La disfatta Tory consegna il governo del Regno unito ai laburisti. I 412 seggi vinti da Starmer, il più grande “swing” del partito, non corrispondono però a una valanga di voti, complice l’astensione. L’ombra nera di Farage: entra a Westminster con quattro deputati
HO FATTO CENTRO. La squadra di Downing Street. Lodi a Rishi Sunak, primo leader di origine asiatica, discorso sul ritorno del governo al servizio dei cittadini
La cronaca della vittoria annunciata del Labour di nuovo al potere è proseguita ieri mattina senza soluzione di continuità per Starmer e i suoi dopo una notte febbrile trascorsa davanti alla ridda di cifre, percentuali, elaborazioni grafiche digitali costruite sullo spoglio. Recatosi subito a Buckingham Palace dal monarca dove, in una cerimonia medievale che prevedeva il baciamano (opportunamente emendata del medesimo), ha ricevuto l’incarico di formare il suo – del monarca – governo, Starmer è pervenuto poi a Downing Street.
DAVANTI allo stesso leggìo dove lo sbaragliato premier uscente Rishi Sunak aveva annunciato la data delle elezioni «anticipate» sei settimane prima, e dopo che questi vi aveva tenuto quello di commiato (l’unica differenza è che ieri era asciutto), Starmer ha parlato (letto) per la prima volta al paese. Ha tributato rispettose lodi al Sunak primo Primo ministro britannico di origine asiatica – un segnale di magnanimità – ha parlato del ritorno di un governo al servizio dei cittadini, di un governo del fare, che tratterà tutti con rispetto, anche coloro che non l’hanno votato, di un governo che farà anziché parlare, di un governo che al primo posto metterà il paese e non il partito. Ha parlato, anche se in chiave naturalmente positiva, di un grande reset: lo speech writer non si è avveduto/non ha tenuto conto, dell’omonima teoria della cospirazione. E ha poi infilato una serie di elogi della stabilità, della moderazione, del rinnovamento.
SI È POI INSTALLATO al numero dieci, dove ha iniziato a convocare i componenti del Suo (sempre del monarca) governo:
Leggi tutto: Arrivano i ministri, dall’area Blair agli ex corbyniani - di Leonardo Clausi, LONDRA
Commenta (0 Commenti)«Sde Teiman non è un carcere, è la nostra vendetta». Parla un medico israeliano entrato nella Abu Ghraib di Netanyahu la base-prigione del Neghev in cui vengono rinchiusi senza un’imputazione i palestinesi presi a Gaza. Abusati e torturati, bendati, feriti senza cure e legati al letto
ISRAELE-PALESTINA. Parla un medico israeliano entrato nella base-prigione di Israele nel Neghev, in cui i palestinesi sono ammanettati al letto per mesi
Detenuti palestinesi dopo essere stati rilasciati dall'esercito israeliano, a Deir Al Balah - foto Getty Images
Torture, abusi e violenze di ogni genere a danno di centinaia di detenuti palestinesi di Gaza arrestati dopo il 7 ottobre, anche quelli gravemente feriti e ammalati. Di quanto accade nel centro di detenzione di Sde Teiman, la Abu Ghraib di Israele, nei pressi di Bersheeva nel Neghev, si parla da mesi. Solo qualche settimana fa, grazie alla denuncia dei media internazionali e alla petizione presentata alla Corte suprema dall’Associazione israeliana per i diritti umani, le autorità hanno deciso di trasferire gran parte dei palestinesi tenuti prigionieri a Sde Teiman. Ne rimangono altri duecento e le loro condizioni non sono migliorate. Abbiamo raccolto la testimonianza del dottor F.K. che ha visitato Sde Teiman. Ci ha chiesto di non rivelare la sua identità.
Quante volte sei stato a Sde Teiman?
Solo una. Sono un chirurgo e mi hanno chiamato a proposito di un detenuto palestinese in gravi condizioni che pochi giorni prima era stato ricoverato nell’ospedale pubblico in cui lavoro. Stava molto male e volevano un parere. Quella persona avrebbe dovuto rimanere ricoverato nella struttura ospedaliera e non essere rimandato subito a Sde Teiman. So di prigionieri (palestinesi) che dopo essere stati operati negli ospedali non sono stati tenuti in terapia intensiva o in osservazione, ma portati subito nei centri di detenzione e nelle prigioni in condizioni instabili.
Cos’è Sde Teiman?
Fondamentalmente è un’enorme base militare con un’area di detenzione divisa in due parti. Una è una sorta di ospedale da campo, dove sono stato io. Nell’altra ci sono le tende con i prigionieri di Gaza. Tutto appare molto precario. All’ingresso sono ammassati i materiali sanitari. Gli ammalati si trovano sotto una tensostruttura, uno scheletro di metallo coperto da un tendone. Quindi sono esposti alle condizioni esterne, con temperature che
«La democrazia non è della maggioranza e non si riduce al diritto di voto». Il presidente della Repubblica non ci gira attorno. Oggi riparte l’esame del premierato e Mattarella avverte: la legge elettorale non può distorcere la rappresentanza con «marchingegni»
AVVISO AI GOVERNANTI. Il presidente: il dovere di governare non produca restrizioni dei diritti, evitare marchingegni che alterino la volontà degli elettori. Le istituzioni funzionano se se «l’universalità dei diritti non viene menomata da condizioni di squilibrio sociale». Messaggio alla Lega: «La sovranità europea dà sostanza concreta a quella degli Stati membri»
«Non si può ricorrere a semplificazioni di sistema o a restrizioni di diritti “in nome del dovere di governare”. Una democrazia “della maggioranza ” sarebbe una insanabile contraddizione». Sergio Mattarella parla a Trieste alla settimana sociale dei cattolici. E, in un lungo discorso, in cui cita a più riprese Norberto Bobbio, impartisce una dotta lezione di democrazia e Costituzione rivolta a chiunque pensi di ridurre l’esercizio democratico al voto per un capo, e a chi ritenga che l’investitura popolare possa considerarsi come viatico per un potere assoluto.
«LA DEMOCRAZIA COME forma di governo non basta a garantire in misura completa la tutela dei diritti e delle libertà: può essere distorta e violentata nella pretesa di beni superiori o utilità comuni. Il Novecento ce lo ricorda e ammonisce». Di qui l’avvertimento sulla necessità di non confondere la «volontà generale» con quella di una maggioranza che viene abusivamente considerata «come rappresentativa della volontà di tutto il popolo». Questa interpretazione, come è stato in passato, può rivelarsi «più ingiusta e più oppressiva della volontà di un principe», dice Mattarella citando una frase del giurista Emilio Tosato, che contestava un assunto di Rousseau, alla settimana dei cattolici nel 1945.
«Un fermo no», quindi, «all’assolutismo di Stato, a un’autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice». «La coscienza dei limiti è un fattore imprescindibile di leale e irrinunziabile vitalità democratica». Servono «limiti alle decisioni della maggioranza che non possano violare i diritti delle minoranze».
Contro il «baco» del premierato, Casellati lancia il Mattarellum
IL CAPO DELLO STATO non cita le riforme costituzionali all’esame del Parlamento, come l’elezione diretta del premier fortemente voluta da Meloni o le ipotesi di riforma elettorale in senso ancora più maggioritario evocate ieri dalla ministra Casellati. E tuttavia avverte sui rischi presenti
Leggi tutto: Riforme, l’altolà di Mattarella: «No al potere senza limiti» - di Andrea Carugati
Commenta (0 Commenti)In Francia la paura della destra fa 218 come i candidati che rinunciano al 2° turno per fare barriera contro Le Pen. Il maggior sacrificio lo fa la sinistra, ma malgrado le ambiguità di Macron anche molti dei suoi si ritirano: nelle sfide a due a Rn può sfuggire la maggioranza assoluta
IL TRIANGOLO NO. La paura rianima il «fronte repubblicano». Soprattutto i candidati della sinistra rinunciano al secondo turno, ma anche tanti centristi
Sostenitori del Nouveau Front Populaire incollano manifesti per le strade di Parigi - foto Ap
L’equazione si annunciava complicata, ma sembra essere stata in gran parte risolta. Il primo turno delle elezioni legislative francesi ha sancito un numero di ballottaggi «triangolari» senza precedenti nella storia della 5a Repubblica: ben 306 seggi da assegnare dopo un secondo turno a tre candidati che, alla fine, si sono ridotti a poco più di un centinaio, in seguito alle «desistenze» per sfavorire l’elezione di deputati d’estrema destra.
SECONDO UN CONTEGGIO di Le Monde, il Rassemblement National di Marine Le Pen sarà presente in almeno 243 ballottaggi, quasi sempre in competizione con candidati del Nuovo Fronte Popolare (Nfp) o della coalizione macronista, Ensemble, e talvolta con candidati dei Républicains, il partito della destra gollista. Con una maggioranza assoluta fissata a 289 deputati, quindi, ogni ballottaggio diventa cruciale per impedire a Jordan Bardella d’insediarsi a Matignon, la residenza del primo ministro.
Domenica sera, dopo la pubblicazione dei risultati, Jean-Luc Mélenchon ha annunciato che i candidati del Nfp si sarebbero ritirati qualora arrivati terzi e quando in questo caso un candidato Rn fosse primo o suscettibile di essere eletto. Un modo per non disperdere i voti e sbarrare la strada ai candidati lepenisti.
Dal canto loro, Emmanuel Macron e i suoi hanno invece emesso segnali contrastanti. Tra domenica e lunedì, è sembrata imporsi una linea del «né-né» all’insegna degli «opposti
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L’estrema destra è alle porte del potere in Francia. Ma è ancora possibile evitare il peggio, la maggioranza assoluta al Rassemblement National. Bisogna aspettare oggi alle 18, per vederci più chiaro sugli schieramenti per il secondo turno di domenica 7 luglio, dopo la conferma del terremoto politico che sta scuotendo la Francia con i risultati del primo turno.
Ieri c’erano già più di 170 “desistenze” al secondo turno dei candidati nelle 306 sfide “triangolari” possibili. L’alta affluenza alle urne ha permesso molte “triangolari”, cioè oltre ai primi due candidati arrivati in testa un terzo ha la possibilità di presentarsi (ci sono persino 5 quadrangolari).
L’ESTREMA DESTRA – Rn più il drappello portato dall’ex Lr, Eric Ciotti (il partito di Zemmour, Reconquête, è quasi sparita) – ha ottenuto il 33%, 10,6 milioni di voti (nel 2017 ne aveva 3 milioni,
Leggi tutto: Patto di desistenza, Macron non scioglie la riserva - di Anna Maria Merlo, Parigi
Marine Le Pen dopo l'annuncio dei risultati per il primo turno delle elezioni legislative in Francia (AP Photo/Thibault Camus)
Al primo turno delle elezioni legislative francesi il Rassemblement National (RN) – il partito di estrema destra di Marine Le Pen e Jordan Bardella alleato con Eric Ciotti, il presidente dei Repubblicani, di destra – è di stato nettamente il più votato: ha ottenuto il 33,2 per cento dei voti, un risultato quasi doppio rispetto a quello delle elezioni legislative del 2022 quando RN, al primo turno, prese il 18,7 per cento.
Il Nuovo Fronte Popolare (NFP), l’alleanza elettorale di sinistra che riunisce tra gli altri il Partito Socialista, il Partito Comunista, il partito ecologista Europe Écologie-Les Verts e La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, ha ottenuto il 28 per cento, più di quanto aveva preso nel 2022 con la propria precedente alleanza elettorale, NUPES, che si era fermata al 25,6 per cento. Il loro risultato a questo primo turno rimane però inferiore alla somma dei risultati che ciascun partito aveva ottenuto alle elezioni europee dello scorso 9 giugno (31,6 per cento). Ensemble pour la République, la coalizione del presidente francese Emmanuel Macron che aveva convocato le elezioni in seguito all’ottimo risultato di RN alle europee, si è fermato al 20 per cento. Il quarto partito più votato è stato quello dei Repubblicani, al 6,6 per cento.
Domenica 7 luglio si svolgerà il secondo turno in tutte le circoscrizioni che non hanno eletto un candidato al primo. Avranno accesso al ballottaggio non i due candidati che hanno ottenuto i migliori risultati al primo turno, come succede in Italia, ma tutti quelli che hanno ottenuto più del 12,5 per cento dei voti delle persone iscritte nelle liste elettorali (non dei votanti). A causa dell’elevata partecipazione (66,7 per cento) il ministero dell’Interno ha individuato più di 300 triangolari, cioè ballottaggi in cui i candidati sono tre, e anche qualche quadrangolare, cioè ballottaggi con quattro candidati.
Al primo turno sono stati eletti appena 75 deputati, su un totale di 577. Tra questi, 39 sono di RN in alleanza con Ciotti (e tra loro c’è anche Marine Le Pen), 32 sono di NFP (compresi il socialista Olivier Faure e l’ecologista Sandrine Rousseau) e due della coalizione di Macron.
Commentando i risultati il quotidiano Le Monde ha scritto che «il fallimento è stato totale per il presidente della Repubblica Emmanuel Macron, che
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