Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Riarmo Zelensky a Berlino, terzo incontro in poche settimane con il cancelliere Merz, ormai guida del riarmo europeo

Missile della German Air Force Missile della German Air Force – Getty Images

Archiviata l’era del «temporeggiatore» Olaf Scholz – il principale ostacolo all’invio di armi made in Germany capaci di colpire in profondità il territorio russo – il cancelliere Friedrich Merz spalanca le porte dell’escalation militare «per indebolire la macchina di guerra di Mosca».

Da Berlino più missili e munizioni per Kiev ma soprattutto ancora soldi. A cominciare dal maxi-finanziamento di 5 miliardi di euro necessario per costruire in Ucraina la prima fabbrica di armamenti tedesca: il passo d’esordio della nuova «partnership strategica» fra le industrie belliche dei due paesi. Tanto incassa Volodymyr Zelensky ieri in visita ufficiale in Germania, accolto da Merz con il massimo degli onori e la piena copertura politica imprescindibile al premier ucraino per sopravvivere alla doppia morsa di Trump e Putin.

Svolta ampiamente annunciata dal leader della Cdu pronta però ora a concretizzarsi sul serio. In pratica a Berlino nulla osta più alla fornitura a Kiev dei letali missili Taurus (sul cui invio il Bundestag ha finora votato contro), anche se Merz nella conferenza stampa congiunta con Zelensky si guarda bene da nominarli espressamente. «D’ora in poi non ci sarà più alcuna restrizione di gittata per le armi tedesche. In questo modo l’Ucraina sarà in grado di difendersi completamente, anche contro obiettivi militari situati al di fuori del suo territorio» riassume il cancelliere. Significa dare mano libera a Kiev per l’avvio di operazioni su vasta scala contro gli oblast russi, ovvero alzare l’attuale livello dello scontro.

Immediata la reazione di Mosca: «Azione irresponsabile. Non è altro che un tentativo per costringere gli ucraini a continuare a combattere. Così la Germania affossa gli sforzi per trovare una soluzione diplomatica al conflitto» avverte il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov.

Poco importa a Berlino: il dado è comunque tratto e il governo Merz non ha alcuna intenzione di tornare indietro sulla propria decisione peraltro condita con la solenne promessa del cancelleiere di «fare tutto il possibile per impedire la futura riattivazione del gasdotto Nordstream».

Avanti come un panzer, nonostante l’annuncio rimesti non poco le spaccature all’interno della coalizione tra Spd e Cdu. Da un lato l’ala “pacifista” dei socialdemocratici, sempre più insofferente e concentrata a raggiungere il cessate il fuoco prima possibile, proprio come chiedono gli iscritti; dall’altra lo zoccolo duro degli oltranzisti “war-oriented” incarnati dal ministro degli esteri Boris Pistorius. Ha vinto la seconda corrente sebbene in teoria rappresenti soltanto una minoranza all’interno della Spd. Così Pistorius si prende la rivincita personale nei confronti di Scholz che nella scorsa legislatura era sempre riuscito a respingere le sue fugheoltre le linee rosse del governo.

Se la consegna dei Taurus a Kiev nel breve termine si dimostra infattibile – a meno di non inviare in Ucraina, oltre a lanciatori e missili, anche il personale della Bundeswehr specializzato nel loro impiego, che sarebbe “mettere gli stivali sul terreno” – l’annuncio di Merz in realtà apre all’inizio dell’addestramento dei soldati ucraini per imparare a utilizzare il sistema tedesco. Non sarebbe una novità: da tempo le reclute di Kiev si esercitano nelle basi e nei poligoni tedeschi prima di venire spediti al fronte. Ma comunque una nuova fase del conflitto, stridente con tutti i tentativi di raggiungere la pace almeno in forma provvisoria.
In più, oltre a miliardi di euro per la fabbrica di armi bi-nazionale tedesco-ucraina, ieri il governo Merz ha dato anche il via libera al pacchetto finanziario dedicato a moltiplicare gli stabilimenti per la riparazione dei mezzi militari in Ucraina. A riprova che Berlino rimane primo fornitore di armi e di denaro all’Ucraina: un gigante dalle spalle grosse pronto a sostituire gli Usa (e la Polonia) nel ruolo di principale sparring-partner di Zelensky.

In cambio il governo Merz non chiede la concessione delle terre rare ma si “accontenta” della firma del premier ucraino sui contratti bellici. Tra cui spicca il nuovo accordo fra Kiev con il colosso degli armamenti Diehl, sottoscritto ieri, in cui è stata concordata la fornitura di sistemi difesa aerea e relative munizioni.

 

Commenta (0 Commenti)

Niente sanzioni, no al ritiro dell’ambasciatore, nessuna obiezione all’accordo di cooperazione Ue con Israele e conferma del memorandum militare. Tajani in parlamento non va oltre una generica condanna delle stragi israeliane a Gaza. Nessun atto concreto. Netanyahu nemmeno nominato: l’Italia non lo molla

Il grande fardello Il ministro degli Esteri in Parlamento: «No a sanzioni a Tel Aviv, Italia in prima fila negli aiuti». Provenzano: «L’unico aiuto umanitario è fermare il massacro». Il leader di Fi cita l’antisemitismo rivolto alle opposizioni. Fratoianni: «Abita dalla vostra parte»

Tajani non scarica Netanyahu. Pd, Avs e 5S: «Siete complici» Il ministro degli Esteri Tajani alla Camera – Ansa

Montecitorio, sono quasi le 10 di mattina. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani prende la parola per dire che Israele sta esagerando, che dovrebbe fermarsi, che le morti di civili suscitano «un dolore immenso», «indignano le nostre coscienze».

«L’espulsione dei palestinesi da Gaza non sarà mai un’opzione accettabile», dice, dopo aver chiesto un minuto di silenzio per le vittime delle due parti.

LA PAROLA «NETANYAHU» non la nomina mai, elenca una lunga serie di interventi umanitari «coordinati dal governo», dall’invio di generi alimentari al ricovero in Italia di 133 bambini palestinesi, oltre all’evacuazione di 700 civili. Nei 20 minuti di intervento sembra, a chi ascolta, che Gaza sia stata colpita da una grave calamità naturale, e che l’Italia sia impegnata per portare soccorso. Guai a parlare di sanzioni, ritiro dell’ambasciatore a Tel Aviv o allo stop dell’accordo di cooperazione tra Ue e Israele (proposto da 17 paesi europei, non dall’Italia): «È essenziale mantenere aperto ogni canale con le autorità israeliane».

PEPPE PROVENZANO, responsabile esteri del Pd, lo ascolta allibito. Poi attacca: «Le sue parole forse erano buone 19 mesi fa, 50.000 morti fa, prima di 20.000 bambini bruciati vivi, morti di sete, di fame, di freddo, operati senza anestesia. L’unico vero aiuto umanitario, ministro, è fermare Netanyahu. Lei non è a capo di una organizzazione umanitaria ma della politica estera dell’Italia».

«Perché vi opponete alle sanzioni, persino a quelle contro i ministri fanatici di Israele?», incalza il deputato dem.

«Sospendete il memorandum di cooperazione militare, siate coerenti. È troppo tardi per le parole che non avete avuto il coraggio di pronunciare fin qui. Non bastano le nostre parole, figuriamoci le sue, timide, vaghe, inadeguate imbarazzate e imbarazzanti».

Il ministro sorride, dai banchi dem partono contestazioni: «Cosa ridi?». Lui poi si giustificherà: «Davanti agli insulti sorridevo perché sono un uomo di pace». Più tardi, durante un evento alla regione Lazio, Tajani sfodera gli artigli: «In Parlamento ci sono troppi cattivi maestri che incitano all’odio e non sanno quale influenza negativa possano avere sulle menti giovani e fragili: dire che siamo corresponsabili di migliaia di morti offende la verità».

ERA STATO LUI, PARLANDO alla Camera, a lanciare un allarme antisemitismo con lo sguardo rivolto ai banchi della sinistra: «Dico a chi fomenta l’antisemitismo per piccole, miopi convenienze di bottega “Fermatevi ora!”». Netta la replica di Nicola Fratoianni: «Basta con quell’allusione pelosa e insultante di guardare con qualche compiacenza all’insorgenza di antisemitismo: per noi quello è il peggiore dei mali e non credo che dalle parti della sua maggioranza tutti possano dire lo stesso».

E ancora: «Non fate fatica ad andare a dormire la sera? Non vi vergognate di fronte al fatto che, a differenza di tanti italiani, voi avreste il potere di fare qualche cosa? Invece avete scelto l’ignavia del silenzio, la vergogna della vigliaccheria, la

Commenta (0 Commenti)

Sogni d'oro All’assemblea annuale le critiche al patto di stabilità firmato dal governo, la denuncia del caro-energia e il rischio della crisi. Le imprese chiedono 24 miliardi, il crollo della produzione continua, «ma è colpa del Green Deal»

La presidente del consiglio Giorgia Meloni, LaPresse La presidente del consiglio Giorgia Meloni – LaPresse

All’assemblea annuale di Confindustria ieri Giorgia Meloni ha detto di «pensare in grande». Ma, ascoltando la relazione del presidente degli industriali Emanuele Orsini, avrà pensato che grandi sono le critiche a un governo che ieri sembrava un turista passato per caso al Teatro EuropAuditorium di Bologna.

ORSINI HA ELENCATO almeno tre problemi che tolgono l’aria a Meloni. Il patto europeo di stabilità che impedisce gli investimenti, il lavoro povero e il costo dell’energia che mette in ginocchio le imprese. Il primo è stato firmato dall’attuale governo e ha riportato il paese nella gabbia dell’austerità. Il secondo è perso nel mare della propaganda. Il terzo è lo specchio dell’impotenza sul problema del disaccoppiamento del prezzo dell’energia da quello del gas. Ieri Meloni ha riconosciuto di avere gettato dalla finestra «60 miliardi». Ha parlato di «nucleare». Ma l’unica cosa concreta che ha detto a Orsini è di partecipare a un concorso di idee su come risolvere il problema. Potrebbe varare una tassa sugli extra-profitti. Le aziende energetiche avrebbero guadagnato 70 miliardi. Ma mai parlare di tasse a chi batte cassa al governo.

SUL PATTO DI STABILITÀ Orsini ha criticato la clausola a suo tempo presentata da Meloni e Giorgetti come una vittoria: lo scorporo delle spese militari dal calcolo del debito e del deficit. Lo stesso sul quale è basata una parte cospicua del riarmo europeo. Nel frattempo, Meloni si è accorta che la clausola comporta un aumento di deficit e debito. La stessa Commissione Ue può punire l’Italia perché sfora i suoi parametri.Un vicolo cieco.

«NON È POSSIBILE – ha detto Orsini – che l’unica eccezione per sforare il patto di stabilità sia relativa alla spesa per la difesa. La nostra idea è diversa. Il patto di stabilità e crescita deve consentire un grande piano di sostegno agli investimenti dell’industria, in ogni paese europeo. Altrimenti, non è un patto per la stabilità e la crescita. È un patto per il declino dell’Europa». È proprio così. Ma quel patto lo ha firmato il governo in carica, lo stesso che si mangia le mani per avere festeggiato una Caporetto per una vittoria. È il rischio di chi «pensa in grande».

ORSINI SI È DETTO preoccupato da i 26 mesi di calo consecutivi della produzione industriale. Parla di «deindustrializzazione». Un processo sul quale il governo gira a vuoto. Ieri Meloni ha detto che è colpa del «Green Deal» europeo, e dei «dazi interni». Espressione alquanto imprecisa usata da Mario Draghi per chiedere a Bruxelles di fare meno regole sui fagioli e dare più forza agli spiriti animali delle imprese. Le stesse che elemosinano dal governo.

OTTO MILIARDI DI EURO in «investimenti» alle imprese ogni anno, per il prossimo triennio-sono stati chiesti da Confindustria. Fanno 24 miliardi da versare nei contratti di sviluppo e nel progetto «industria 4.0 potenziata». Per orsini dovrebbero essere sufficienti per riportare la crescita del Pil addirittura al 2%. Qualche dubbio sulla plausibilità di questa ipotesi dev’essere venuto anche a Orsini che ha chiesto a Meloni di perorare la causa di un «Next Generation EU» per l’industria. Meloni ha detto che ne parlerà con la presidente della Commissione Ue von der Leyen. Si resta in attesa del cancelliere Merz con il quale Meloni sostiene di avere una buona intesa, La Germania si altera quando si tratta di dare soldi agli altri, e non alla propria industria in crisi. Più che altro il problema è il patto di stabilità criticato da Orsini. Uno dei suoi effetti è bloccare gli investimenti.

SENZA CONTARE IL FATTO che i soldi, a disposizione, l’Italia non riesce a spenderli. Anche per questo si pensa di usare i soldi del Pnrr e dei fondi per la coesione, stanziati per tutt’altro, e ora richiesti da Confindustria. Ormai è dato per certo il fallimento del famoso piano. Guarda caso Meloni & Co. hanno parlato di «25 miliardi» per un piano anti-dazi di Trump. Ma potrebbero risultare anche come gli «investimenti» chiesti da Orsini. Un gioco delle tre carte, ma «in grande».

IL LATO OSCURO del record dell’occupazione, vantato da Meloni, è stato mostrato da Orsini che ha parlato dei bassi salari, un altro problema sul quale Meloni fa finta di non sentire. L’occupazione «per ora tiene», ma senza un rilancio dell’economia, questa tendenza può cambiare. Con i dazi di Trump che incombono. «Due imprese su tre – ha detto Orsini – stanno trattenendo i propri dipendenti nonostante il calo dell’attività. Ma per quanto potremo ancora farlo?». Orsini ha offerto ai sindacati la collaborazione contro i «contratti pirata» e «per alzare le retribuzioni nell’industria». Si potrebbe iniziare da quello dei metalmeccanici, per esempio. Il segretario della Fiom Michele De Palma ha detto che, «se entro il 30 maggio non si riapriranno le trattative, non ci sarà decreto sicurezza che tenga, occuperemo le strade per portare avanti le nostre ragioni».

Commenta (0 Commenti)

Manifestazione per Gaza L’appello di Schlein, Conte, Fratoianni e Bonelli: «Tutti a Roma il 7 giugno per fermare il massacro e i crimini di Netanyahu»

Roma, manifestazione a sostegno della Palestina foto di Mauro Scrobogna / LaPresse Roma, manifestazione a sostegno della Palestina foto di Mauro Scrobogna – LaPresse

Il dado è tratto. Dopo 20 mesi di massacri, Pd, M5S e Avs hanno deciso di convocare una manifestazione «per fermare il massacro del popolo palestinese» sabato 7 giugno a Roma. «Basta complicità, noi non ci stiamo. Facciamo appello a tutte e tutti coloro che sentono come insopportabile quello che sta succedendo: mobilitiamoci insieme per fermare il massacro e i crimini del governo Netanyahu a Gaza», dicono Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli.

LA PIATTAFORMA, ricordano i leader del centrosinistra, è «chiara, inscritta nella mozione che unitariamente abbiamo presentato in Parlamento». La mozione, presentata a metà aprile, è stata bocciata dal centrodestra nell’aula della Camera il 21 maggio. E prevede il cessate il fuoco immediato, il riconoscimento dello Stato di Palestina, la liberazione degli ostaggi israeliani, lo stop al commercio di armi con Israele e all’accordo di cooperazione tra Ue e Tel Aviv, la fine dell’occupazione militare illegale in Cisgiordania, dare piena attuazione ai mandati di arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale nei confronti di Netanyahu e Gallant e la condanna di «qualsiasi piano di espulsione dei palestinesi da Gaza e Cisgiordania».

Una piattaforma a cui ha aderito +Europa (Riccardo Magi aveva votato a favore alla Camera) ma che non convince Azione e Italia Viva. I partiti di Calenda e Renzi hanno subordinato la loro adesione all’accettazione dei punti proposti dall’associazione «Sinistra per Israele», di cui fanno parte alcuni esponenti dem come Piero Fassino e Emanuele Fiano. Tra le richieste c’è la «solidarietà attiva verso gli israeliani che si oppongono al governo e verso i palestinesi che si oppongono a Hamas»; la richiesta di «smantellamento» di Hamas e la condanna «del dilagante antisemitismo, anche quando si manifesta nelle forme dell’ostilità verso i singoli cittadini di Israele». E ancora: il sostegno alla «democrazia israeliana».

La redazione consiglia:
Gaza, il momento delle parole chiare

PER CALENDA L’INTEGRAZIONE di questi punti è dirimente, ma dal fronte 5s-Avs non c’è disponibilità ad «annacquare» la piattaforma. «A Gaza è in corso un genocidio, un progetto folle che non ha a che fare con l’antisemitismo ma ha a che fare con il leader israeliano Netanyahu che si è messo sullo stesso piano dei terroristi di Hamas», afferma il capogruppo al Senato, Stefano Patuanelli. «La piattaforma c’è ed è quella della mozione presentata in Parlamento», taglia corto Nicola Fratoianni. E Bonelli: «Non possono esserci ambiguità. Lo dico con franchezza anche a chi si riconosce in ‘”Sinistra per Israele”, che non più tardi di poche settimane fa ha giustificato i bombardamenti sugli ospedali di Gaza, sostenendo che lì si nascondessero armi». «È una piattaforma aperta, inclusiva ed equilibrata», mette a verbale Schlein. Che si chiede: «È possibile che il governo italiano non abbiamo detto ancora una parola di condanna?». La piazza romana dove convocare la manifestazione non è stata ancora individuata. Il 7 giugno piazza del Popolo è già stata prenotata per un concerto. Ma i giallorossi non disperano.

IERI NEL CONSIGLIO regionale della Toscana è stata approvata dal centrosinistra (Pd, Iv, M5s ed Europa Verde) una mozione che chiede al governo di «attivarsi per porre fine alla catastrofe umanitaria a Gaza». A Milano un lenzuolo bianco con dei sudari macchiati di rosso dalle sembianze di bambini è stato posato da una donna in piazza della Scala. Il Comune ha aderito alla campagna nazionale «50 mila sudari per Gaza» esponendo fuori da Palazzo Marino un lenzuolo bianco. E ha deciso si proiettare sulla propria sede la scritta «All eyes on Gaza». Una decisione contestata dal presidente della comunità ebraica Walker Meghnagi: «Iniziative che creano un clima pericoloso addossando ogni colpa a Israele». (and.car.)

 

Commenta (0 Commenti)

Pochi e maledetti. Arrivano i primi aiuti nel sud della Striscia dove Israele vuole ammassare i sopravvissuti di Gaza. Che devono contenderseli, costretti in gabbie di filo spinato mentre a nord le bombe continuano a uccidere. L’Onu condanna: non c’è niente di umanitario

600 giorni di genocidio Decine di migliaia di palestinesi sfondano le barriere e prendono i pacchi alimentari, senza violenza. I contractor sparano, poi fuggono. Nei cartoni c’è pochissimo: un po’ di farina, pasta, sale, zucchero, tutti prodotti israeliani. Niente acqua

La folla prende d’assalto il centro Usa a Rafah. (Getty) La folla prende d’assalto il centro Usa a Rafah – AP

«Non hanno cibo ed è il solo modo che hanno per sfamare i propri figli». Basta poco alla giornalista palestinese Hind Khoudary per spiegare le immagini che ieri giungevano da Tal el-Sultan, alle porte di Rafah: decine di migliaia di palestinesi, donne, uomini, ragazzini hanno assaltato uno dei due centri già operativi della Ghf, la Gaza Humanitarian Foundation, creatura nata dal più strutturale degli obiettivi militari e politici di Israele: la pulizia etnica dei palestinesi della piccola devastata enclave.

DAI RESOCONTI della stampa locale e dalle dichiarazioni ufficiali dell’organizzazione privata statunitense è possibile ricostruire quanto avvenuto: prima l’annuncio della distribuzione dei pacchi alimentari nel centro di Tal el-Sultan; poi una prima piccola folla di persone costretta (secondo le foto pubblicate su Israel Hayom) tra grate e filo spinato, lugubre memoria novecentesca; infine una massa che ha iniziato a sciamare, disperata, verso il centro iper-militarizzato.


Le persone hanno sfondato le barriere, sono entrate e hanno preso tra le braccia il più prezioso dei beni, un pacco misero (di prodotti israeliani, il profitto è un altro pezzo di questa storia di disumana crudeltà).

Non stupitevi, aveva avvertito l’Onu nei giorni scorsi, questa gente non riceve aiuti da oltre 90 giorni. Ciò che invece potrebbe stupire è l’assenza di violenza che emerge dai video: non c’è prevaricazione, c’è quasi «ordine» nell’esproprio legittimo, c’è rispetto, si prende un pacco e si lascia spazio alle famiglie che vengono dopo.

La redazione consiglia:
L’offesa del pane e del sangue

«Il caos completo» che descrive Khoudary è in capo ad altri: «Le forze (private statunitensi) hanno aperto il fuoco per disperdere i palestinesi». Il resto lo racconta la

Commenta (0 Commenti)

Terra rimossa Pd, Avs e M5s chiamano alla piazza. Ma già c'era

Manifestazione nazionale Pro Palestina a Milano foto Claudio Furlan/LaPresse L'ultima manifestazione nazionale per la Palestina a Milano

Saranno gli storici a stabilire che cosa è stato, dopo 20 mesi di giustificazioni o silenzi, a far reagire i partiti politici italiani su Gaza e i grandi giornali a cambiare di netto linea editoriale sui massacri in corso nella Striscia. Intanto si registra l’attivismo delle opposizioni che si ritrovano a organizzare una manifestazione per i palestinesi cercando il sostegno delle reti civiche e sociali che in questo ultimo anno sono state lasciate sole a occupare lo spazio della protesta contro il governo di Netanyahu. Così come gli studenti che da ormai quasi due anni manifestano per tagliare le collaborazioni tra atenei israeliani e italiani, al costo di essere manganellati o fermati e processati.

PD, AVS E M5S STANNO lavorando per trovare data e il luogo (Perugia, la città della marcia della Pace, si è già offerta). A loro si sono aggiunti, con distinguo, i centristi: Matteo Renzi ha messo in chiaro che «se la piattaforma è la condanna del governo Netanyahu» lui sarà il primo ad aderire sempre che «non si trasformi in un atteggiamento antisemita». Lo stesso Carlo Calenda, che si dice disponibile a patto che «non ci siano bandiere di Hamas e che non ci sia alcun tipo di atteggiamento antisemita» e PiùEuropa che precisa che devono coesistere «la netta condanna non solo del folle operato di Netanyahu ma anche delle azioni di Hamas».

IL GIORNO SU CUI SI potrebbe convergere dovrebbe essere il 7 giugno, il sabato prima dei referendum sulla cittadinanza e sul lavoro. Ufficialmente la data sarebbe stata scelta anche «per fare anche da volano al raggiungimento del quorum» e «perché stanno morendo sempre più civili». Più probabile però che nella decisione abbia pesato la lontananza dall’altra piazza per la Palestina, già convocata.

IL PROSSIMO 21 GIUGNO a Roma alle ore 14 a Porta San Paolo si terrà la manifestazione nazionale “No guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo”, nata dall’attivismo costante sulla questione palestinese di oltre 300 realtà tra reti, gruppi, organizzazioni politiche. Il corteo fa parte della campagna internazionale Stop Rearm Europe ed è stato indetto da Arci, Ferma il Riarmo (Sbilanciamoci, Rete Italiana Pace e Disarmo, Fondazione Perugia Assisi, Greenpeace Italia), Cgil, Anpi, Attac, Refugees welcome, Unione degli studenti, Transform Italia e Giuristi democratici, oltre alla comunità palestinese. Con il paradosso che fra gli aderenti si trovano anche Avs, Prc e M5S.

«La manifestazione nazionale nasce dalla costruzione di un lungo e ampio percorso di partecipazione dal basso e si svolgerà in occasione del vertice Nato a L’Aja, che in quei giorni deciderà i dettagli del piano di riarmo europeo – spiegano dalla rete- Obiettivo, fermare Israele, liberare Gaza e la Palestina, nell’ambito di una mobilitazione più ampia che punta a disarmare l’Europa». «Accogliamo con favore la volontà espressa da diverse forze politiche di promuovere una manifestazione contro il genocidio in corso da oltre un anno e mezzo – ha commentato Walter Massa, presidente nazionale Arci, dopo la proposta delle ultime ore del centrosinistra- Esprimiamo questa posizione senza retorica né polemiche, forti anche della nostra esperienza diretta: appena dieci giorni eravamo alle porte dell’inferno di Gaza».

UNA PIATTAFORMA chiara che però non calza perfettamente a tutti i partiti, sia per l’uso della parola genocidio che per la posizione netta contro il riarmo, indigeribile per alcuni partiti, come il Pd, che hanno votato a favore e che sono alle prese con una opposizione interna che è stata coriacea in questi mesi nel difendere a prescindere il governo Israeliano. Non sono passati neanche due mesi dalle polemiche intorno alla foto che l’europarlamentare dem Pina Picierno con una delegazione di Israel Defense and Security Forum (Idsf), molto vicino all’estrema destra messianica e razzista israeliana.

«Ben vengano anche due manifestazioni, purché il messaggio sia chiaro», dicono ora dalla Cgil, coinvolta in entrambi i fronti. Ma oltre al messaggio c’è anche il pulpito. La manifestazione delle opposizioni convergerebbe sulla proposta che l’ex sindaco di Roma, Walter Veltroni, ha fatto dalle colonne del Corriere della Sera. Una testata che non ha avuto dubbi, in questi mesi, nel seguire la linea del governo israeliano. La «piattaforma ragionevole» di Veltroni contiene «la fine della guerra scatenata dal premier israeliano con l’obiettivo di annientare un popolo» e «la condanna più severa nei confronti dell’orrore di Hamas». Un «ma anche» provvidenziale che mette d’accordo il centrosinistra.

 

Commenta (0 Commenti)