Crisi Ucraina Mosca annuncia la conquista della città strategica di Kurakhove e non ferma
Kurakhovo (Donetsk ucraino), un uomo in bicicletta davanti a ciò che resta dell’ufficio postale, bersagliato da attacchi russi – foto Ap/Anton Shtuka
La caduta di Kurakhove, nel Donetsk sud-orientale, è una pessima notizia per gli ucraini. Non si tratta dell’ennesimo villaggio di poche anime sperduto tra una valle mineraria e l’altra dell’Est, ma di un centro strategico che Kiev aveva trasformato in una piccola roccaforte. Ora tutto il quadrante è a rischio e il confine con l’oblast di Dnipro è a soli 30 km. Nel frattempo dalla regione russa di Kursk, dove nella notte tra sabato e domenica sei brigate gialloblù hanno tentato un attacco a sorpresa, i funzionari del Cremlino annunciano di aver respinto l’offensiva. Ora gli ucraini si accontentano di aver «inflitto pesanti perdite» ai russi, ma è chiaro che le speranze erano decisamente maggiori. Con buona pace del segretario di stato Usa, Antony Blinken, che ieri ha ribadito che «le posizioni ucraine a Kursk sono fondamentali» per eventuali negoziati.
I BOLLETTINI dal campo non sono mai stati particolarmente positivi per gli uomini di Zelensky negli ultimi mesi. Da quando, tra il 5 e il 6 agosto, diverse brigate d’assalto meccanizzate erano riuscite a cogliere di sorpresa le difese russe nella regione frontaliera di Kursk e a occupare quasi 1500 kmq di territorio nemico, le buone notizie si sono limitate agli attacchi respinti. Una lunga teoria di assalti nemici in aree semi-sconosciute agli ucraini stessi, ma essenzialmente circoscritte a tre punti chiave (tutti nel Donetsk): Chasiv Yar, Pokrovsk e Kurakhove.
Qualche tentativo di incursione si è registrato anche nelle regioni di Kharkiv e al sud, tra Zaporizhzhia e Kherson, ma la guerra combattuta si decide sulle terre martoriate del Donbass. Per quella diplomatica i tempi saranno presto maturi. Il 20 gennaio si insedierà il presidente eletto Donald Trump e allora vedremo come la promessa elettorale di «chiudere la guerra in 24 ore» troverà (o no) realizzazione. Nell’attesa che il filo che tiene questa ghigliottina sia reciso, ucraini e russi si ammazzano quotidianamente su un fronte che ormai supera i 1200 km, ma che ha il suo cuore in una zona di circa 250 km che corrisponde all’intero Donetsk ancora in mano agli ucraini, circa il 40% del territorio originale della regione.
KURAKHOVE è una cittadina mineraria situata lungo la costa sud di un omonimo bacino idrico che da almeno due mesi è al centro delle mire russe. Il lago artificiale in questione è diventato centrale nella lotta per il controllo del Donetsk sud-orientale per almeno due motivi. Il primo è che a Pokrovsk, l’ennesima «città martire» come la definiscono gli alti funzionari governativi, i due eserciti sono in una fase di relativo stallo, anche se gli invasori continuano a insistere e la controparte è sempre più in difficoltà. I reparti di Mosca sono arrivati abbastanza vicino alle posizioni ucraine da poter bersagliare la fondamentale autostrada che taglia il Donbass centrale longitudinalmente e ora la controllano mediante i droni e l’artiglieria. Il risultato è che le truppe di Kiev sono costrette a lunghe deviazioni, anche di ore, per raggiungere gli avamposti del fronte senza rischiare di finire sotto il fuoco nemico.
ALLO STESSO MODO i rifornimenti sono rallentati, come le rotazioni dei reparti. Ciononostante l’offensiva via terra non si è fermata e bisogna riconoscere che l’unico motivo per cui sul municipio sventola ancora la bandiera ucraina è la strenua e valorosa resistenza dei soldati. Il rovescio della medaglia è che lo Stato maggiore è stato costretto a concentrare la maggior parte dei reparti disponibili in questa zona del fronte, indebolendo giocoforza gli altri settori. A quel punto (inizio ottobre) i russi hanno iniziato a premere a sud. Nella monotonia dei lanci di agenzia che in questi mesi ci hanno enumerato gli insediamenti conquistati da Mosca abbiamo centinaia di kmq occupati e ben 40 km lineari di avanzata.
In questo contesto risalta il secondo motivo che ha reso Kurakhove fondamentale. Kiev aveva subito dichiarato che la costa nord del bacino idrico era difficilmente difendibile, ma che su quella meridionale avevano posizionato barricate, trincee e alcuni dei migliori reparti disponibili. Kurakhove andava difesa a tutti i costi per evitare che i russi dilagassero. Tuttavia, l’avanzata fulminea sul versante nord a inizio dicembre ha lasciato i reparti ucraini accerchiati da tre lati, con le linee di approvvigionamento sempre più precarie. Negli ultimi giorni si era capito che era solo questione di tempo.
ORA I RUSSI possono sfruttare anche il fiume Vovcha, che da qui parte e arriva fino al confine dell’oblast di Donetsk per avanzare ulteriormente e dare manforte alla fanteria che già si dirige verso Dachne e Andriivka, gli ultimi due grandi centri di quest’area. E, contemporaneamente, cresce il timore dei battaglioni ucraini di essere accerchiati, come sempre più spesso accade in quest’area.
BLINKEN ha dovuto far ricorso alla sua migliore maschera diplomatica per tornare a parlare del Kursk quando i vertici di Washington sanno benissimo che una briciola di Kursk non vale nulla a confronto di quasi un quarto del territorio ucraino occupato. Del resto, proprio la Difesa Usa aveva rimproverato Kiev due mesi fa per non aver approntato strutture difensive adeguate a Kurakhove. Ora i reparti ucraini si sono riposizionati, ma la guerra in questa fase non dà tregua e ogni chilometro perso o guadagnato ha una doppia quotazione temporale e quantitativa. Oggi si conta il numero dei soldati morti, domani si valuteranno i chilometri quadrati
Commenta (0 Commenti)Palazzo chigi smentisce a metà Appaltare ai settemila satelliti di Starlink le comunicazioni criptate del governo e dell’esercito potrebbe costare all’Italia 1,5 miliardi di euro per cinque anni di servizio
Tecnici installano antenna satellitare Starlink – foto Ap
L’Italia sarebbe in trattative avanzate per chiudere un contratto di fornitura di telecomunicazioni sicure con Space X, società di tecnologie spaziali di proprietà di Elon Musk.
Secondo Bloomberg l’affare Space X sarebbe stato uno degli argomenti del vertice lampo di sabato 4 gennaio in Florida tra il presidente eletto statunitense Donald Trump e la presidente del consiglio Giorgia Meloni. Indiscrezione parzialmente smentita da Palazzo Chigi che ieri, in una nota, ha spiegato che i colloqui tra il governo e Space X «rientrano tra i normali approfondimenti che gli apparati dello Stato hanno con le società» e che non è stato preso nessun accordo né firmato alcun contratto. La trattativa non si è ancora conclusa, ma c’è e prevede un contratto di fornitura da 1,5 miliardi di euro per cinque anni con cui l’Italia appalterebbe all’azienda di Musk la gestione delle telecomunicazioni criptate e sicure del governo e dell’esercito italiano nell’area del Mediterraneo. L’accordo includerebbe anche l’implementazione di servizi satellitari direct-to-cell a disposizione del Paese in situazioni di emergenza come una calamità naturale o un attacco terroristico.
Indiscrezioni rese pubbliche nell’ottobre del 2024 parlavano anche di usare i settemila satelliti di Starlink per portare la banda ultralarga nelle zone previste dal piano «Piano Italia 1 Giga».
IL PIANO, affidato a Tim e Openfiber, è stato finanziato con parte dei fondi del Pnrr ma procede a rilento: al momento le operazioni di cablaggio hanno portato la fibra solo a un terzo dei 3,4 milioni di edifici previsti dal piano. Bucare la scadenza di giugno 2026 comporterebbe la
Leggi tutto: Telecomunicazioni criptate: Meloni vuole i satelliti di Musk - di Matteo Miavaldi
Commenta (0 Commenti)L’ambasciatrice ha confermato la decisione all'Adnkronos dopo l'anticipazione di Repubblica: "Ho comunicato le mie dimissioni a partire dal 15 gennaio"
Elisabetta Belloni conferma le dimissioni dalla guida del Dis. "Ho comunicato le mie dimissioni a partire dal 15 gennaio, è una mia decisione", dice l'ambasciatrice all'Adnkronos dopo l'anticipazione di Repubblica. "Non c'è nessun altro incarico", chiarisce Belloni riferendosi a indiscrezioni che la vorrebbero a Bruxelles con la presidente della commissione europea Ursula von der Leyen.
Si legge su Repubblica:
Il rapporto tra Meloni e l’ambasciatrice si è a lungo caratterizzato per essere stato molto stretto.
Commenta (0 Commenti)
Alcune migliaia di persone sono scese nuovamente in piazza ieri sera, sabato 4 gennaio, a Tel Aviv per chiedere la fine della guerra a Gaza e il rilascio degli ostaggi in mano ad Hamas, oltre alle dimissioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, dopo la diffusione del video che mostrava la soldatessa-ostaggio Liri Albag ancora viva.
Lo si legge sui media israeliani. Parlando ai manifestanti da un sovrappasso sulla Begin Road, nel centro della citta' - si legge sul Times of Israel -, Shahar MNor, nipote dell'ostaggio ucciso Avraham Munder ha chiesto di "fermare la campagna di vendetta a Gaza", chiedendo al governo di farsi da parte dopo aver mancato di liberare chi e' ancora in prigionia.
Dopo il comizio si e' tenuta una fiaccolata e sono stati accesi dei falo', spenti dalla polizia e poi riaccesi una volta che gli agenti si sono allontanati, scrive il Toi. Poi la polizia ha fermato sei manifestanti che cercavano di bloccare la Begin Road.
Commenta (0 Commenti)Ann Telnaes si è dimessa dal giornale di proprietà del fondatore di Amazon: "È la prima volta che un mio disegno è stato respinto in tanti anni di lavoro per il Post, la democrazia muore nelle tenebre"
La vignettista del Washington Post ha dichiarato di aver deciso di dimettersi dopo che gli editori hanno rifiutato il suo schizzo del proprietario del giornale e di altri dirigenti dei media che si inchinano al presidente eletto Donald Trump. Ann Telnaes ha pubblicato un messaggio venerdì sulla piattaforma online Substack dicendo di aver disegnato una vignetta che mostrava un gruppo di dirigenti dei media, inclusi il proprietario del Post Jeff Bezos, mentre si inchinavano a Trump offrendogli sacchi di denaro.
Commenta (0 Commenti)Striscia di sangue Il presidente Usa propone al Congresso la vendita a Tel Aviv di bombe per altri 8 miliardi di dollari. Nessuna tregua all’orizzonte. L’esercito ha ammesso l’arresto di Hussam Abu Safiya, il direttore del Kamal Adwan
Gaza: la zona di Deir Al-Balah distrutta da un attacco israeliano – foto di Omar Ashtawy/Zuma Press
È stata una assistenza militare continua, fino all’ultimo giorno, quella che Joe Biden durante il suo mandato ha garantito a Israele impegnato in una offensiva lunga 15 mesi che ha ucciso almeno 46mila palestinesi e distrutto Gaza. Tra un paio di settimane il suo successore Donald Trump entrerà alla Casa Bianca, ma il presidente uscente ha trovato il tempo per notificare al Congresso una proposta di vendita di armi a Israele per otto miliardi di dollari: munizioni per aerei ed elicotteri d’attacco, proiettili di artiglieria e bombe. Ad agosto, gli Stati Uniti avevano approvato la vendita di 20 miliardi di dollari in aerei da combattimento e altre attrezzature militari a Israele.
Tutto ciò mentre piovono su Tel Aviv condanne e critiche per l’attacco israeliano che ha portato Gaza sul baratro della carestia e generato accuse di genocidio, oltre a richieste di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità da parte della Corte penale internazionale nei confronti del premier Benyamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa, Yoav Gallant.
TRA LA FINE DEL 2024 e i primi quattro giorni dell’anno i palestinesi uccisi dai bombardamenti israeliani a Gaza, secondo i dati del ministero della Sanità, sono stati almeno 200. Bombe made in Usa, sganciate da jet israeliani, ieri hanno ucciso oltre 30 palestinesi, tra cui 12 membri della famiglia Al Ghoula a Gaza city. Soccorritori e volontari hanno cercato per ore possibili sopravvissuti intrappolati sotto le macerie. «Verso le 2 di notte siamo stati svegliati dal boato di una forte esplosione. La maggior parte donne e bambini, nessuno aveva sparato missili in quella zona», ha raccontato Ahmed Ayyan, un vicino degli Al Ghoula, aggiungendo che nella casa vivevano 15 persone. Non ci sono stati commenti su questa ennesima strage da parte dell’esercito israeliano. Si è limitato a comunicare che le sue forze hanno continuato l’attacco alla città di Beit Hanoun dove hanno distrutto un complesso militare in apparenza usato da Hamas. A Jabaliya un attacco aereo ha ucciso tre palestinesi, altri tre sono stati colpiti un’auto a est di Deir Al Balah.
GAZA ALLO STESSO TEMPO sta diventando una trappola per le forze di occupazione israeliane. Giornalisti locali hanno spiegato al manifesto che gli uomini di Hamas e di altre formazioni armate hanno cambiato le loro tattiche di combattimento e reclutano nuovi uomini a un tasso superiore al numero di quelli uccisi. Le Brigate Qassam (Hamas) ora fondano la loro capacità di colpire sull’uso di trappole esplosive nascoste all’interno di mobili che esplodono all’arrivo dei soldati. I giornali israeliani riportano i commenti del comandante della Brigata Givati: «Per ogni due militanti uccisi, ce ne sono altri quattro che prendono il loro posto». E dell’ex ministro Haim Ramon che ha descritto, in un articolo pubblicato venerdì da Maariv, l’offensiva in corso a Gaza come un «clamoroso scandalo strategico privo di risultati». Per il quotidiano Yediot Ahronot Israele «non sarà mai in grado di eliminare tutti i simpatizzanti di Hamas, poiché il loro numero a Gaza costituisce una riserva infinita… Se non approfittiamo ora dei risultati ottenuti nei mesi scorsi, ci ritroveremo ad annegare e a sanguinare lì per anni e senza gli ostaggi vivi».
I MEDIA ISRAELIANI sollecitano con crescente insistenza la chiusura di un accordo di tregua che però non arriva. Un video diffuso ieri da Hamas mostra la soldatessa Liri Albag, in ostaggio a Gaza dal 7 ottobre 2023, in vita, ma in cattive condizioni di salute. La famiglia ha chiesto la sua liberazione e rivolto un appello al primo ministro Benyamin Netanyahu affinché raggiunga una intesa con Hamas per uno scambio tra ostaggi e prigionieri politici palestinesi.
Intanto Israele dopo averlo inizialmente negato ha confermato di aver arrestato il direttore dell’ospedale Kamal Adwan, il dottor Hussam Abu Safiya, aggiungendo che è «indagato dalle forze di sicurezza» perché è sospettato di essere un «terrorista» e di «occupare un posto» in Hamas.
Abu Safiya, che si troverebbe nel centro di detenzione di Sde Teiman (tristemente noto per abusi e violenze sui detenuti palestinesi), è stato arrestato nei giorni scorsi mentre l’esercito israeliano costringeva i pazienti e il personale medico ad abbandonare il Kamal Adwan, nel nord di Gaza, descrivendo l’ospedale come una «roccaforte terroristica di Hamas».
NON È CIÒ CHE PENSANO i centri per i diritti umani, inclusi anche l’israeliano Physicians for Human Rights. La presidente di Amnesty, Agnès Callamard, ha denunciato che «centinaia dimedici ed operatori sanitari palestinesi di Gaza sono detenuti da Israele (dopo il 7 ottobre 2023) senza accusa né processo» e «sottoposti a tortura e altri maltrattamenti e tenuti in isolamento»
Commenta (0 Commenti)