PORTICO Della PACE
rete interculturale interreligiosa intergenerazionale
degli artigiani di pace a Bologna
LE PAROLE CHE PORTIAMO IN QUESTA PIAZZA
La prima parola che portiamo in questa piazza è EUROPA, certo! Ma un’Europa che fa politiche di disarmo e legifera contro la proliferazione degli armamenti. Un’Europa come i Padri fondatori l’hanno sognata:
- che non riaccende i nazionalismi, non arma fino ai denti gli eserciti nazionali
- che non ritorna alle mine antiuomo e delle munizioni a grappolo, stracciando le convenzioni
- che non ci porta all’apocalisse atomica cui mancano solo 89 secondi.
Soprattutto: un’Europa che si dà un Modello di difesa popolare, un Dipartimento per la difesa civile non armata e nonviolenta, effettivi Corpi civili di pace. Coinvolgenti tutta la popolazione: è il modello di difesa più efficace, per la ricerca storica e scientifica.
Finalmente, un’Europa che si dà strumenti di governo della pace: un Commissario alla Pace a Bruxelles, un Ministero della Pace in ogni Paese membro, un Assessore alla Pace in ogni Comune e in ogni Regione.
Se la prima parola è Europa, la seconda è simile alla prima: PACE certo! Ma non una parola vuota, bensì piena di politiche di pace: distensione, amicizia, mediazione e regolazione dei conflitti; STOP all'economia di guerra, STOP ai sacrifici dei cittadini, STOP ai tagli di istruzione salute lavoro e diritti, STOP alla devastazione ambientale.
Come ha ben detto Cecilia Strada al Parlamento europeo, nel kit di sopravvivenza mettiamo:
- tasse agli extra-profitti dell’industria bellica
- lotta alle disuguaglianze per la giustizia sociale
- diritto internazionale umanitario, stracciato da Putin così come da Netanyahu
- la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione
Se in nome della sicurezza l’Europa rinuncia a proteggere i diritti delle persone e i valori costituzionali, se armata fino ai denti si trasforma una jungla di ingiustizie sociali, alla fine non ci rimarrà molto da difendere! (Strada)
La pace non è assenza di guerra: comincia con la rinuncia alla violenza, si fa abitando i conflitti e rimuovendo le cause dell’ingiustizia, si realizza nella PIENEZZA DEI DIRITTI, nella PIENEZZA DI VITA DI OGNUNO, nella PIENEZZA DI PARTECIPAZIONE PER TUTTI!
La Rete Italiana Pace Disarmo (ACLI ARCI e CGIL tra gli altri, alcune qui presenti oggi), ci pone il grande tema: l’Europa è ancora un’Arca di pace o diventa un arco di guerra? Difesa europea sia prima di tutto disarmo, mediazione politica e sicurezza condivisa. Perché la sicurezza o è condivisa, di tutti, o semplicemente non è!
UN’ECONOMIA DI PACE NON DI GUERRA. Un’Europa FORTE e NONVIOLENTA, che sa difendersi con politiche di distensione, amicizia e mediazione prima di tutto verso il mondo che è sempre stato il suo ed è la culla della civiltà: il Mediterraneo, l’Africa, l’Oriente!
Le ultime parole. E proviamo a unirle nel discorso: CONFLITTI, GUERRA, VIOLENZA
Che un sistema fondato sulla PACE sia meglio di uno fondato sulla GUERRA lo dicono le leggi dell’economia e la storia della prosperità dei popoli. La pace conviene a tutti!
Lo dicono storici, sociologi, politologi, giuristi, filosofi, fisici e matematici.
Lo dicono le scienze dure, i diagrammi e gli studi dei sistemi complessi.
È ora di riprendere in mano i nostri sogni e imboccare una strada nuova!
È ora di dare spazio e fondi in tutta Europa alle Scienze per la Pace. I conflitti saranno sempre tra noi, sono necessari, positivi, generatori di cambiamenti, vanno abbracciati e abitati. È la scorciatoia della guerra, che è violenza e necropolitica massimizzata, che va espulsa dalla storia! Il fatto è che noi siamo analfabeti dei conflitti perché non li studiamo. Non sappiamo gestire i conflitti perché finanziamo solo ricerche militari. E così la pace non avanza. I fondi pubblici vadano in entrambe le direzioni. Avviene già in Francia. Questo soprattutto diceva profeticamente il compianto Alexander Langer (ci manca da 30 anni!): si incontrino Scienze per la Pace e Scienze della Guerra, accademie militari e atenei civili, a viso aperto! Studino il CONFLITTO e la DIFESA, e non già la migliore VIOLENZA: con il potere tecnologico odierno nessuna violenza vince più nessun conflitto. Un’alleanza per la pace fra gli apparati politico-militari e le istituzioni scientifiche! LIBERA! dagli inconfessabili interessi dell’apparato industriale militare, l’industria più prospera con affari oggi da capogiro, grazie al carburante più squallido e inquinante: la PAURA instillata nel cuore di ognuno di noi.
RITORNI LA POLITICA! Non sottomessa né umiliata dal potere economico, torni al suo compito: non tradisca la nostra anima, ci dia ancora visione, indichi ancora il nostro sogno con la necessaria utopia.
La pace è sexy, per dirla con l’amico Bergonzoni!
È forza. È compimento. È solidità risolta.
È ambizione di puntare a cambiare il modo di vedere le cose.
È coraggio di tendere al cambiamento dell’altro nell’incontro con noi.
Al cambiamento di noi nell’incontro con l’altro
Da Europeo invito tutti gli Europei ad essere all’altezza della storia. RIBELLIAMOCI, personalmente e comunitariamente dal più giovane al più anziano, per una definitiva OBIEZIONE ALLA GUERRA. Un conclusivo e irreversibile atto di OBIEZIONE DI COSCIENZA.
Il grido dimenticato dei nostri Padri, sia anche il nostro e dei nostri figli: MAI PIU’ LA GUERRA, MAI PIU’ LA GUERRA, MAI PIU’ LA GUERRA!
Lo storico: "Pare che la nostra epoca assomigli al periodo che ha preceduto la Prima guerra mondiale"
“A noi storici spesso chiedono a quale periodo del passato assomiglia la nostra epoca. Purtroppo, negli ultimi tempi comincio ad avere sempre di più l’impressione che la nostra epoca assomigli al periodo che ha preceduto la Prima guerra mondiale, nel 1914″.
Ha iniziato così il suo intervento lo storico Alessandro Barbero, che è intervenuto con un videomessaggio registrato alla manifestazione contro il riarmo organizzata a Roma dal Movimento 5 stelle.
E ha aggiunto: “Allora l’Europa usciva da un lungo periodo di pace (…) e anche adesso usciamo da un lungo periodo di pace, quasi, se dimentichiamo i Balcani e le guerre coloniali”
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Da disegno di legge a decreto. Entrano subito in vigore le norme securitarie che lasciano mano libera alla polizia e perseguitano chi protesta. Il governo calpesta Costituzione e parlamento, copre le sue divisioni e fa un altro passo verso l’Ungheria di Orbán. La risposta è in piazza
La stretta «Non funziona più così», risponde l’agente di polizia al professore arrestato perché appoggia le proteste contro il collasso climatico, quando chiede il rispetto delle garanzie costituzionali. Siamo nel 2030 negli […]
Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi – Ansa
«Non funziona più così», risponde l’agente di polizia al professore arrestato perché appoggia le proteste contro il collasso climatico, quando chiede il rispetto delle garanzie costituzionali. Siamo nel 2030 negli Usa e in Diluvio, romanzo di Stephen Markley, ma la scena potrebbe ripetersi in una qualsiasi città italiana. E non tra qualche anno ma già domani, perché il governo ha trasformato in decreto il disegno di legge «sicurezza» che limita i diritti e aumenta le pene. Meloni stringe i bulloni della repressione, guarda caso – dalla finzione alla realtà – anche contro gli attivisti del clima. Lo fa con un provvedimento immediatamente in vigore che dovrebbe, per Costituzione, essere di «straordinaria necessità e urgenza» e invece è diventato prassi per il governo. A domanda su dove diavolo sia l’urgenza, il ministro Piantedosi ha risposto candido: «In parlamento si è perso troppo tempo».
Un anno e mezzo di discussioni, «tempo perso» durante il quale tutti gli emendamenti delle opposizioni sono stati respinti, quindi è falsa la spiegazione del ministro per cui il decreto «recepisce il dibattito parlamentare». E poi l’iter di approvazione era ormai quasi concluso, dunque le motivazioni di questa ennesima umiliazione delle camere sono evidentemente altre. Essenzialmente due.
La prima è far digerire alla Lega qualche modifica richiesta dal Quirinale, offrendo in cambio un’approvazione immediata. Il congresso della Lega che comincia oggi è il vero motivo di urgenza del decreto. Salvini ha rivendicato tutto postando immediatamente e pieno di gioia le foto di tutti i corpi di polizia.
La legge è infatti un omaggio delle destre ai sindacati delle Forze dell’ordine, che avranno le mani più libere e soprattutto diecimila euro di soldi pubblici per ogni grado di giudizio per difendersi se accusati, come capita, di reati commessi in servizio. Questo nel paese dove non ci sono i fondi per risarcire le ingiuste detenzioni e un’elementare misura di garanzia come le body cam sulle divise degli agenti è ridimensionata (in questo stesso decreto) a «possibilità» e finanziata con fondi insufficienti. Ma il messaggio è chiaro: la premier (certo non solo Salvini) sta con le divise, del resto non si era fatta scrupolo di correggere persino il presidente della Repubblica quando aveva criticato le botte agli studenti di Pisa. Le divise ricambiano e da un po’ di tempo i sindacati hanno preso l’abitudine di commentare l’attualità a colpi di comunicati stampa come un Gasparri qualunque, l’altro giorno anche per criticare una sentenza, quella su Askatasuna.
La seconda ragione che ha spinto il governo a lasciar morire uno dei rari disegni di legge per sostituirlo in corsa con l’ennesimo decreto è che
Leggi tutto: Repressione senza alternativa - di Andrea Fabozzi
Commenta (0 Commenti)L’associazione Il manifesto in rete aderisce all’appello lanciato da Luciana Castellina, Luigi Ferrajoli e Gian Giacomo Migone in vista della manifestazione che si terrà a Roma il prossimo 5 aprile, per un’Europa della pace e non del riarmo. Pubblichiamo di seguito il testo dell’appello.
Troviamoci, tutte e tutti, a Roma, sabato 5 aprile, all’appuntamento già indetto dal M5S, a manifestare per un’Europa unita per la pace, fondata sulla giustizia sociale e la democrazia, come l’hanno intesa Spinelli, Colorni e Rossi, dal carcere di Ventotene. L’arresto delle stragi in atto a Gaza e Cisgiordania, in tutto il Medio Oriente, Sudan, Congo, Ucraina, Yemen e in altre parti del mondo sono la prima urgenza.
Siamo dalla parte delle vittime. Rifiutiamo di essere rappresentati dal governo italiano che non riesce nemmeno a seguire l’esempio di altri governi europei che finalmente chiedono il cessate il fuoco a tutela dei Palestinesi. Un’Europa diversa da quella attuale, unita, federale, dotata di politica estera, con una difesa coerente ed indipendente – radicalmente alternativa al riarmo sostenuto da von der Leyen – può contribuire alla pace da oggi.
Serve un mondo multipolare, che abbia come obiettivo il disarmo globale, sottratto agli interessi dei fabbricanti di armi e dei risorgenti nazionalismi, pronti – come quello propagato dal governo Meloni – a sottomettersi a chi, ancora una volta, vuole spartirsi il nostro continente, a Washington come a Mosca.
La strada è lunga e piena di ostacoli, ma a Roma, il 5 aprile, saremo in tanti con le sole bandiere della Pace e dell’Europa che intendiamo costruire.
Ci rivolgiamo innanzitutto a tutte le libere associazioni con vocazione di pace, comunità religiose che rifiutano ogni uso aggressivo e strumentale della loro fede, sindacati (il convegno della Cgil può essere una buona occasione per unire le piazze), persone come padre Alex Zanotelli e Moni Ovadia che da tempo c’ispirano.
Cara Schlein, caro Conte, Fratoianni, Bonelli e Acerbo, fate la vostra parte, mettetevi d’accordo e poi troviamoci insieme.
Luciana Castellina
Luigi Ferrajoli
Gian Giacomo Migone
Chi desidera aderire alla lettera può scrivere un’e-mail (chiedendo di inserire il proprio nome fra i firmatari) a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Commenta (0 Commenti)Diritti Mentre Netanyahu è accolto in Ungheria, in vari paesi rischiano di essere ridotte al silenzio tutte le voci levate per denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza
erlino: la gente partecipa a una manifestazione pro-palestinese con bandiere e striscioni
Se non lo avete letto sul manifesto del 2 aprile non lo sapete, ma tre cittadini di paesi Ue, e uno degli Stati uniti, potrebbero essere deportati dalla Germania. Di quali delitti si sono macchiati? Allo stato attuale nessuno di loro è stato condannato per un crimine.
Le accuse rivolte a queste persone nei provvedimenti di espulsione sono di vario tipo, e alcune potrebbero avere rilevo penale, salvo che deportandole non ci sarà mai la pronuncia di un giudice. In realtà buona parte dei comportamenti che vengono imputati a queste quattro persone non riguardano crimini, ma atti politici che dovrebbero essere legittimi in una democrazia, anche se possono comportare la violazione di una legge, come avviene tipicamente nelle azioni di disobbedienza civile.
In altri casi, infine, l’accusa è semplicemente di aver cantato, nel corso di manifestazioni, slogan che, secondo le autorità tedesche, sarebbero antisemiti. Si tratta degli stessi slogan che molti ebrei, e anche tante persone ragionevoli, considerano invece manifestazioni di simpatia legittime per la liberazione della Palestina. Espellere qualcuno per aver cantato questi slogan sembra un vero e proprio tentativo di limitare la libera espressione di opinioni politiche, e di intimidire chi protesta. Secondo il giornalista tedesco Hanno Hauenstein (che ne ha scritto per il Guardian il 3 aprile) il fondamento legale di tali espulsioni, che richiama il cosiddetto principio di Staatsräson, appare poco solido a diversi giuristi, ed è stato anche messo in discussione da una commissione del parlamento.
Lo stesso Hauenstein, nel suo reportage per il quotidiano britannico, osserva che questi provvedimenti di espulsione sono ulteriori – preoccupanti – segnali di una vera e propria «svolta autoritaria» in corso in Germania da quando, in seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, è cominciata la campagna militare di Israele a Gaza. L’elenco delle persone che in questi mesi sono state calunniate, e in molti casi private della possibilità di esprimere le proprie opinioni, è già molto lungo, e include studiosi di grande valore, intellettuali pubblici e, da ultimo, due registi appena premiati con l’oscar. «In quasi tutti questi casi – scrive Hauenstein – le accuse di antisemitismo sono sullo sfondo, anche se gli ebrei sono spesso tra i bersagli. Più spesso che no, sono i liberal a guidare o ad accettare tacitamente queste cancellazioni, mentre i conservatori e l’estrema destra stanno da parte e le applaudono».
Questa osservazione ci conduce al cuore di quella che è diventata una questione cruciale, e che non riguarda soltanto la Germania. Stiamo assistendo infatti a un processo di repressione in atto in diversi paesi, che corre il rischio di soffocare e di ridurre al silenzio tutte le voci che si sono levate in più di un anno per denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza, e il pericolo che esse si traducano in un genocidio ai danni del popolo palestinese. Ciò è avvenuto attraverso un uso crescente della forza: si comincia con la distorsione e la soppressione delle notizie provenienti dalla Palestina, e si arriva alle persecuzioni di chi protesta e alla repressione violenta delle manifestazioni. Ormai ci siamo abituati alle immagini di poliziotti che picchiano studenti che in alcuni casi sono chiaramente minorenni.
Scene che in passato avremmo associato a regimi autoritari, ma che invece, e questo è l’elemento che desta maggiore preoccupazione, in molti casi avvengono per volontà di governi centristi, spesso, come in Germania, con il sostegno della sinistra socialdemocratica.
Non è facile capire quale sia il disegno politico che c’è dietro scelte che appaiono fatte, come sottolinea Hauenstein, per raccogliere il consenso della destra più estrema. Oltretutto in una situazione in cui, con ogni probabilità, sarà proprio tale destra a invocare presto le repressioni poste in essere da governi centristi e moderati come precedenti per legittimare altre, maggiori e più brutali, misure autoritarie. Come se, incapaci di recuperare il consenso perso per via del proprio fallimento politico, i partiti liberal-conservatori e quelli social-democratici avessero scelto di facilitare la strada alla destra più estrema invece di provare a fermarla.
La visita trionfale di Netanyahu in Ungheria è un’illustrazione di questa tendenza. Orbán ha ospitato una persona accusata di gravissimi crimini da una corte internazionale, e lo ha fatto approfittando delle diverse azioni che vari paesi Ue hanno messo in atto per erodere la legittimità del diritto internazionale. Quello che ieri era il reietto d’Europa oggi pare l’avanguardia di un nuovo consenso europeo. Costruito, come avrebbe detto Franz Neumann, intorno all’imposizione di un credo politico e accompagnato dall’ostracismo nei confronti di chi non lo accetta. Per quanto tempo potremo ancora chiamare regimi come quelli che stanno emergendo in Europa democrazie?
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