Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

ELEZIONI EUROPEE. Oggi il congresso del Pse indicherà lo spitzenkandidat, l’attuale commissario Ue al Lavoro, il lussemburghese Nicolas Schmit. La capogruppo all’eurocamera: «Chiediamo un chiaro impegno sui nostri temi»

Roma, Elly Schlein e Nicolas Schmit in visita al monumento a Matteotti foto Ansa Roma, Elly Schlein e Nicolas Schmit in visita al monumento a Matteotti - foto Ansa

Il congresso dei socialisti europei, che si riuniscono a Roma, oggi sceglierà – senza nessuna sorpresa né contesa stile primarie americane – lo Spitzenkandidat, ovvero il candidato leader dello schieramento progressista europeo, sulla carta destinato a guidare la prossima Commissione Ue, in caso di vittoria dei socialisti. In attesa dell’arrivo dei big oggi alla Nuvola dell’Eur – capi di governo come il tedesco Scholz, lo spagnolo Sánchez, il portoghese Costa o commissari Ue come Gentiloni – ieri pomeriggio lo stato maggiore dei gruppi socialisti si è riunito al Nazareno, sede nazionale del partito ospite, il Pd, per un seminario tra l’accademico e il politico a cui ha partecipato tra gli altri la spagnola Iratxe Garcia Perez, capogruppo all’Eurocamera. Ma soprattutto, la segretaria del Pd Elly Schlein (che ha avuto anche incontri bilaterali intrattenendosi per un’ora con il cancelliere tedesco) e l’ex segretario, nonché probabile futuro candidato alle Europee di giugno, Nicola Zingaretti.

LA SINISTRA DEMOCRATICA europea non sembra godere di ottima salute. Non solo perché i sondaggi la danno in calo mentre in ascesa appaiono le formazioni di destra più o meno estrema. Ma soprattutto perché a Bruxelles vacilla ormai sempre più pericolosamente l’alleanza con i democristiani europei del Partito Popolare (Ppe), molto tentati dall’abbraccio con i conservatori dell’Ecr di Giorgia Meloni e dei polacchi di Diritto e Giustizia. Non è forse un caso che la giornata di studio al Nazareno sia intitolata: «Capire il populismo di destra e cosa fare». Di fronte all’onda nera, la sinistra che ha tenuto finora le redini dell’Ue nella Grosse Koalition con popolari e liberali, si scopre spaventata e delusa.
La delusione per un tradimento consumato si percepisce capisce dalle parole della capogruppo Garcia Perez, che durante l’incontro con la stampa, ha affermato: «Noi socialisti siamo stati coerenti. Invece il Ppe negli ultimi tempi ha cambiato posizione. Hanno rotto l’alleanza e cominciato a lavorare con populista e destra estrema». L’esponente del Psoe si riferisce al ripensamento dei popolari sui temi ambientali. Sotto la spinta del capogruppo a Strasburgo Manfred Weber, i democratici cristiani europei hanno rinnegato una delle leggi cardine del Green Deal, concepita in accordo con socialisti e Verdi, e ora il freno anche sulla Politica agricola comune di fronte alle proteste degli agricoltori. Poi, rispondendo alla domanda di un giornalista sul perché il congresso si tenga a Roma, Garcia Perez ha sottolineato: «L’Italia è un chiaro esempio di come i conservatori hanno iniziato a normalizzare l’alleanza con l’estrema destra. C’è il rischio che questa coalizione blocchi la maggioranza pro-europea». E assicura: «Noi lavoreremo per impedirlo».

NUOVI EQUILIBRI e nodo alleanze sono già in agenda, a Roma. Il pensiero va al dopo 9 giugno, quando a Bruxelles si comincerà a riflettere sul prossimo esecutivo europeo. A margine del pre-congresso del Nazareno, il candidato del Pse in pectore e a attuale commissario Ue al Lavoro, il lussemburghese Nicolas Schmit, ha scandito: «Escludo nettamente che i socialdemocratici europei possano allearsi con l’estrema destra di ogni tipo, né con Id (di cui fa parte la Lega ndr) né con Ecr (nel cui gruppo è FdI ndr)». Un avvertimento ai popolari, che tradotto suona: se abbracciate Giorgia Meloni e compagnia, poi non venite a cercare i nostri voti. «La destra e destra estrema – ha aggiunto Schmit – non ha in alcuna considerazione i diritti delle donne, così come non ha a cuore la famiglia e il futuro dei bambini. Hanno tolto il reddito di cittadinanza, parlano di diritto delle famiglie, ma il futuro dei bambini è altra cosa».
Anche la capogruppo Garcia si spinge in avanti: «Quando si formerà la prossima Commissione europea, ci interessa un chiaro impegno sui nostri temi: Green deal, dimensione sociale, diritti delle donne». Ben sapendo che molto difficilmente Schmit otterrà la guida dell’esecutivo comunitario.

IN MATTINATA la segretaria Pd, insieme ai vertici Pse, si era recata a rendere omaggio al monumento a Giacomo Matteotti, nel luogo in cui l’esponente socialista fu assassinato per volontà di Benito Mussolini nel giugno di 100 anni fa. Un richiamo alla nobile storia di una famiglia politica che a breve sarà chiamata a scelte non scontate

Commenta (0 Commenti)

RIFORME. Associazioni e costituzionalisti, ospiti della Cgil, contro premierato e autonomia differenziata: «Vogliono cancellare il concetto di uguaglianza sostanziale»

 Il convegno di ieri in Corso d'Italia

L’associazione Salviamo la Costituzione ha una certa esperienza quanto a lotte alle manomissioni istituzionali. Ha debuttato svolgendo un ruolo da protagonista nell’affossamento della controriforma del 2006 targata Berlusconi. In questi anni ha continuato ad operare, anche se si è inabissata al di sotto del pelo dell’acqua di fronte ai grandi media, portando le sue idee nelle scuole e in giro per il paese. Adesso il bat-segnale si è riacceso: il campanello d’allarme è rappresentato dalle iniziative della destra al governo sul premierato e l’autonomia differenziata. Così chiama a raccolta associazioni e gruppi affini alla sede nazionale della Cgil. Il titolo dell’assemblea riassume l’attacco in corso: quello di avere «un capo assoluto in un’Italia spezzata».

GAETANO AZZARITI, costituzionalista, dà il benvenuto e denuncia un «clima ostile alla Costituzione repubblicana». Prima di citare atti formali si riferisce agli accadimenti recenti, parla del la libertà di riunione e manifestazione minacciate. Poi ricorda che il problema non è tanto che si voglia cambiare la forma di governo (non ci sarebbe nulla di male) ma che lo si faccia in assenza equilibri costituzionali. L’allarme, in verità, viene da lontano. «Il parlamento viene messo ai margini da trent’anni, è diventato un organo ricettivo di ciò che fa il potere forte». Cerca di compensare l’azione del presidente della repubblica col suo ruolo di intermediazione. Infatti, sottolinea Azzariti, lo vogliono indebolire: al contrario deve essere rafforzato. Dunque, eccoci davanti a un «disegno sistematico» volto a colpire l’unità del paese e gli equilibri istituzionali. Siamo di fronte al «superamento della democrazia rappresentativa in favore di una democrazia identitaria: il popolo si riconosce nell’identità del capo». «Da costituzionalista dico che non sarà l’ingegneria istituzionale a salvaguardare la nostra idea di democrazia – precisa a questo punto – Serve la politica, la cultura, un popolo determinato, convinto di voler salvare se stesso e i principi della Carta». Oggi si riunisce, sempre in Corso Italia, La Via Maestra, campagna che unisce alla Cgil oltre cento reti associative di questa assise interlocutrice naturale. «Ci battiamo per evitare il peggio – dice Azzariti – Ma proponiamoci di costruire il meglio».

RIEPILOGANDO i punti problematici della riforma Meloni e del combinato disposto col regionalismo differenziato, Ugo De Siervo, anche lui giurista, fa notare il «risultato eccezionale» prodotto dal progetto del premierato: «È riuscito a mettere d’accordo nella critica tutti i costituzionalisti». Landini sottolinea come ormai metà dei cittadini non votino più e non si riconoscano nei sistemi di rappresentanza. E fa notare come spesso questi ultimi siano quelli che stanno peggio. «Nel 2023 su 7 milioni di rapporto di lavoro attivati solo il 13% sono a tempo indeterminato – prosegue – Ciò accade per le politiche degli ultimi vent’anni, non solo a causa di questo governo. La democrazia va in crisi quando la gente ha la percezione che non si può fare nulla per invertire le disuguaglianze crescenti. Ma noi non vogliamo solo difendere la Costituzione, vogliamo realizzarla per cambiare le cose». Poi rilancia lo strumento del referendum per abrogare le leggi ingiuste e, appunto, cambiare concretamente le cose. «Il tempo in cui agire è questo – conclude il segretario generale della Cgil – E ognuno deve fare la sua parte».

GIANFRANCO PAGLIARULO sostiene che la «difesa del manganello» formulata nei giorni scorsi dalla presidente del consiglio «rappresenta anche un attacco al Quirinale». «Vogliono chiudere la fase della Costituzione per aprirne una del tutto oscura», sintetizza il presidente dell’Anpi. Per il quale c’è il rischio che dopo le europee si giunga a una fase di «decantazione» che potrebbe condurre i due terzi delle camere ad approvare un premierato in qualche modo corretto (come già chiede qualcuno) e privarci anche della possibilità del referendum. Pure don Luigi Ciotti mette l’accento sui milioni di italiani che hanno smesso di votare. «C’è un’abissale distanza tra la politica e la realtà che tocchiamo con mano – dice il fondatore di Libera – L’interesse particolare dei partiti, tutti quanti, ha tolto l’orizzonte il bene comune e la società: viviamo in clima di propaganda». Per Rosy Bindi la destra non si è mai sentita «a casa sua» con questa Costituzione. Per questo vuole cambiarla e mettere il «sigillo sulla trasformazione di un modello sociale che non persegue più l’uguaglianza sostanziale».

SILVIA ALBANO, per Magistratura democratica, spiega come il premierato sconquasserà la funzione degli organi di garanzia e aggiunge al pacchetto delle minacce anche il disegno di legge costituzionale sulla separazione delle carriere, il cui vero scopo non è impedire la carriera unica, già di fatto impedita per gran parte dalla riforma Cartabia, ma incentivare il numero dei membri del Csm di nomina parlamentare fino alla metà e togliergli alcune delle sue funzioni. A proposito di organi di garanzia, Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale si dice «preoccupato» dallo scenario e dalla possibilità che una parte delle opposizioni decide alla fine di interloquire con la maggioranza sul premierato. Si diceva prima dei manganelli: Patrizio Gonnella di Antigone illustra la pericolosa chiusura del cerchio tra disegni costituzionali e microfisica del potere. Il plebiscitarismo avanza anche con le modifiche alla legge sulla tortura e con il nuovo reato (uno dei tanti) di «rivolta penitenziaria». Comprende anche i casi di resistenza passiva. Anche i gandhiani rischiano, nell’era delle controriforme

Commenta (0 Commenti)

PIETRA TOMBALE. La cerimonia a Maryno, distretto a 40 minuti dal centro di Mosca. Lungo la processione decine di agenti in assetto antisommossa. Per tanti russi è stato una speranza. La maggioranza dei suoi alleati vive all’estero

I funerali di Navalny - foto Ap I funerali di Navalny - foto Ap

Da una parte della strada gridano «Navalny, Navalny, Navalny!», ma nessuno a questo punto è più capace di rispondere. La cassa con il corpo dell’ultimo oppositore politico morto in Russia al tempo di Vladimir Putin è già arrivata al cimitero Borisovskij assieme ai genitori, Lijudmila e Anataloij: due russi comuni, i cappotti sbottonati all’inizio di marzo, trattenendo le lacrime.

La vedova, Yulia, e il figlio, Zakhar, sono rimasti per forza a Berlino. L’altra figlia, Daria, è negli Stati uniti. Il gruppo di collaboratori che ha seguito per anni il più tenace critico del Cremlino ha scelto da tempo di vivere all’estero. Così quel grido si perde fra i palazzi di Maryno, distretto dormitorio lontano quaranta minuti dal centro di Mosca, il luogo in cui alcune migliaia di persone hanno preso parte ieri pomeriggio alla cerimonia religiosa. Sembra impossibile che qualcuno possa raccoglierlo. Dopo i palazzi, a Maryno, si vede soltanto la campagna.

IN TEORIA questo funerale non doveva esserci. A Salekhard, nell’estremo nord della Russia, funzionari particolarmente ligi hanno trattenuto le spoglie di Navalny per una decina di giorni prima di consegnarla ai familiari. Dicevano di attendere i risultati degli esami e le decisioni di un giudice del posto. Quando si sono decisi a procedere mancavano gli uni e le altre. Da quel momento è cominciata la ricerca di una sala in cui celebrare le esequie. A Mosca non hanno trovato nulla. Persino i carri funebri erano occupati. Come dire: per la cerchia del potere russo Navalny è stato un problema da morto quanto lo era da vivo. Avevano il timore di

Commenta (0 Commenti)
GAZA. Cresce il numero dei paesi favorevoli alla richiesta dell'Onu di una indagine internazionale sulla strage di almeno 120 civili palestinesi. Ben Gvir: i soldati hanno agito in modo eccellente contro la folla.
Gaza 

Non si ha tempo per il lutto nella Striscia, neppure davanti a stragi come quella di via Rashid a Gaza city costata due giorni fa la vita ad almeno 120 persone cadute in massima parte, denunciano con forza i palestinesi, sotto il fuoco dei soldati israeliani. Con il bisogno urgente di trovare cibo non si ha neppure il tempo di piangere i morti. Chi giovedì è scampato alle mitragliate e alla calca è già pronto a tornare alla rotonda Nabulsi ad aspettare i camion con gli aiuti assieme ad altre migliaia di persone. «La gente non ha alternative – ci dice Aziz Kahlout di Tel Al Hawa – perché non si trova nulla a Gaza city e nel nord. Io passo tutto il tempo a cercare generi di prima necessità. Il massacro non può fermarmi, devo sfamare i miei figli».

Adesso gli abitanti di Gaza non scrutano solo le strade devastate dalle bombe sperando di veder apparire i camion provenienti dal sud. Negli ultimi giorni hanno il naso all’insù, guardano gli aiuti lanciati dal cielo con i paracadute. Giordania, Egitto, Francia ed Emirati riforniscono, sia pure con quantitativi limitati di prodotti, le zone del centro e del nord di Gaza. L’iniziativa rappresenta il totale fallimento della comunità internazionale di imporre a Israele l’apertura e la protezione di un corridoio sicuro per la distribuzione regolare degli aiuti ai civili palestinesi travolti dalla sua offensiva militare. Non solo, i morti in via Rashid sono la conseguenza delle restrizioni al ruolo indispensabile a Gaza dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, attuate da Israele e appoggiate dai governi di una ventina di paesi, tra cui quello di Giorgia Meloni (invece l’Ue ha ripreso in parte i finanziamenti). L’Unrwam accusata da Israele di essere «collusa» con Hamas perché 12 dei suoi 13mila dipendenti palestinesi avrebbero partecipato all’attacco del 7 ottobre nel sud dello Stato ebraico, è l’unica organizzazione a Gaza con le capacità e le infrastrutture necessarie per una distribuzione capillare e ben organizzata degli aiuti umanitari (lo fa da decenni). «Questo massacro è la dimostrazione che non si può lasciare agli israeliani la protezione dei palestinesi di Gaza in termini di sicurezza alimentare», ha commentato Chris Gunness, l’ex portavoce dell’Unrwa.

Il rifornimento dal cielo, peraltro, si è rivelato un mezzo fallimento. I pacchi spesso finiscono in mare. I più giovani ed intraprendenti, con imbarcazioni improvvisate, si affrettano a recuperarli. Gli altri palestinesi attendono sulla spiaggia che la corrente porti a riva gli aiuti. Ihab Ali, di Al-Jalaa (Gaza City), è uno di loro. E non è soddisfatto. «Nel mio box – racconta – ho trovato un chilo di zucchero, uno di lenticchie, sacchetti di pasta e sale, del formaggio e tre chili di farina. In condizioni normali potrebbero bastare alla mia famiglia per qualche giorno, ma a casa mia ora ci sono più di 30 persone». I pacchi che cadono dal cielo sono molto contesi e il bisogno spinge anche ad usare la forza per conquistarli. «Questi metodi vistosi non metteranno fine alla crisi, dal cielo arrivano quantitativi troppo limitati per le nostre necessità. Comunque sia, è umiliante per noi litigare per qualche chilo di farina. E per uno che prende gli aiuti altri dieci restano a mani vuote», ha detto un abitante di Gaza city al giornale Al Araby al Jadeed.

Su Israele sale la pressione dopo la morte di tanti civili in attesa di cibo e cresce il numero dei paesi che sostengono la richiesta delle Nazioni Unite di avviare un’inchiesta internazionale sull’accaduto. Il Sudafrica, che accusa Israele di praticare il genocidio a Gaza, ieri ha denunciato il non rispetto da parte di Tel Aviv degli ordini della Corte internazionale di giustizia dell’Aia a protezione dei civili palestinesi. L’esercito israeliano non reagisce. Anche ieri ha continuato ad attribuire la maggior parte delle morti di due giorni fa alla calca attorno ai camion degli aiuti, aggiungendo che i soldati hanno sparato in modo «limitato» contro la «folla minacciosa». Il ministro della Sicurezza di estrema destra Itamar Ben-Gvir, già furioso per la scarcerazione di una cinquantina di palestinesi da mesi in detenzione amministrativa (senza processo e accuse formali), ha dato «sostegno totale» ai soldati che hanno sparato sui civili di Gaza sostenendo che «hanno agito in modo eccellente contro una folla che cercava di far loro del male». Tuttavia, in Israele non manca chi vede nell’accaduto il fallimento del governo Netanyahu che pensa solo a continuare la guerra e che non permette ai palestinesi e alle agenzie internazionali di gestire l’emergenza umanitaria a Gaza. Il quotidiano Yedioth Ahronoth non esclude che la strage di giovedì possa «creare un punto di svolta» e porre Israele di fronte a «pressioni che non sarà in grado di resistere, anche da parte della Casa Bianca». Difficilmente il gabinetto di guerra israeliano fermerà l’offensiva di terra sebbene l’Egitto si dica fiducioso di spingere le parti a una tregua a Gaza prima dell’inizio del Ramadan (10 marzo). Ieri sera mentre migliaia di israeliani scendevano in strada a reclamare un’intesa con Hamas che riporti a casa gli ostaggi a Gaza, Abu Obeida, il movimento islamico ha annunciato che sette dei circa 130 sequestrati sono morti in un bombardamento israeliano

 
Commenta (0 Commenti)

GAZA. Israele. morti per la calca. Poi l'esercito ammette di aver aperto il fuoco sulla folla che circondava i camion umanitari

114 uccisi, la strage degli affamati: spari su chi cercava pane

 

Le ambulanze non bastavano ieri. Molti corpi di morti e feriti li hanno caricati su carretti tirati da asini, altri sulle poche auto disponibili, altri ancora sui rimorchi degli autocarri che avevano portato gli aiuti umanitari. «La sparatoria è stata indiscriminata, (i soldati israeliani) hanno sparato alla testa, alle gambe, all’addome», racconta Ahmed, 31anni, uno dei feriti e testimone di quei minuti insanguinati in cui si è consumata la strage, una delle peggiori dall’inizio dell’offensiva israeliana di terra a Gaza alla fine di ottobre. Nessuno sa quanti palestinesi siano rimasti uccisi ieri mentre albeggiava alla rotatoria Nabulsi in via Rashid a Gaza city. Almeno 114 secondo un bilancio diffuso nel pomeriggio. Molti feriti sono in condizioni critiche e considerando che nel nord della Striscia gli ospedali non sono più operativi, perché privi di tutto, non pochi di questi sono destinati a morire.

La versione israeliana, come previsto, addossa tutta la responsabilità dell’accaduto ai palestinesi. «Questa mattina (ieri) i camion degli aiuti umanitari sono entrati nel nord di Gaza, i residenti li hanno circondati e hanno saccheggiato i rifornimenti in consegna. In seguito agli spintoni, al calpestio e perché investiti dai camion, numerosi abitanti di Gaza sono rimasti uccisi e feriti», ha scritto il portavoce militare. Che poi ha ammesso che i soldati del vicino posto di blocco «hanno aperto il fuoco quando si sono sentiti in pericolo per l’avvicinarsi della folla». E ha anche diffuso un video, ripreso forse da un drone, che mostra centinaia di puntini (i civili palestinesi) che si ammassano intorno ad autocarri. Immagini che non dicono granché. I palestinesi invece raccontano che, come accade spesso in questi casi, una gran numero di persone sin dalla prime ore del giorno si erano riunite in via Rashid in attesa di un convoglio di aiuti umanitari. Nel nord della Striscia e a Gaza city manca tutto, a cominciare dal cibo, e la gente affamata aspetta gli aiuti e altri generi di prima necessità come se fosse l’ultima possibilità di vita. Non si trattava di

Commenta (0 Commenti)

SARDEGNA. Con la presidente tre liste a sinistra del Pd. Sarebbero, se fossero un unico partito, la terza forza politica regionale dopo Pd (13,9%) e Fratelli d’Italia (13,8%)

L’ex sindaco di Cagliari Massimo Zedda foto Ansa L’ex sindaco di Cagliari Massimo Zedda - foto Ansa

Hanno raccolto il 10,6% dei voti. Chiuse in Sardegna le urne, i numeri dicono che le tre liste a sinistra del Pd sarebbero, se fossero un unico partito, la terza forza politica regionale dopo Pd (13,9%) e Fratelli d’Italia (13,8%). Ma Alleanza Verdi Sinistra, Progressisti e Sinistra futura insieme non sono. In campagna elettorale ciascuna di queste sigle è andata per conto proprio, anche se tutte si sono schierate nella coalizione che ha portato Alessandra Todde alla guida dell’isola. Avs è arrivata al 4,6%, i Progressisti di Massimo Zedda si sono attestati sul 3,1% e Sinistra futura ha totalizzato il 2,9%. Complessivamente un potenziale più che rilevante.

Massimo Zedda

L’implosione di Sel ha lasciato sul campo schegge sparse. Rimetterle insieme è complicato. Ma si è attivata una sintonia che ha dato ottimi risultati
Avs e Progressisti non hanno, diciamo così, bisogno di molte presentazioni. Avs Sardegna è emanazione di Avs nazionale. I Progressisti invece sono un partito regionale la cui storia comincia con il movimento dei sindaci arancione che, nelle amministrative del 2011, si affermò in grandi città come Napoli, Genova, Milano e Cagliari (Zedda è stato sindaco del capoluogo regionale). Anche Sinistra Futura è un partito regionale, che però è nato solo un anno fa e che fuori dall’isola non è granché conosciuto. È necessario quindi spiegare un po’. Sinistra futura è il risultato della confluenza tra iscritti a Leu-Articolo 1 che non hanno seguito i loro compagni di partito ritornati dentro il Pd e un gruppo di transfughi di Sinistra italiana. In Sardegna una scissione ha portato fuori dal partito di Fratoianni militanti e dirigenti che non hanno condiviso la scelta del segretario di entrare, per le politiche del 2022, nell’alleanza di centrosinistra che Letta aveva costruito tenendo fuori i Cinquestelle.

Insomma, da molto prima che, con la vittoria alle primarie di Elly Schlein, il Pd si orientasse verso il Campo largo, in Sardegna Sinistra futura proponeva di allargare lo spettro delle alleanze sino a comprendere il partito di Conte, anche se questo avesse dovuto significare rompere con il centro calendiano.

Storie e percorsi diversi, dunque, che si sono ritrovati nel programma della coalizione che ha vinto le elezioni. Il bottino di consiglieri non è male: quattro per Avs, tre per i Progressisti e due per Sinistra futura. Una forza consistente, ma frantumata dal punto di vista organizzativo. Perché? Se lo si chiede a Massimo Zedda il leader dei progressisti risponde che lui lavora da anni a ricomporre un quadro unitario tra le forze a sinistra del Pd: «Ci abbiamo tentato in tutti i modi. Ma non è semplice.

L’implosione di Sel ha lasciato sul campo tante schegge sparse. Rimetterle insieme è molto complicato. Il dato positivo di queste elezioni regionali è che su una prospettiva programmatica unitaria, quella definita dentro i confini del campo largo, si è attivata una sintonia, a sinistra ma anche dentro il quadro più largo delle forze progressiste, che in termini di consenso ha dato ottimi risultati. Nelle due città principali, Cagliari e Sassari, noi, Avs e Sinistra futura raccogliamo più del 13%: il 13,33% a Cagliari e il 13,58% a Sassari. Per capire che cosa significa bisogna considerare che a Sassari il Pd è al 13,77% e a Cagliari è al 12,06%».

Considerazioni simili le fa Maria Laura Orrù, sindaca di Elmas eletta consigliera regionale nella lista dell’Alleanza Verdi Sinistra: «C’è, a sinistra, una grande potenzialità. Bisogna saperla tradurre in peso politico. In consiglio regionale, dentro l’alleanza che ha portato Todde alla vittoria, credo esista la possibilità, per tutte e tre le formazioni di sinistra, di incidere in maniera efficace sui contenuti dell’azione di governo della nuova presidente, in particolare su alcuni temi che a noi stanno particolarmente a cuore: riconversione verde, tutela dei diritti del lavoro, difesa della sanità pubblica e inclusione sociale».

Per sinistra futura parla Luca Pizzuto, neo consigliere regionale ed ex segretario sardo prima di Sel e poi di Leu-Articolo1: «Noi nasciamo con l’intento di federare dal basso le tante realtà di sinistra attive nei territori. È questa la strada giusta sia per costruire a sinistra una prospettiva unitaria sia per dare rappresentatività effettiva alla nostra azione politica»

 

Commenta (0 Commenti)