Governanti e piazze Grande manifestazione ieri a Roma in Piazza del popolo, ma di quale popolo? Qual è il suo valore politico se inequivocabilmente si poteva partecipare sia con le bandiere della Nato, come sollecitava qualcuno, sia con quelle della pace (ma non con la bandiera del popolo palestinese)?
Grande manifestazione ieri a Roma in Piazza del popolo, ma di quale popolo? Qual è il suo valore politico se inequivocabilmente si poteva partecipare sia con le bandiere della Nato, come sollecitava qualcuno, sia con quelle della pace (ma non con la bandiera del popolo palestinese)? Possibile che non venga il sospetto che una così indistinta convocazione sull’argomento Ucraina possa essere piegata nella direzione cogente e attuale della leadership dell’Unione europea?
Lì dove garrisce al vento la bandiera blu con stelle del ReArm Ue? La sintonia temporale con la decisione di von der Leyen e dei 27 Paesi Ue di avviare un mega-programma di riarmo di 800 miliardi di euro per ognuno degli Stati membri – altro che «difesa comune» – è allarmante. Stracciati Patto di stabilità e fondi di coesione, si può fare per la preparazione alla guerra quello che per sanità e welfare era tassativamente proibito. Addio alla frugalità, riempiamo gli arsenali.
E così, tanto per contraddire la volontà ondivaga di Trump che scarica gli alleati occidentali sui costi della Nato, ecco che decidiamo un fondo mostruoso per acquistare le armi Usa, le uniche sul campo, nascondendo che entriamo in uno scenario appena malcelato di doppia spesa, più soldi per le armi a ogni Stato e più soldi all’Alleanza atlantica; verso una prospettiva ancora più devastante per il patto sociale europeo – e la sua tenuta democratica – , dell’avvio di una economia di guerra che trasformi ogni produzione materiale e immateriale in nuova arma: meno automobili più carri armati, altro che green deal.
Il made in Italy concorrerà all’autoproduzione di nuovi cacciabombardieri fiammanti, magari con l’improbabile e rischioso auspicio che tutto questo farà crescere Pil e occupazione, e non invece più propensione ai conflitti amati e alla violenza, insieme a una trasformazione delle basi valoriali della nostra democrazia costituzionale e non solo per l’articolo 11 che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle crisi internazionali, ma per l’evidente trasformazione dei contenuti della convivenza civile. Perché l’obiettivo di un’Europa come fortezza armata, alternativo alla sua fondazione come baluardo di pace per l’esperienza recente della Seconda guerra mondiale, aiuta solo la crescita della destra e dei nuovi fascismi in tutto il Continente. Una grande manifestazione ieri in piazza del Popolo dunque, che, però, a questi interrogativi non risponde.
Arriva invece solamente la risposta, sbagliata, del premier britannico Starmer che ha convocato – dopo quella di Macron – una riunione di circa 25 Paesi alleati dell’Ucraina, per costituire una «coalizione dei volenterosi» (Co.Vo. sarebbe l’acronimo), ripescando dalle acque limacciose della storia una terminologia a dir poco infausta – andate a vedere le distruzioni e massacri che abbiamo commesso con i «volenterosi» per invadere l’Iraq nel 2003, allora tra i volenterosi come terzo contingente c’era pure l’Ucraina. Tralasciando un giudizio su tutte le guerre «volenterose» e «umanitarie» che abbiamo promosso negli ultimi trent’anni, dalla Somalia all’ex Jugoslavia, dall’Iraq all’Afghanistan, dalla Libia alla Siria. Stavolta «volenterosi» a fare che, quando non c’è ancora non solo una pace duratura, ma nemmeno la tregua o un timido cessate il fuoco?
Starmer, Macron e Zelensky si avviano a definire l’elenco, l’area dei partecipanti a un’eventuale operazione di peacekeeping. Per questo il premier britannico convoca per giovedì a Londra una «riunione operativa» a livello di vertici militari con i Paesi alleati disposti a discutere di un futuro schieramento di «sul terreno» e di «aerei nei cieli», a garanzia della sicurezza dell’Ucraina, dopo il raggiungimento di accordi di pace. Ecco il punto: ma a garantire un eventuale cessate il fuoco è possibile che siano schierate forze militari di Paesi Nato che, per interposto ruolo, hanno sostenuto in armi l’Ucraina dal 2014, ricordava l’ex segretario Nato Stoltenberg? Accetteremmo forse per questa funzione di mediazione armata la Bielorussia o la Corea del Nord che hanno sostenuto in armi Putin?
L’idea di vere forze armate da terra, dal mare e dal cielo pronte ad intervenire per salvare il cessate il fuoco altro non è che la continuazione della guerra con i nostri eserciti; è una scelta “irachena”: è la famigerata No-fly zone dei vincitori per colpire i vinti. Qui la situazione sul campo è ben diversa. Oltre allo stallo c’è la drammatica difficoltà dell’esercito ucraino, non solo per mancanza di armi ma anche per le diserzioni.
Qui una forza di interposizione o è davvero neutrale e per questo capace di fermare ogni provocazione e ogni mira espansionista di zar Putin, oppure come i «volenterosi» iracheni è benzina sul fuoco di un nuovo conflitto mondiale. Solo le Nazioni unite, ancorché vilipese e bombardate anche da Trump – ma sarà costretto a farci i conti con l’Onu e il Sud del Mondo -, hanno ancora questo potere e diritto internazionale di intervento di mediazione, anche con la forza e i caschi blu, al di sopra delle parti in guerra. L’unico augurio è che la piazza romana sia sì di volenterosi, ma contro i giochi di guerra.
Concludendo. Ma, noi europeisti e anti-nazionalisti convinti, siamo davvero sicuri che la bandiera di questa Ue ridotta in armi e nuovi muri sia la giusta difesa della democrazia? A Belgrado, nel sud-est europeo, ieri da tutta la Serbia è sceso in piazza un vero oceano di manifestanti, una nuova generazione insieme a quella più anziana, tutti contro la corruzione. Dopo la tragedia della tettoia crollata a Novi Sad nel novembre 2024, protestano da quattro mesi contro il malaffare di un governo del privilegio e del favoritismo, alimentato da investimenti predatori cinesi con subappalto francese, da quelli degli Emirati per stravolgere il centro della capitale, dai contratti della Germania e dell’Ue per accaparrarsi il litio della regione di Jadar, dalla vendita di decine di caccia Rafale gestita direttamente da Macron, e dalla famiglia Trump, sodale del potere serbo, che si compra i resti dei ministeri bombardati dalla Nato nel 1999. Ebbene in piazza ieri, come in questi quattro mesi, non c’era una sola bandiera dell’Unione europea.
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(ore 8,40 di sabato 15 marzo)
L’evento non è ancora terminato, ma già ora dai dati della rete ARPAE appare evidente come i bacini del Santerno, del Senio, ma sopratutto del Lamone, siano stati quelli maggiormente colpiti da precipitazioni molto elevate, principalmente sulla parte di crinale e aree limitrofe (a differenza degli eventi del 2023 e 2024 ove i picchi si registrarono a quote più basse fino alla medio-bassa collina, ma ci stava dal momento che le correnti dominanti furono nord-orientali a differenza di oggi).
Se da un lato i bacini del Santerno, del Senio erano tra i principali indiziati per forti piogge, un po' meno lo era quello del Lamone (non che fossero rose e fiori beninteso).
Ma le linee temporalesche che hanno quell’origine (Toscana), ovvero un po’ lontana, sono più difficili da collocare spazialmente un volta che si cerca di prevederne l’evoluzione; sempre di fenomeni alla mesoscala si tratta.
Se la linea si propaga 10 km più in qua o più in là si cambia valle. Eh sì, perché le nostre sono molto strette e ben accorpate.
Ma non solo: all’origine (medio-alto Tirreno sottovento alla Corsica) basta uno sfasamento di pochissimi chilometri, rispetto alla previsione (quindi errore trascurabile) per cambiare anche sensibilmente la proiezione delle zone interessate sul nostro versante, disegnando un bel ventaglio assai più largo, per cui possono colpire una valle o l’altra invariabilmente. L'errore si amplifica con la distanza, insomma, anche per forzanti locali.
Detto questo, un paio di numeri: nell’area tra alto bacino del Senio e del Lamone abbiamo considerato tre stazioni: Casaglia, Marradi e Palazzuolo sul Senio.
Casaglia ha staccato un 200 mm tra ieri e le 21 di oggi; di cui però 64 in circa 4 ore.
Valore climatologico mensile: 88,6 mm
Marradi 156 mm nello stesso periodo, di cui 66 in circa 5 ore.
Valore climatologico mensile: 87,4 mm
Palazzuolo sul Senio 122 mm ma concentrati tra le ore 00 e le 12. Valore climatologico mensile: 79,6 mm
Comunque, anche la mappa delle precipitazioni nelle ultime 24 ore ben evidenzia i picchi maggiori su quell’area con cumulate localmente oltre i 150 mm (zone color viola).
Nota a margine: 200 mm di pioggia sono 200 litri di acqua versati in un metro quadrato (l’uso del millimetro a volte rende una sottovalutazione soggettiva); ovvero ventimila tonnellate di acqua per ettaro.
Siccome siamo saturi anche fin dentro le nostre tasche (basta fare un giretto per le nostre campagne), le conclusioni diventano scontate.
Evento estremo di pioggia (su quelle aree)? Si valuterà a fine episodio; di certo molto intenso, ma per la patente di estremo serve analizzare bene la climatologia delle zone stesse.
Evento che anni fa avrebbe causato meno magagne? Certo, ma oggi non siamo più nelle condizioni di alcuni anni fa, perché tra il 2023 e il 2024 ci sono passati addosso due Tir col rimorchio colmo.
Non è finita, anche se il grosso delle piogge è passato; fino intorno alla mezzanotte (poco prima o poco dopo) pioverà ancora a tratti, poi si andrà verso piogge solo deboli e locali.
Domani possibile un passaggio di rovesci o temporali sparsi nel pomeriggio, ma più veloci, meno estesi e meno persistenti, tuttavia qualche breve e locale acquazzone potrebbe essere tosto.
Stay tuned.
15 Marzo Storie e provenienze diverse per fare insieme un pezzo di strada sono una ricchezza, sempre. Ma idee e soluzioni diverse nella stessa piazza per dire di volere la stessa cosa non lo sono
C’è un treno che corre verso una destinazione ignota, sicuramente pericolosa. Riesce a salire un uomo, vuole fargli cambiare direzione. Sale però anche un altro uomo, chiede che il treno acceleri e prosegua lungo la stessa strada, più veloce. A bordo c’è già un terzo uomo: vorrebbe semplicemente che gli altri lasciassero fare e rispettassero il viaggio per quel che è. Per lui è importante difendere il treno. Tutti e tre vogliono esserci su quel treno per provare ad averla vinta. Ma nessuno dei tre vorrebbe la compagnia degli altri due, di chi ha intenzioni opposte alle sue. Vale per il treno. Non per la piazza di domani a Roma, dove si troverà chi pensa che i paesi europei devono armarsi sempre di più e velocemente prepararsi a combattere, assieme a chi considera folle e pericoloso il piano di riarmo della Commissione e adesso anche del parlamento europeo e vorrebbe fermarlo. Ci sarà anche chi ne fa una questione di orgoglio: quest’Europa magari non è chiarissimo cosa sia e dove stia andando ma va difesa e lasciata andare.
Forse sbagliamo, non è giusto mancare di rispetto a chi decide di portare se stesso e se stessa in piazza per manifestare, e saranno tanti, e non vogliamo farlo, neanche nei confronti di quelli che credono che la risposta più efficace a una grande piazza ambigua sia una piazza contemporanea, più chiara ma inevitabilmente più piccola. Il problema non è infatti il gesto, è il movente.
Qual è il valore politico di una piazza piena, ma dove si può entrare a pieno titolo sia esibendo la bandiera della Nato che la bandiera della pace, la bandiera dell’Europa buona per coprire tutto ma non la bandiera del popolo palestinese che l’Ue non è riuscita a difendere nemmeno a parole, continuando ad armare Israele e i suoi «atti genocidiari»? Una piazza che potrà essere piegata in ogni direzione, perché una convocazione vuota lo rende legittimo.
Sarà così legittimo starci, in quella piazza romana, perché si è convinti che il welfare vada ancora tagliato per fare con gli armamenti quello che non si è fatto con la sanità o con la scuola, che sia adesso necessario dirottare i fondi di coesione dalle aree povere del continente ai missili e ai cannoni. Ma anche legittimo starci perché si è consapevoli che questa è una corsa verso il baratro. Essere presenti, perché decisi a incoraggiare gli ucraini a continuare la guerra: si può sconfiggere Putin e fare dispetto a Trump. O essere presenti perché convinti che la fine della guerra arriverà sempre e comunque troppo tardi.
Da quando la manifestazione di domani è stata lanciata da Michele Serra, non ci sono state solo le adesioni di diversi soggetti individuali e collettivi di tutto rispetto e con le migliori intenzioni, assieme a tanti altri con intenzioni pessime. Non ci sono state solo un paio di correzioni di tiro nella convocazione che però hanno aggiunto confusione, come per esempio stabilire che in piazza parleranno solo intellettuali e artisti e non partiti, sindacati e associazioni che così si sentiranno spiegare dal palco il motivo per cui sono lì. In pochi giorni si sono aggiunte anche nuove ragioni per dubitare che la bandiera dell’Unione europea in quanto tale possa essere un vessillo, l’unico, da sventolare orgogliosi. Il piano di riarmo comune ha smesso subito di essere comune: la fetta grossa è ognun per sé, altro che esercito europeo, e andrà ripagata, altro che spese sociali salvaguardate.
Invece l’unità, quella sì, c’è stata immediatamente sull’immigrazione, cioè contro i migranti mal accolti prima e malissimo adesso che stiamo diventando una caserma. Stringersi a coorte in Europa già si colora di tinte cupe, più cupe del blu con le stelle. La piazza di domani accoglierà così chi trova rassicurante che la più grande azienda di armamenti tedesca abbia fatto più contratti negli ultimi dodici mesi che nei precedenti quindici anni e si prepara a convertire le fabbriche di auto in fabbriche di carri armati, e chi ne è terrorizzato.
Chi considera un segno di autonomia continentale, o nazionale, riempire gli arsenali, e chi non dimentica che più del 90 per cento della spesa in armi dell’Italia va in favore di aziende degli Stati uniti (Trump non può chiedere di meglio). Chi è convinto, con Ursula von der Leyen, che gli investimenti in materiale bellico muovano l’economia e arricchiscano tutti, e chi ricorda che le munizioni, prima o poi, si usano.
Gli uni e gli altri saranno insieme domani e insieme saranno raccontati. Come? Lo vediamo ogni giorno, se persino il tentativo della segretaria del partito democratico di opporsi – tardivamente, timidamente, ma opporsi – alle scelte europee più ottuse e belliciste è stato raccontato come un gesto di pericolosa insubordinazione. Immediatamente circondato, ingabbiato, dal cordone dei responsabili. Un cordone vestito di blu e di stelline anche quello.
Storie e provenienze diverse per fare insieme un pezzo di strada sono una ricchezza, sempre. Ma idee e soluzioni diverse nella stessa piazza per dire di volere la stessa cosa non lo sono. Perché alcune di queste ricette gonfiano e non da oggi la rimonta delle destre, i nuovi fascismi, il ritorno della guerra. E altre continuano a offrire almeno una speranza di salvezza, anche per l’Europa. Compito nostro è tenerle distinte.
Commenta (0 Commenti)15 marzo I contributi sulla piazza di sabato
Manifestanti riescono sotto Palazzo Chigi sede della Presidenza del Consiglio – Mauro Scrobogna / Lapresse
Sono iscritto all’Anpi che, stavolta, non mi convince
Caro manifesto, da quando quella «matta» a Bruxelles ha urlato ”voglio 800 mld in armi” oggi ne spendiamo ca. 80, mi sono chiesto: ma i tempi quali sono? Ci vorrà qualche anno e intanto che succede, mentre i due imperi trattano sull’Ucraina a Riad e si fanno la pace che a loro conviene. Succede che noi europei facciamo esattamente quello che ci chiede Trump: distruggere l’Europa sociale, armare i singoli Stati, tenere l’intero continente sotto una minaccia presunta che annichilisce ogni idea di futuro e liberare gli Usa dal pensiero della Russia in modo da potersi occupare della Cina. Mi chiedo se con 6000 testate nucleari puntate contro di noi, oggi non fra tre anni, non sarebbe saggio tornare a fare politica diplomatica, lanciare ponti di pace a Est e in M. O., assolvere ad un nostro obbligo morale garantendo la vita (si proprio la vita nuda) dei palestinesi dei curdi degli yazidi degli alawiti e degli ucraini vittime innocenti di questa tragica commedia che è la geo-politica. Sono un iscritto all’Anpi Milano, ma questa volta sono in disaccordo con il nostro caro Presidente sull’andare alla manifestazione del 15 marzo, non so se sia utile una contro manifestazione. E per favore basta con quei sepolcri imbiancati dell’Ulivo (…)
Gigi Sanza, Milano
Vado a prendermi il sole
Buonasera caro direttore del manifesto , ho letto il suo articolo molto ben fatto e mi sembrava di averlo scritto io (con rispetto parlando), per quanto mi ci sono immedesimato. In particolare, condivido totalmente il senso di disagio e di insufficienza delle parole d’ordine con cui è stata convocata questa manifestazione. Io, da europeista (e federalista) incallito, provo un forte disagio e insofferenza a riconoscermi in questa Europa, per tutti i motivi che lei ha efficacemente illustrato. E questo sentimento aumenterebbe ancora di più così nel partecipare alla manifestazione del 15 marzo, a meno di dover fare troppi distingui e dissociazioni. Anche considerando i proclami annunciati e balbettanti di una difesa europea, che tutto sembra meno che comune e finalizzata a razionalizzare e ottimizzare spese già molto elevate, e quindi inutile e inefficace nel perseguire i pur giusti obiettivi di sicurezza (su cui molto si dovrebbe dire). Perché mancante di una visione politica condivisa a fondamento di una possibile difesa europea, e di cui dovrebe anticiparne la concezione e costruzione. Così, pur se sarà una bella giornata di sole, e c’è voglia di aria fresca, preferirò saltare questo giro e dedicarmi ad altro.
Cordiali saluti
Stefano Proietti
Non riesco a tacere
Non riesco a tacere di fronte alla confusa rincorsa di capi di partito, sindacati, associazioni che preferisco non nominare anche se non le giustifico nel rispondere prima e con più entusiasmo all’appello pubblicato da Michele Serra su Repubblica. Sapete tutti di cosa parlo, e mi permetto di confrontare il mezzo scelto, un giornale che non ha mai avuto riferimenti solidi a sinistra, e confrontarlo con gli appelli alla pace fra Israele e Palestina pronunciati da papa Francesco, prima costretto a parlare di martoriata Ucraina perché si era permesso di parlare di Nato che abbaiava ai confini della Russia.
Ci siamo appellati, pur non avendo nomi famosi, ai governi che combattevamo, perché non respingessero i migranti per mare, e non nascondessero ancor di più quelli della rotta balcanica, che fossero a Trieste, in Bielorussia e in Polonia. A ognuno il suo, Michele Serra. Se anche noi anonimi portassimo meno persone di te, dal basso veramente, le porteremmo perché stanno tutti i giorni con noi, facciamo le stesse cose, e combattiamo il capitalismo e i suoi servi, anche quelli più furbi
Marcello Pesarini
Nel segno dell’articolo di Francesco Pallante
Mi sembra che l’articolo di F. Pallante del 5 marzo colga precisamente nel segno, ponendo l’interrogativo: per quale Europa scendere in piazza? Certamente non per l’Europa che prospetta la Presidente della Ue, lanciata in una crociata bellicista che più sconsiderata è difficile immaginare, purtroppo accompagnata dal plauso del governo di K. Starmer e di tutti o quasi i conservatori europei. L’Italia rischia di accodarsi pur con esitazioni, trascinata dal mucchio guerrafondaio. È singolare constatare come si stia rievocando una inesistente e vetusta minaccia dell’orso russo, addirittura una minaccia esistenziale. Si continua a voler ignorare le radici dell’ aggressione all’Ucraina da parte della Russia e il ruolo nefasto della continua avanzata della Nato nell’Europa Orientale. Ma una Russia comunque drenata da tre anni di sforzo bellico non rappresenta certo “il pericolo esistenziale” che si vuole agitare come spauracchio. A vantaggio di chi? Solo dell’industria bellica, evviva la crescita del Pil. Il vero pericolo politico consiste nell’impoverimento progressivo di larghe fette di popolazione europea, nella morte dello Stato sociale e la crescita di una destra neofascista. E il pericolo esistenziale che incombe sempre più minaccioso arriva dallo scioglimento dei ghiacciai, dalle crepe del manto gelido della Groenlandia e dalla perdita della biodiversità, realtà rimosse come un brutto sogno (…)
Stefania Sinigaglia
Federalisti Europei
Come attivisti del Movimento Federalista Europeo, del Movimento Europeo e di altre organizzazioni abbiamo scritto una lettera aperta per spiegare le ragioni della nostra adesione all’appello di Michele Serra a scendere in piazza il 15 marzo, rivolgendoci a chi si sta giustamente chiedendo di «quale Europa» stiamo parlando. Crediamo sia importante aprire un dialogo con coloro che non ci saranno perché non hanno chiaro lo scopo della manifestazione o perché non lo condividono. In questo momento di grave crisi internazionale, occorre sostenere l’unità dell’Europa contro tutti quelli che, dall’interno e dall’esterno, la vorrebbero disunita e incapace di agire. Nel Manifesto di Ventotene, nato durante la Resistenza europea contro il nazifascismo, era chiaro l’obiettivo di liberare il continente, e progressivamente il mondo, da guerre, nazionalismi e imperialismi. Proseguendo su questa strada, auspichiamo di iniziare un percorso condiviso verso un’Europa democratica e federale, capace di avere un’autonomia strategica nei settori dall’energia, della tecnologia digitale e della politica di sicurezza comune. Per costruire una difesa europea non occorre aumentare le spese per il riarmo nazionale togliendo soldi al welfare, ma razionalizzarle su scala continentale per creare un esercito comune pensato come strumento difensivo con corpi civili di pace a disposizione dell’Onu, così da realizzare un nuovo ordine internazionale più inclusivo, sostenibile e pacifico.
Noi saremo dunque in piazza, guardando anche oltre il 15 marzo, per rinsaldare i legami tra i cittadini europei in nome di un’Europa libera, unita, solidale e di pace.
Nicola Vallinoto, Antonella Braga e Giulio Saputo
prime adesioni:
Diletta Alese, Giuseppe Allegri, Antonio Argenziano, Paolo Bergamaschi, Sara Bertolli, Grazia Borgna, Giuseppe Bronzini, Sandro Capitanio, Berardo Carboni, Antonia Carparelli, Renato Carpi, Gabriele Casano, Roberto Castaldi, Alessandro Cavalli, Filippo Ciavaglia, Giancarla Codrignani, Marcella Corsi, Pier Virgilio Dastoli, Stefano Dell’Acqua, Gabriella Falcicchio, Maria Sophia Falcone, Luigi Ferrajoli, Sofia Fiorellini, Michele Fiorillo, Alex Foti, Filippo Maria Giordano, Matteo Gori, Piero Graglia, Francesca Graziani, Giorgio Grimaldi, Piergiorgio Grossi, Ariane Landuyt, Claudio Leone, Guido Levi, Lucio Levi, Alberto Majocchi, Alessandro Marcigliano, Enzo Marzo, Fabio Masini, Pinuccia Montanari, Guido Montani, Bruno Montesano, Angelo Morini, Antonio Padoa Schioppa, Mimmo Rizzuti, Stefano Rossi, Vito Saccomandi, Elias Salvato, Cinzia Sciuto, Giorgia Sorrentino, Mauro Spotorno, Daniele Taurino, Valentina Usai, Giulia Vassallo, Giovanni Vetritto, Tommaso Visone, Marco Zecchinelli.
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Ci si può fidare di una classe politica europea che negli ultimi 30 anni ha fallito clamorosamente analisi e impostazione politica su punti fondamentali dell’assetto geopolitico: dal nuovo quadro uscito dalla caduta dei regimi dell’Est alla globalizzazione ? Scambiando il tutto come un’apertura dei mercati propedeutica a una sterminata felicità collettiva, non guardandosi attorno quando scoppiarono le guerre nei Balcani, non valutando fenomeni come la crescita cinese (scambiata con quelle delle “tigri asiatiche” ipercapitaliste”) e incapace di regolare i termini concreti dello sviluppo tecnologico. I risultati del connubio popolari/socialdemocratici in salsa blairiana con l’adozione indiscriminata delle teorie liberiste mutuate direttamente dal reagan-tachterismo.
Adesso lo stesso gruppo dirigente erede dei Kohl e dei Prodi (che ancora interviene direttamente) ci chiama a un riarmo da 800 miliardi di euro che alla fine esalterà il nazionalismo (dato e non concesso che se ne possa realizzare un decimo di quanti auspicato da lor signori). Ci si può fidare, si può dar loro ancora credito?
Grazie
Franco Astengo
Diserterò la chiamata del 15 di “Repubblica”
Non parteciperò alla manifestazione di sabato, 15 marzo. “Diserterò” quell’iniziativa perché da una parte si celebrano i valori sui quali si fonderebbe l’Europa, cioè la pace e la democrazia, ma dall’altra si punta al riarmo destinando ben 800 miliardi di euro che saranno sottratti al Welfare. L’Europa ha sposato in pieno il detto latino “si vis pacem, para bellum”, cioè se vuoi la pace, prepara la guerra. Io ritengo che se vuoi la pace devi prepararla mentre questa Europa non ha fatto nulla per bloccare il conflitto in Ucraina ed ha sostenuto Israele nella sua guerra criminale contro i palestinesi. Quanto dovrà durare ancora il conflitto in Ucraina?
Quante vite si dovranno sacrificare ancora sull’altare del potere prima che si dica “basta”? Quale vantaggio può ricavare l’Ucraina dal proseguimento della guerra? Quale vantaggio possono ricavare l’Europa da una parte e la Russia dall’altra dal solco scavato fra loro stesse? Non sarebbe meglio che si proponesse, senza stancarsi, gli strumenti della diplomazia e della trattativa perché se vuoi la pace prepara la pace? Ricordiamoci che la pace si stringe tra nemici, trovando un equilibrio delle convenienze reciproche. La guerra porta solo morte, distruzione, odio, persino i vincitori hanno poco da rallegrarsi perché ci vorrà tempo per recuperare “la normalità della vita quotidiana”. Ecco perché la pace deve vincere e la guerra deve essere sconfitta.
Liliana Frascati
Ora 800 miliardi, a quando il sangue?
A meno di credere al detto secondo cui “o’ munno è comm uno so fa ‘ncap” (il mondo oggettivo non esiste e chiunque può costruirsene uno nella propria testa), la bandiera Ue con cui Serra chiede di essere in piazza il 15 marzo non può essere considerata un significante vuoto. Non lo è mai stata, non lo è oggi. La bandiera Ue veste von der Leyen mentre chiede 800 miliardi (a quando il sangue?) per il ReArm Europe. È quella della socialdemocratica danese Frederiksen col suo “spendere, spendere, spendere in Difesa”. Fino al 2% del PIL, al 3%, al 3,5%, e perché non al 5% come vuole Trump? Fino all’infinito e oltre! È quella di chi smania per un keynesismo militare: transizione non ecologica, ma a un’economia di guerra. Dal verde ecologia al verde militare il passo è breve. Dalla Francia dell’estremo centro liberista di Macron, alla Germania rosso-nera di Scholz e Merz, passando per l’Italia dell’ultradestra, tutti vagliano o iniziano a sperimentare soluzioni per la transizione dall’industria civile (a partire dall’automotive) a quella militare. La necessità e urgenza del riarmo è condivisa dalle principali famiglie politiche.
Si dividono sui dettagli. Riarmo nazionale o “difesa comune”? Cambia poco. L’“uomo Ue”, Romano Prodi, l’ha chiarito: il primo è necessario e può essere una tappa verso la seconda. Sembra di essere sbalzati al 1914, quando socialisti francesi e tedeschi – ma quelli italiani no! – votano i crediti di guerra, cedono alla guerra tra “nazioni” abbandonando quella di classe. Sventolare la bandiera Ue col “Partito di Repubblica” è fare il gioco di chi vuole il keynesismo militare. Vogliamo ritrovarci in piazza col nemico che marcia alla nostra testa? Chi porterà la bandiera della “pace” potrà salvare la propria coscienza, ma non cambiare la cifra politica. Che è già chiara: riarmo per proteggere i capitali europei nella competizione internazionale. Disertare la piazza di Serra e della bandiera Ue significa sottrarsi al bellicismo. Non per stare alla finestra, ma per costruire un’altra piazza. Che dica no al riarmo e all’economia di guerra. Sì a stanziare fondi, ma per “medici, non bombe”. Senza confusione o mezze parole. Nell’aprile 1915, sventolando bandiere rosse, centinaia di donne si unirono agli scioperanti a Prato al grido di “abbasso la guerra”. Eccoli i nostri valori, i nostri principi più belli. Portiamoli a Piazza Barberini a Roma sabato 15 alle 15:00.
Giuliano Granato, Portavoce Nazionale Potere al Popolo
Parole giuste per una piazza sbagliata. No all’economia di guerra
La piazza del 15 marzo non è la nostra piazza. Michele Serra, dalle pagine di “Repubblica”, ha chiamato ad una piazza per un’Europa libera e unita. Una piazza invocata all’indomani dell’umiliazione pubblica di Zelensky da parte di Trump, una piazza che nulla dice della necessità di Pace, una piazza che nulla dice sul piano Rearm che costerà 800 miliardi a danno della spesa sociale su scala europea. Non esiste un’astratta idea di Europa che valga più della Pace, della pacifica convivenza tra i popoli e di un’Europa dei diritti sociali e civili. L’appello all’unità dell’Europa che caratterizza la manifestazione del 15 marzo è distante dall’idea di Europa che la Cgil, non da sola, ha cercato di far vivere in questi anni.
L’idea di Europa che assieme abbiamo promosso ha attraversato le piazze italiane ed europee nelle manifestazioni per la pace e contro ogni guerra, nelle vertenze sindacali che invocavano politiche industriali e nel contrasto alle politiche liberiste.
La manifestazione del 15 marzo non promuove un’Europa diversa da quella bellicista, rappresentata dalle dichiarazioni di Ursula von der Leyen e di Macron, e che nelle scelte della Commissione Ue e del Consiglio europeo prepara l’economia alla guerra. Noi non cammineremo al fianco di chi vuole la guerra. Condividiamo la necessità di una forte e ampia mobilitazione per la Pace in raccordo con tutte le reti che da sempre sono impegnate su questo fronte.
Coordinamento nazionale Lavoro Società per una Cgil unita e plurale
Commenta (0 Commenti)Punto di svolta La spaccatura nel gruppo europeo sul progetto di riarmo proposto da von der Leyen è netta. Schlein conferma la sua posizione critica, pur mitigata in un’astensione che però non serve a tenere unito il partito
Un voto pesantissimo per il Pd a Strasburgo, la spaccatura nel gruppo europeo sul progetto di riarmo proposto da von der Leyen è netta. Schlein conferma la sua posizione critica, pur mitigata in un’astensione che però non serve a tenere unito il partito; la situazione interna è molto complicata.
Eppure la segretaria, questa è la sensazione, può contare su un consenso prevalente tra gli iscritti e nell’opinione pubblica di sinistra. Nella politica italiana anche le situazioni serie diventano occasioni di polemiche miserevoli e la linea di Schlein ha dato la stura al consueto lavorio di logoramento che punta ad etichettare come inadeguata la sua leadership.
Questa situazione, e lo stesso voto a Strasburgo, segnalano ancora una volta come per il Pd si avvicini sempre più il momento delle scelte dirimenti. Nei due anni che ci separano dalle primarie, Schlein e chi la sostiene hanno costruito un nuovo profilo del partito, salvandolo dall’abisso in cui stava precipitando dopo le elezioni del 2022 (e a cui qualcuno lo aveva condotto: si tende un po’ troppo a dimenticarlo…).
Ma si è proceduto a strappi, con alcune campagne-simbolo e con alcune scelte che ora stanno provocando forme di rigetto, o di vero e proprio panico, in quella parte dei gruppi dirigenti che non ha mai fatto i conti con i fallimenti del passato: una di queste scelte è stata lo schieramento a favore dei referendum sul lavoro della Cgil; e ora, questa sul riarmo europeo.
Alcune reazioni, tuttavia, meritano di essere considerate con più attenzione: una è quella espressa da Luigi Zanda, che ha chiesto un «congresso straordinario». Non è chiaro il senso della proposta: stando alle regole attuali, significherebbe rifare le primarie, e non credo proprio che, in questo momento, possa emergere una seria candidatura alternativa, o che sulle questioni di politica internazionale le attuali posizioni della segretaria non riceverebbero un largo consenso. E allora, forse, la chiave è un’altra: «Il Pd avrebbe il dovere, anzi la necessità – dice Zanda – di cambiare lo statuto e decidere una volta per tutte se il segretario lo scelgono gli iscritti, oppure se chiunque possa continuare a andare ai gazebo…». Zanda coglie un problema reale; e ritengo che Schlein debba accettare la sfida: in che modo?
Ci sono due vie: la prima, che ha tempi più lunghi, è quella di una Conferenza d’organizzazione, preparata come si deve, al termine della quale si approvi un nuovo statuto, che riesca a pensare e progettare un nuovo modello di partito; la seconda è quella – a statuto vigente, si noti bene – di utilizzare uno strumento già previsto e mai utilizzato, quello della Conferenza programmatica annuale (ma la si può chiamare anche in altro modo), purché fatta anch’essa come si deve: documenti di base, possibilmente alternativi (non documenti generici in cui ognuno possa leggere quello che più gli piace), discussioni e votazioni nei circoli, assemblea nazionale di delegati. Su due o tre temi-chiave: e uno certamente è quello della situazione internazionale.
Alla base c’è un terzo problema: ci si deve render conto che non sarà sostenibile, a lungo termine, questa doppia fonte di legittimazione (il corpo degli iscritti e quello dei votanti alle primarie, che sono solo in piccola parte sovrapponibili). Oggi gli iscritti non sono rappresentativi della stessa forza elettorale del partito: basti ricordare la distribuzione profondamente squilibrata dal punto di vista territoriale tra i 150mila iscritti che parteciparono alla prima fase del congresso e gli oltre un milione di elettori che hanno votato alle primarie (i quali, peraltro, come mostrano le ricerche sono in gran parte ex-elettori ed ex-iscritti al partito: i famigerati «passanti» che votano ai gazebo sono un’infima minoranza).
A quanto risulta, solo una piccola parte di quanti hanno sostenuto Elly Schlein si è però poi iscritta al partito: perché accade? Perché spesso, localmente, nel suo modo di funzionare il Pd è letteralmente respingente; perché, spesso, sono altri e ben diversi gli incentivi che portano all’iscrizione; e poi, perché, nella migliore delle ipotesi, il partito non è in grado di valorizzare la partecipazione degli iscritti: anzi, sembra proprio non averne bisogno. Per questo, una riforma del partito è oggi essenziale: bisogna ricomporre la frattura tra iscritti ed elettori, e questo lo si può fare solo se si mette in moto un coinvolgimento di massa, che avvii una sorta di progressivo ricambio organico nel corpo del partito stesso.
Discutere, appunto, della situazione internazionale, e farlo in modo diffuso e sistematico, fuori e dentro il partito, potrebbe essere un modo per riattivare una partecipazione oggi silente e far crescere un’elaborazione collettiva di cui si sente un gran bisogno; ma sarebbe anche un modo per porre un freno alle chiacchiere inutili e avere una conferma di quali siano, anche su questo tema, le posizioni davvero prevalenti tra gli iscritti e gli elettori del partito.
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