coste di Gaza, aveva scelto di mantenere il riserbo sulla missione della Conscience. Per evitare di essere bloccata, come già diverse volte è accaduto.
A MALTA si sarebbero dovuti imbarcare decine di altri volontari, tra cui l’attivista Greta Thunberg, che avrebbe proseguito verso Gaza insieme agli altri. In attesa a La Valletta anche due italiani, Simone Zambrin e Chiara Di Silvestro. Ma i meccanismi di boicottaggio godono di sistemi di supporto internazionale che usano la burocrazia come un’arma affilata. «Tutte le missioni hanno registrato ritardi causati dalle autorità marittime – ci ha detto Michele Borgia, che si occupa in Italia della comunicazione per l’ong – Spesso le imbarcazioni vengono controllate e ricontrollate per giorni».
Gli attivisti puntano il dito contro Israele e i suoi partner. Chi poteva avere interesse a mettere fuori uso con le armi una nave umanitaria diretta a Gaza? Non ci sono prove certe ma un C-130 Hercules dell’aeronautica israeliana è partito da Tel Aviv giovedì pomeriggio e ha sorvolato, a bassa quota e per diverse ore, l’area in cui si trovava la Conscience. Secondo i dati di volo disponibili online sui siti di tracciamento e condivisi dalla Cnn, l’aereo è ritornato in Israele sette ore dopo il decollo, quando l’attacco era già stato compiuto. Tel Aviv si è rifiutata di commentare.
QUINDICI ANNI FA, a maggio del 2010 Israele attaccò la Mavi Marmara, una delle sei navi della Freedom Flotilla che tentavano di forzare il blocco navale di Gaza. I militari uccisero nove attivisti turchi. Il presidente Erdogan, tra i primi a denunciare l’attacco di ieri, ha dichiarato la sua solidarietà al gruppo internazionale. Eppure, è stata proprio la Turchia a bloccare per mesi la nave al porto di Istanbul, lasciando che il cibo si deteriorasse e che parte degli aiuti diventasse inservibile. Anche per questo motivo l’imbarcazione doveva attraccare a Malta, dove la attendeva un’agenzia incaricata al trasbordo del nuovo carico umanitario. Agenzia che ha inaspettatamente dichiarato di non intendere far fede al suo impegno e Malta non ha rilasciato il permesso di ingresso nelle sue acque territoriali.
Un’attesa di 48 ore che ha svelato il suo significato quando è giunta alla nave la temuta e familiare notizia. L’attesa in acque internazionali serviva a dar tempo alle pressioni di governi e paesi perché venisse ritirata la bandiera dell’imbarcazione. La Conscience batteva bandiera di Palau. L’identica cosa era accaduta lo scorso anno a un’altra missione della Flotilla che con tre navi, 5mila tonnellate di aiuti e centinaia di osservatori internazionali sarebbe dovuta partire da Istanbul. Il governo turco ritardò la consegna dei permessi fino a quando venne comunicato che la Guinea Bissau intendeva ritirare la sua bandiera.
SOLO NEL 2008, la Dignity riuscì a vincere il blocco e a raggiungere le coste di Gaza. Quella volta, insieme a tanti volontari internazionali, sbarcò anche Vittorio Arrigoni.
«Abbiamo valutato i rischi della missione – ha dichiarato al manifesto l’attivista italiano Simone Zambrin – ma abbiamo deciso di provare a fare quello che i nostri governi, complici, non fanno.
Esiste qualcosa di più genuino che portare cibo e medicine a chi ne ha bisogno? È la nostra resistenza non violenta a un atto disumano».
Dopo due mesi di blocco totale, neanche le associazioni internazionali a Gaza hanno gli strumenti per aiutare la popolazione. La risposta umanitaria «è sull’orlo del collasso totale», ha denunciato la Croce rossa. «Senza un’immediata ripresa delle consegne di aiuti, il Comitato Internazionale (Cicr) non avrà access
Leggi tutto: Droni contro la Flotilla che portava cibo a Gaza - di Eliana Riva
Commenta (0 Commenti)Il mestiere di vivere I dati smentiscono la premier. In campo i referendum contro il jobs act e per la cittadinanza. Landini: «Nella lotta il futuro del paese». La Fondazione Di Vittorio: tra il 2022 e il 2024 meno 120mila nuove assunzioni
Manifestazione degli operai metalmeccanici genovesi per chiedere il rinnovo del contratto – Ansa
Oggi ci sono cinque ragioni in più per trasformare un Primo Maggio che tende ad essere presentato come un rituale, per di più luttuoso, in una giornata di lotta contro lo sfruttamento e per una cittadinanza sociale. Sono i cinque quesiti del referendum che si voteranno l’8 e il 9 giugno e possono cambiare la vita di milioni di persone.
SI VOTERÀ per abolire i licenziamenti senza giusta causa creati dal Jobs Act del Pd di Renzi; stabilire risarcimenti più equi per i licenziati senza motivo che lavorano per le piccole aziende con meno di 16 dipendenti; imporre la responsabilità legale alle aziende che indicono un appalto, e non solo a quelle che lavorano in subappalto, in caso di morte o infortunio sul lavoro; riconoscere la cittadinanza a chi lavora e studia in Italia con un requisito minimo di 5 anni di residenza e non più 10.
LA CHIAVE per leggere questa giornata politica, e riattivare la sua carica di opposizione al lavoro capitalistico, è stata data dal segretario della Cgil Maurizio Landini, ed è stata usata anche da molti altri soggetti della sinistra, come la Casa Internazionale delle Donne che ha evidenziato come quelli dei referendum «non sono quesiti astratti e riguardano direttamente le donne: noi che viviamo in condizioni lavorative troppo spesso segnate da precarietà, licenziamenti legati alla maternità, contratti poveri e mancanza di tutela».
UNA RIVOLTA OGGI, potrebbe anche passare da un voto. A questo orizzonte, si direbbe alla Albert Camus più volte richiamato in questi mesi da Landini, rinvia lo slogan scelto dalla Cgil per la campagna referendaria: «Il voto è la nostra rivolta». Il messaggio è stato concepito per mobilitare in vista di un voto politicamente rilevante che sconta l’incertezza per la tagliola del quorum, ma può essere inteso come l’occasione di una mobilitazione trasversale. Dopo avere rilanciato il concetto in un appello pubblicato da Il Manifesto, e da altri quotidiani, ieri alle Industrie Fluviali a Roma Landini lo ha ribadito presentando una ricerca strutturata e informata della Fondazione Di Vittorio: «Precarietà e bassi salari. Rapporto sul lavoro in Italia a dieci anni dal Jobs Act».
LANDINI ha criticato l’annuncio del governo su un nuovo provvedimento-bandiera sulla sicurezza sul lavoro: «Siamo di fronte a veri omicidi e non fatalità. È un modello di fare impresa e mercato che uccide, ed è stato favorito dalla politica e dal parlamento con le leggi – ha detto – Con il governo è un anno e mezzo che chiediamo di modificare le leggi e invece si è andati nella direzione opposta. Se si vuole davvero cambiare la situazione è necessario cambiare le leggi, e non costa nulla. Devono essere responsabili quelli che pensano che le persone possono morire come un prezzo da pagare in nome del profitto e del mercato. Non è il momento delle chiacchiere o degli annunci, ma dei fatti».
LA RICERCA della Fondazione Di Vittorio è utile, in primo luogo, per
Leggi tutto: Sistema precario: l’unico record è di lavoratori poveri - di Roberto Ciccarelli
1 maggio Il Capo dello Stato in visita a un’azienda di Latina: «Tante famiglie non reggono l'aumento del costo della vita. L’Italia si distingue per una dinamica salariale negativa che incide anche sul preoccupante calo demografico, perché i giovani incontrano difficoltà a progettare il futuro». «Intollerabile l’indifferenza per le morti sul lavoro». Le opposizioni: «Parole fondamentali, ora la maggioranza accetti il salario minimo»
«Salari inadeguati sono un grande problema per l’Italia. Tante famiglie non reggono l’aumento del costo della vita». Sergio Mattarella, alla vigilia del 1 maggio, lancia un messaggio forte al mondo della politica e dell’impresa. Lo fa da Latina, dove ha visitato ieri a l’azienda BSP Pharmaceuticals spa, che produce farmaci contro i tumori e le malattie neurodegenerative. Con camice e cuffia in testa, il Capo dello Stato visita i laboratori, insieme ai vertici dell’azienda e ad una delegazione dei circa 1600 dipendenti.
CITA L’ULTIMO Rapporto 2024-2025 dell’Organizzazione internazionale del lavoro, in cui l’Italia «si distingue per una dinamica salariale negativa nel lungo periodo, con salari reali inferiori a quelli del 2008». «Sappiamo tutti come le questioni salariali siano fondamentali per ridurre le disuguaglianze, per un equo godimento dei frutti offerti dall’innovazione, dal progresso», ricorda il presidente. Al contrario, bassi salari «incidono anche sul preoccupante calo demografico, perché i giovani incontrano difficoltà a progettare con solidità il proprio futuro. Resta, inoltre, alto il numero di giovani, con preparazione anche di alta qualificazione, spinti all’emigrazione. Questi fenomeni impoveriscono il nostro “capitale umano”».
NON È LA PRIMA VOLTA che Mattarella mette l’accento sul tema dei bassi salari: lo aveva fatto anche nell’ultimo discorso di Capodanno. Il monito di ieri è stato particolarmente forte. Anche su un altro dei problemi che non si stanca di segnalare. «Quella delle morti del lavoro è una piaga che non accenna ad arrestarsi e che ha già mietuto, in questi primi mesi, centinaia di vite, con altrettante famiglie consegnate alla disperazione». «Non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione». «È evidente che l’impegno per la sicurezza nel lavoro richiede di essere rafforzato». dice. «Riguarda le istituzioni, lo ha annunziato la presidente del Consiglio», ma anche le imprese e i lavoratori. «Ringrazio Cgil, Cisl e Uil per aver scelto la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro come tema di un Primo maggio unitario».
MATTARELLA RICORDA ANCHE le condizioni dei lavoratori immigrati. «A sopperire al calo demografico non bastano le migrazioni dall’estero, tanto che permane la circostanza che un lavoratore su due tra quelli cercati dalle imprese» è di «difficile reperibilità». I migranti poi percepiscono salari «inferiori di un quarto» rispetto agli italiani che svolgono le stesse mansioni. Quando non sono vittime di «fenomeni scandalosi come il caporalato» che «va contrastato con fermezza».
Cita ancora una volta Papa Francesco: «Non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano», le parole nell’ultimo messaggio di Pasqua. «Il lavoro non può separarsi mai dall’idea di persona, dalla unicità e dignità irriducibile di ogni donna e di ogni uomo. Nessuno deve sentirsi scartato o escluso», insiste il Capo dello Stato. Che ricorda come il lavoro sia una «radice di libertà» che «ha animato la nostra democrazia, ha prodotto eguaglianza e, dunque, coesione sociale. Il lavoro richiama e sollecita la corresponsabilità, la solidarietà. È stato il vettore più potente di giustizia, di mobilità sociale, di costruzione del welfare».
IL PRESIDENTE LANCIA anche un invito a
Leggi tutto: L’affondo di Mattarella: «In Italia salari troppo bassi» - di Andrea Carugati
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